Il disastro del cimitero di Camogli
Nel primo pomeriggio del 22 febbraio 2021 una frana in roccia si è innescata lungo la fascia costiera di Camogli. Il movimento ha trascinato in mare una parte del corpo loculi del cimitero comunale con gravi ripercussioni per la popolazione e il territorio e un’eco mediatico internazionale.
Il fenomeno è stato preceduto da alcuni indizi premonitori: tra il 20 e il 21 febbraio è stato notato il crollo di un blocco roccioso alla base della falesia e durante la mattina del 22 febbraio sono state rilevate nuove fratture nella roccia. Il successivo sopralluogo presso il cimitero ha confermato il collasso incipiente, segnalato anche dal rumore prodotto dalla rottura progressiva della roccia e delle strutture edilizie. Il sindaco ha tempestivamente provveduto a chiudere il cimitero scongiurando danni ben più gravi.
Un evento eccezionale?
Come noto, la costa rocciosa ligure è un’area ad alto rischio geomorfologico soggetta a crolli improvvisi. La costa tra Genova e La Spezia, fatta eccezione per la piana di Chiavari e Lavagna, è rappresentata da un’alta falesia il cui modellamento è dovuto non solo all’azione incessante e talora violenta del moto ondoso, ma anche dalle piogge, spesso intense e prolungate, e dalla lenta ma costante alterazione della roccia. Nel caso specifico del cimitero di Camogli si è rilevato un tasso di arretramento, non costante, di 5-10 cm/anno.
Nel 2014 un caso analogo a quello di Camogli ha interessato la costa tra Nervi e Bogliasco, causando gravi ripercussioni per alcune abitazioni; nel 2018 la strada tra Santa Margherita Ligure e Portofino è stata parzialmente distrutta a causa della tempesta Vaia. Inoltre, le strade litoranee tra Cavi di Lavagna e Sestri Levante, e tra Riva Trigoso e Deiva Marina sono frequentemente interrotte da crolli; la franosità costiera delle Cinque Terre è un processo noto a tutti.
L’arretramento di una falesia rocciosa è un fenomeno naturale e quindi caratteristico della dinamica costiera, i cui effetti possono causare danni alle attività e all’insediamento dell’uomo.
Il cambiamento climatico
Con buona pace dei terrapiattisti e dello scetticismo nella scienza che dilaga sempre più, le evidenze sul cambiamento climatico sono documentate nei rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), un gruppo di lavoro scientifico delle Nazioni Unite sullo studio del climate change.
Alle nostre latitudini il cambiamento climatico si manifesta con un aumento della temperatura media dell’aria e con una variazione del regime delle piogge.
Le statistiche nazionali e internazionali evidenziano negli ultimi 30 anni un aumento dei fenomeni meteo-idrologici (comprese le mareggiate in Liguria) con gravi effetti al suolo; tuttavia è molto difficile dimostrare se queste conseguenze siano legate al riscaldamento globale o all’urbanizzazione in aree pericolose.
Si ritiene indispensabile sviluppare attività di ricerca sugli effetti al suolo legati al climate change, con particolare riferimento a studi sulla Geologia del Quaternario (compreso l’Antropocene, epoca di recente approvazione) e sulla Geologia Urbana, inclusa la valutazione delle forzanti antropiche sui processi idro-geomorfologici.
Conosciamo le aree a rischio geo-idrologico?
Da due decenni nella nostra regione sono vigenti importanti strumenti di pianificazione del territorio e di difesa del suolo, i Piani di bacino, che individuano con apposita cartografia le aree a differente pericolosità geo-idrologica.
A questi si devono aggiungere gli studi geologici a supporto degli strumenti urbanistici comunali, che individuano chiaramente le aree a differente stabilità del territorio, e anche il recente piano di tutela dell’ambiente marino e costiero: anche se non ancora completo sull’arco ligure, questo piano ha - tra le altre cose - la finalità di garantire l’equilibrio dei litorali e la sicurezza della costa alta.
Le aree a rischio sono pertanto note, ma gli elementi esposti sono vulnerabili anche a fronte di eventi non estremi; sembra quindi necessario un maggior coordinamento tra i diversi strumenti di pianificazione territoriali e piani di protezione civile.
Il ruolo dell’urbanizzazione
I dati sul consumo di suolo, evidenziati dai rapporti annuali dell’ISPRA, mettono in luce una situazione non incoraggiante: l’aumento del consumo di suolo non va di pari passo con la crescita demografica e in Italia cresce più il cemento della popolazione. Nel 2019 sono nati 420 mila bambini mentre il suolo ormai sigillato avanza al ritmo di 2 m2 al secondo: è come se ogni nuovo nato italiano portasse nella culla 135 m2 di cemento. In Liguria al 2019 sono stati consumati quasi 40.000 ha di suolo (oltre il 7% del territorio), pari a 250 m2/abitante. Nel solo Comune di Genova al 2019 il suolo consumato è di oltre 5.000 ha (circa 24% del territorio), quasi 100 m2/abitante, a fronte del netto calo demografico dal periodo 1970 a oggi.
È noto e spesso evidente che molte costruzioni sono vulnerabili ad eventi geologici e geomorfologici anche di bassa intensità.
Le attività di monitoraggio
Da tempo la nostra regione è dotata di strumenti per il monitoraggio meteo-idrologico del territorio, anche ai fini di un efficace sistema di allertamento idrogeologico/idraulico, nivologico e altri pericoli meteorologici; a breve sarà implementato un sistema di allertamento per rischio frana.
La tecnologia oggi permette anche di effettuare previsioni nel brevissimo termine (nowcasting), permettendo una previsione più accurata. Da 30 anni le immagini prodotte dai vari satelliti ERS, ENVISAT, COSMOSKYMED e SENTINEL possono essere utilizzate per rilevare spostamenti del suolo e quindi per realizzare un sistema di monitoraggio del territorio a scala regionale.
Tuttavia, se l’aumento delle conoscenze scientifiche rende più affidabili le previsioni e le attività di monitoraggio, le quali possono essere migliorate anche a fini di protezione civile, è necessario in parallelo adottare un’estesa campagna di prevenzione per la mitigazione del rischio.
Considerazioni conclusive
Se evitare di costruire nuovi edifici e infrastrutture in aree pericolose è la strategia per evitare nuovi rischi, resta da sciogliere il nodo su come intervenire sulla situazione attuale.
Le normative esistono, ma sembra opportuna una loro maggiore armonizzazione; gli strumenti di pianificazione possono essere aggiornati anche alla luce delle moderne basi scientifiche e delle nuove tecnologie di rilevamento.
L’assetto geologico del territorio e le sue dinamiche sono la base conoscitiva indispensabile per la valutazione delle pericolosità naturali e dei rischi associati, ovvero il passo essenziale per lo sviluppo sostenibile e la corretta pianificazione del territorio.
La mitigazione del rischio, al di là di indispensabili interventi strutturali, deve basarsi soprattutto su attività non strutturali, che ad oggi sembrano poco utilizzate: monitoraggio, interventi di manutenzione ordinaria, delocalizzazione (ove indispensabile) di elementi a rischio e formazione/informazione della popolazione.
Si ritiene necessario intervenire sull’educazione a tutti i livelli per una maggiore cultura geologica del territorio; le discipline geologiche e ambientali sono fondamentali per la formazione culturale e sociale di ogni cittadino che deve essere in grado di percepire e gestire le pericolosità naturali.
Spesso si perdono beni, attività economiche e anche vite umane per comportamenti non corretti, alimentati dalla scarsa conoscenza dei processi naturali del territorio. Alla luce dei cambiamenti climatici in atto, che inevitabilmente renderanno gli eventi meteo-idrologici più frequenti e intensi, una adeguata cultura scientifica potrà consentire a ciascuno di noi di mettere in atto misure di protezione e prevenzione efficaci, aumentando significativamente le capacità resilienti delle comunità e del territorio.