Lettere a Dora

Prefazione

Dora! Chi era costei? Sul titolo del prezioso libretto che la competente e partecipe cura di Enrica Agnesi ci ha regalato si sarà arrenato il lettore, magari intrigato dal nome di donna (un altro nome di donna nella biografia di Boine?) cui non avrà saputo restituire un'identità neppure il più informato frequentatore del magno Carteggio e degli ormai molti, moltissimi "pezzi" tra lettere e cartoline e biglietti e telegrammi presentemente noti, che sono rimasti fuori da quei cinque tomi oggi un poco datati e però ancora indispensabili.

Va detto subito, a parziale discolpa del vano ruminare del lettore medesimo, che di tale donna (giovane donna, o ragazza, per meglio dire, al tempo in cui la corrispondenza le era recapitata dopo aver percorso la manciata di chilometri che separano Porto Maurizio da Oneglia) davvero nulla egli era tenuto a sapere almeno sino al dicembre 2017 quando, nella sessione conclusiva di un convegno organizzato dal Comune di Imperia in coincidenza esatta con il centesimo anniversario della morte di uno dei suoi concittadini più illustri, fu la stessa Enrica Agnesi a risuscitarne la memoria a beneficio degli happy few presenti quel giorno nella Sala convegni della Biblioteca civica "Leonardo Lagorio". Per chi non c'era sarebbe bastato uno sguardo ai titoli stampati in rosso sulla locandina del programma per pescare, in quello del suo intervento (Lettere inedite di Giovanni Boine alla cugina Dora Amirante), la chiave del piccolo rebus.

Una  parente,  dunque,  seppure  alla  lontana  (dagli  archivi all'uopo compulsati risulta fossero sorelle la nonna materna di lui e una delle bisnonne materne di lei), più giovane di lui di nove anni, per giunta non frequentata (e magari, chissà?, forse neppure mai vista) prima che due gravissimi lutti in sequenza ravvicinata procurassero di rinsaldare legami di sangue che il destino sembrava avere allentato per sempre. Una familiare, anche se "nuova", capitata in casa sua una, due, tre volte per assolvere ai doveri di visita che toccano di regola allorché un congiunto è infermo, alla quale aveva iniziato a scrivere per il solo piacere di farlo, tanta era la simpatia che era stata capace di suscitargli mentre, chiuso in casa con una madre sfatta dal dolore, smaltiva i postumi della bronchite che gli aveva impedito di andare a vegliare l'agonia del fratello lontano.

Forse era stato un modo per disobbligarsi lì per lì, alla stregua delle reiterate offerte di una mano per le traduzioni dal latino (lei era iscritta all'ultimo anno del liceo), della liberalità esibita nel prestito dei libri e dei mirati consigli di lettura (inaugurati peraltro con un autore della vita: il Mistral di Mirèio); non poteva dimenticare, del resto, che anche la carta da lettera che Dora adoperava era listata di nero e che, per soprammercato, il pensiero per la perdita di una persona cara (il padre, nel suo caso) andava a braccetto con le assillanti preoccupazioni d'ordine pratico che la primogenita di nove fratelli sentiva l'obbligo di accollarsi, e al più presto.
Ne era sortito un piccolo carteggio andato avanti, sì, almeno sino al principio dell'anno successivo, quanto bastava per lambire lo sconquasso provocato nella già terremotata vita sentimentale dello scrittore dalla repentina epifania di Sibilla Aleramo, ma che di fatto, stando almeno a quel che ci è dato di vedere, si era inceppato dopo soli tre mesi, all'altezza di una lucida missiva in cui il "cugino Gigi" aveva avvertito la necessità di fare punto, tirando le somme di un rapporto che, dai toni iniziali di celia con cui l'uno e l'altra s'erano vicendevolmente intrattenuti (con l'esito di suscitare, sembra di capire, persino qualche chiacchera in casa), era deragliato in fretta tra fraintendimenti, mutue incomprensioni, insormontabili differenze di indole e temperamento.
 

La copertina del libro
La copertina del libro

Certo il mazzetto di carte che Enrica Agnesi ha avuto il merito di disoccultare non basterà ad assegnare a Dora la parte che ad altre figure femminili compete nella breve esistenza di Boine. Né molto aggiungerà, col fitto reticolo di feriali relazioni da cui è riemerso, alla definizione dell'immagine pubblica dello scrittore, per di più sullo sfondo del crucialissimo 1914, l'anno di pubblicazione del Peccato ed altre cose e dei Discorsi militari, del definitivo congedo dalle pagine della Voce e dell'esordio, su quelle della Riviera Ligure, della rubrica Plausi e botte.

Rimarrà tuttavia nella memoria per la qualità di una scrittura tutta guizzi, nitida e tesa ancorché declinata in comunicazioni inscritte in un orizzonte strettamente familiare e domestico, insospettabilmente aperta a sorprendenti cortocircuiti come l'autoironica digressione in punta di penna su uno dei tratti espressionistici più connotanti della sua prosa (l'impiego anomalo e disinvolto delle parentesi) o la chiassosa tirata contro la censura genitoriale; per la capacità non comune di guardare al fondo, scandagliando tra le ragioni di parole dette o taciute, sino ad attingere il segreto ultimo dell'animo umano.
A partire dal proprio, facendo ogni volta di lettere indirizzate alla più insospettabile delle interlocutrici altrettante tessere dell'autoritratto involontario che il suo formidabile epistolario sovente sa diventare.

di Andrea Aveto