IRIS, l’Indicatore di Rendimento Interfacoltà Studenti, raccontato dal suo ideatore
IRIS – Indicatore di Rendimento Interarea Studenti, ideato e sviluppato dall’Università di Genova nel 2004, misura l’efficienza e l’efficacia con cui le matricole superano gli esami del I anno e, in particolare, il rapporto fra il risultato raggiunto dalla matricola e il risultato massimo previsto dalla sua Area.
Negli ultimi 16 anni, IRIS, elaborando oltre un milione di dati, ha tracciato il rendimento universitario di esordio di oltre 75.000 studentesse e studenti giunti in Ateneo da più di 450 scuole secondarie di secondo grado. Ciò ha permesso di conoscere provenienze e scelte delle matricole e di monitorarne i relativi risultati accademici. In questo modo IRIS ha fornito a docenti, orientatori, studenti e famiglie importanti informazioni di contesto che diventano utili strumenti sia per sostenere le future matricole nel delicato passaggio dalla scuola all’università, sia per calibrare il carico didattico del primo anno. IRIS è così anche uno strumento per valutare i diversi aspetti dell’orientamento e del tutorato, rilevando possibili criticità e potenziali azioni di miglioramento.
IRIS raccontato dal suo ideatore
Il professor Giuseppe Lo Nostro, il "papà" di IRIS, ci racconta l'origine e l'evoluzione di questo indicatore, oggi strumento fondamentale per l'orientamento universitario.
GLN: «Sedici anni fa, quando presentai IRIS alla Commissione Orientamento di Ateneo, l’accoglienza fu buona. Ebbi l’opposizione di una facoltà, il sostegno di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali e le solite posizioni interlocutorie di coloro che volevano riservarsi una via di fuga, in caso di bocciatura dell’iniziativa. Qualcuno dichiarò che, se lo avessero licenziato per colpa di IRIS, per vivere si sarebbe aperto un chiringuito su una spiaggia caraibica. Ma non diceva sul serio.
Determinante fu il supporto del Servizio Orientamento e del Servizio Statistico di Ateneo, cui sarebbe toccato il compito di organizzare i dati raccolti da CSITA – Centro servizi informatici e telematici d'Ateneo (n.d.r. ora CeDIA) nel data warehouse di Ateneo.
Non venimmo licenziati e pochi mesi dopo, alla sua prima comparsa sul quotidiano Il Secolo XIX, IRIS fu accolto bene dalla maggioranza delle scuole e degli addetti ai lavori. Bene, ma non benissimo, perché IRIS era pur sempre un indicatore, cioè uno strumento che misura cose e fornisce numeri, i quali sono indigesti perché impediscono le arrampicate sugli specchi. Per di più IRIS si proponeva di valutare un aspetto (l’apprendimento delle matricole nel loro primo anno universitario) sul quale alcune scuole si sentirono chiamate in causa e, indirettamente, valutate. E già allora funzionava alla grande la corrente di pensiero che oggi, in epoca Covid, chiameremmo… NO VAL.
A differenza di altri NO XXX, i NO VAL non negano l’utilità della valutazione, della quale anzi si dichiarano grandi sostenitori, ma cercano poi in tutti i modi di boicottarla con osservazioni speciose, volte a screditarne non il principio ma i metodi e gli indicatori al solo fine di rimandarne l’applicazione a tempi e a indicatori migliori. Che non arriveranno mai.
Le obiezioni contro IRIS
Curiosamente, oltre a Il Secolo XIX, l’altra testata ad accorgersi che IRIS era la prima, e tuttora unica, indagine di questo tipo da parte di un Ateneo italiano (l’indicatore FGA, il clone di IRIS della Fondazione Agnelli vedrà la luce solo quattro anni dopo) fu Io donna, il magazine del Corriere della Sera; invece, puntuali e inevitabili, arrivarono alcune contestazioni, di due tipi.
Il primo riguardava la struttura di IRIS, definito un indicatore “rozzo, parziale, e dunque incapace di tener conto della variegata, multiforme, complessa, articolata, frastagliata, cangiante (e chi più ne ha più ne metta…) situazione della Scuola italiana. E soprattutto della MIA scuola”.
Ora, io sono di parte e certo non definirei mai IRIS “rozzo”, però “elementare” sì. IRIS sintetizza infatti ciò che lo studente ha raggiunto, nel suo primo anno, in termini di efficacia di apprendimento (il numero di CFU acquisiti) e di efficienza (i voti), rispetto al massimo che avrebbe potuto raggiungere. Ma proprio questa semplicità è la sua forza: il suo significato è chiaro a tutti.
Il secondo tipo di obiezione riguardava invece la numerosità degli studenti provenienti da certe scuole, ritenuta troppo piccola per essere rappresentativa.
All’epoca ricordammo che IRIS prendeva in considerazione tutte le scuole (sempre più di 450) da cui provenivano tutte le matricole. I valori di IRIS erano quindi il risultato di un’indagine censuaria, non di statistica induttiva.
Gli obiettivi di IRIS
A questo punto si chiarì, e fu importante per la sua accettazione e il suo utilizzo da parte delle scuole, che IRIS non era nato, come la stampa si era precipitata ad affermare, per dar loro le “pagelle”, ma aveva (e ancora ha) obiettivi più alti.
Uno era quello di fornire alle scuole, agli operatori dell’orientamento, agli studenti e alle loro famiglie, uno strumento di lavoro e di informazione, utile a illuminare la zona d’ombra del dopo maturità, rispondendo alle domande: Dove finiscono i nostri maturati? Come stanno andando? Che cosa possiamo fare per aumentare il loro rendimento all’università?
IRIS fotografa infatti le situazioni al termine del primo anno, sia per stimolare azioni condivise fra scuola e università, volte a migliorare il passaggio da una all’altra, sia per fornire, in tempi successivi, una misura oggettiva dell’efficacia delle azioni intraprese. Convinti che si può migliorare solo ciò che si riesce a misurare.
Questo obiettivo è stato in parte raggiunto e oggi sono molte le scuole che monitorano e utilizzano con attenzione i risultati di IRIS.
Il secondo obiettivo, simmetrico, riguarda l’università, ed è il seguente: si sperava che anche i Corsi di laurea si interrogassero, una volta scoperto che, in media, le matricole non riuscivano (e da sedici anni non riescono) a raggiungere neppure il 50% dell’impegno formativo previsto per il primo anno. Ma, da quel che sento, questo obiettivo pare ancora lontano.
Peccato, perché nel frattempo, analizzando i dati disponibili, è emersa una forte capacità predittiva di IRIS sul successo (e l’insuccesso) universitario. E allora rilancio con una nuova proposta: che IRIS non si fermi al primo anno, ma diventi un indicatore di processo che accompagni e guidi ogni studente fino alla laurea.
Ma questa sarà, forse, un’altra storia».
Immagine di copertina tratta da Pixabay