Christo e Jeanne-Claude: tra etichette critiche e progetti irrealizzati

Scomparso il 31 Maggio 2020, Christo Yavachev, marito dell’artista Jeanne-Claude Denat de Guillebon, è tradizionalmente ricordato per i suoi “impacchettamenti” di edifici e monumenti storici: wrappings, così definiti dalla coppia di artisti, realizzati attraverso i materiali più disparati tra cui teli, stoffe, pannelli e cordami.
Per l’immaginario collettivo Christo e Jeanne-Claude, mancata nel 2009, sono gli artisti che hanno impacchettato la Kunsthalle di Berna nel 1968, il Pont-Neuf di Parigi nel 1984, il Reichstag a Berlino nel 1995. Avvolti da ampi teli colorati, i tre edifici risultavano esclusi dallo sguardo del pubblico e dagli abitanti delle città in cui avvenivano gli interventi artistici. La durata progettuale delle loro opere si estendeva, in media, per circa un decennio – per il Wrapped Reichstag impiegano quasi venticinque anni – oltre a un coinvolgimento massivo di tecnici, collaboratori e comitati pubblici, aspetto che testimonia un’importante consapevolezza progettuale nella vocazione pubblica dei loro interventi artistici. Opere apparentemente monumentali ma dalla durata effimera: una volta terminate, queste venivano smantellate dopo qualche mese di esposizione.
Dietro l’immediatezza intuitiva dei loro lavori, da intendersi come una sottrazione visiva dell’oggetto quotidiano pubblico per creare un effetto di straniamento, si cela una riflessione sui significati portanti del Novecento artistico, in primo luogo la messa in discussione del valore della visione, delle modalità di esperienza dell’opera, del confine tra opera, paesaggio e spettatorialità. 

Christo e Jeanne-Claude
Christo and Jeanne-Claude durante l'installazione di Wrapped Reichstag, Berlino 1995. Foto: Wolfgang Volz. Copyright: ©Christo, Wolfgang Volz

We believe that labels are important,
but mostly for bottles of wine

(Crediamo che le etichette siano importanti,
ma soprattutto per le bottiglie di vino)


Se valutiamo l’attività di un artista in base a ciò che rimane della sua produzione, o meglio, se lo consideriamo sulla base delle etichette critiche che, di volta in volta, gli sono state affibbiate come medaglie da appuntarsi alla divisa – innumerevoli e contraddittorie* – otteniamo una figura senz’altro affascinante per la storia dell’arte, che tuttavia porta a fraintendere il significato ultimo dell’opera di Christo, ovvero, dotare lo spettatore di un display visivo nuovo, stimolarlo verso una prestazione sensibile in grado di modificare attivamente il suo modo di vedere quotidiano.
Nel corso della loro carriera i due artisti sono stati identificati come esponenti di punta della Land Art, movimento non esente da generalizzazioni critiche, utile, tuttavia, a comprendere la loro attività dedicata alla riflessione sul concetto di environmental, inteso sia nelle sue accezioni pubbliche – in rimando agli interventi urbani, spesso forieri di incomprensioni tra addetti ai lavori e cittadini digiuni di arte contemporanea – sia come riflessione sugli spazi di intervento extra-urbani, come le imponenti strutture a vela dell’opera Running Fence (1976) installate lungo le colline californiane, o nella recente passerella galleggiante The Floating Piers (2016) costruita sul lago d’Iseo.
E’ significativo, pertanto, ricordare alcuni progetti irrealizzati utili a considerare gli artisti non soltanto come semplici wrapper di edifici storici o monumenti: da 500.000 Barrels Structure - The Wall in Suez Canal, ideato nel 1967, che consisteva nella creazione di una struttura imponente composta di barili variopinti da installarsi nel letto del Canale di Suez da costa a costa, riflettendo quindi sul senso letterale dell’impedimento visivo fornito dai barili, fino a Over the river, un progetto ideato nel 1992, protrattosi per quasi trent’anni, che prevedeva la copertura parziale del fiume Arkansas per mezzo di ampi teli argentati, irrealizzato a causa di incomprensioni e dissidi politici con l’attuale amministrazione Trump. 
Al di là delle facili classificazioni fornite dei famosi wrapping, ciò che contraddistingue maggiormente l’operato dei due artisti è la varietà tipologica di intervento finalizzata sia a mettere in discussione il concetto di monumentalità sia a valorizzare l’opera pubblica come dispositivo capace di alterare la percezione quotidiana dello spettatore. 

*Nel sito di Christo e Jeanne-Claude esiste una sezione dedicata ai fraintendimenti critici cui la coppia è andata incontro durante la carriera. Nella categoria “Most common errors” (errori più comuni) si cita l’estratto di un’intervista nella quale erano stati definiti come artisti concettuali. Alla domanda se si considerassero vicini al concettuale, i due artisti rispondono così: “NO – a conception on a paper is not Christo and Jeanne-Claude's idea of art. They want to build their projects – they could save a lot of money by not building them, by just keeping them on paper – as conceptual artists do. Christo and Jeanne-Claude want to SEE their project realized because they believe it will be a work of art of joy and beauty. The only way to see it is to build it.” (No - un concetto su carta non è l'idea di arte di Christo e Jeanne-Claude. Il loro scopo è realizzare i propri progetti - potrebbero risparmiare molto denaro non costruendoli, ma lasciandoli su carta - come fanno gli artisti concettuali. Christo e Jeanne Claude vogliono VEDERE i propri progetti realizzati perché credono che diventi un opera d'arte, di gioia e di bellezza. L'unico modo di vedere ciò è costruirlo").

di Alessandro Ferraro