Louise Glück, poeta e docente Premio Nobel 

Il Premio Nobel per la Letteratura assegnato alla statunitense Louise Glück, 76 anni, ha sorpreso molti, specie in Italia, dove era presente solo con due libri di poesie, L’iris selvatico (2003) e Averno (2019), il primo introvabile, il secondo esaurito in pochi giorni. Però la Biblioteca di Lingue dell’Università di Genova dispone di una copia di Averno, da me tradotto nel 2019 e depositato nella nostra biblioteca. Perché non abbia fatto lo stesso per L’iris selvatico, che tradussi all’inizio del nuovo millennio, non so. Forse ho pensato che bastasse la presenza dell’edizione americana. 

La copertina di "Averno"
La copertina di "Averno"

 Glück nella Biblioteca di Lingue 

Infatti, anche a causa del mio lavoro di traduzione, l’Università di Genova possiede le edizioni originali di quasi tutti i libri di Glück, una decina di raccolte, dalle prime, The Triumph of Achilles, Ararat, alla penultima, A Village Life (2009). Va infatti detto che nel corso dei miei quasi quarant’anni di insegnamento a Genova ho curato le acquisizioni, sicché la nostra Università dispone di una delle biblioteche di americanistica (e anglistica) più fornite del Paese. E naturalmente gli autori di cui mi sono occupato più intensamente, da Eliot a Pound, H.D., Frost, Stevens, Hemingway e i contemporanei Premi Nobel Heaney e Glück, occupano un posto importante di cui mi auguro potranno giovarsi generazioni future di studenti e studiosi. 

La copertina de "L'iris selvatico"
La copertina de "L'iris selvatico"

Scrittrice pluripremiata e sfuggente   

Glück è da decenni una delle scrittrici più ammirate e premiate, se non popolari, degli Stati Uniti. A differenza di tanti poeti “confessionali” che mettono in piazza le loro disavventure domestiche, Glück, che è stata in analisi, racconta sì una storia sua, anche con franchezza, ma in maniera indiretta, e volentieri evocando figure e momenti mitici, appunto da Ararat ad Averno.
Ma se guardiamo la poesia Averno che dà il titolo alla raccolta omonima troviamo un discorso tutto personale e contemporaneo:


Muori quando muore il tuo spirito.
Altrimenti, vivi.
Puoi non farcela al meglio, ma vai avanti -
non hai altra scelta.

Quando lo dico ai miei figli
non prestano attenzione.
I vecchi, pensano -
fanno sempre così:
parlano di cose che nessuno può vedere
per nascondere tutte quelle cellule cerebrali perdute.
Ammiccano fra loro;
senti il vecchio, parla di spirito
perché non ricorda la parola per sedia.  

Ma Glück aveva 62 anni quando uscì Averno, e di figli ne ha solo uno, e del resto qui anche in inglese il “vecchio” di cui si dice è maschio. Dunque ci sta parlando una proiezione immaginaria di una condizione comune, col linguaggio spoglio e asciutto di questa scrittrice. Dove sta la profondità di questo racconto? Direi che sta nel presentare in una forma semplice e complessa (la poesia Averno è composta da cinque ampie sezioni) il nudo teatro della mente umana oggi, dove i temi si avvicendano, c’è l’esistenza, la parola, una tabula rasa dell’espressione in cui entrano senza fanfara frammenti di miti, che aiutano a spiegare ciò che resta inspiegabile. Colloquiale, trasparente, eppure misteriosa questa narrazione. Chi è che parla?  

Leggiamo più avanti:

Da un lato, l’anima vaga.
Dall’altro, gli esseri umani che vivono nella paura.
In mezzo, il baratro della sparizione. [allusione al ratto di Persefone, NdR]

Delle ragazze mi chiedono
se sarebbero sicure vicino ad Averno - 
hanno freddo, vogliono andare a sud per un po’.
E una dice, come scherzando, ma non troppo a sud - 

Io dico: al sicuro come da qualsiasi parte,
il che le rende felici.
Intendo dire che niente è sicuro.

Sali su un treno, scompari.
Scrivi il tuo nome sul finestrino, scompari.

Louise Glück con Barack Obama
Louise Glück con Barack Obama. Font: euronews.com

La scuola della poesia 

Vediamo come Glück è smaliziata nell’uso magistrale delle pause, degli enjambments, nel dare risonanza al discorso comune, nel passare dal banale all’affondo esistenziale. Chiaro che è poeta difficile nell’apparente chiarezza, che si rivolgerà sempre a un pubblico attento e capace di sondarne i segreti, non a chi cerca l’urto, l’arguzia, l’effetto immediato. Tutto molto diverso dai nostri tempi disattenti e frettolosi. È come se l’Accademia di Svezia avesse voluto dirci: attenti, la letteratura non è saponette, è questo. Richiede silenzio. Arte di scrivere, arte di leggere.
Che scrittori come Glück (che è anche appassionata docente universitaria a Yale) possono insegnarci.  

di Massimo Bacigalupo