Sergio Staino incontra gli studenti

Sergio Staino incontra gli studenti

Il celebre disegnatore satirico Sergio Staino è stato accolto con entusiasmo dalla Scuola di Scienze Umanistiche che lo ha ospitato lo scorso 26 marzo. Ho selezionato per voi alcune delle molte domande che gli studenti e il pubblico gli hanno rivolto.

Sergio Staino incontra gli studenti - invitoDopo ciò che è successo a "Charlie Hebdo", a suo avviso, esiste un limite di rispetto che la satira deve a certi argomenti?
La satira, come parte dell'informazione, ha dei limiti oggettivi che sono il codice penale. Io non posso fare della satira ad personam per offendere, insinuare o infamare una persona in particolare. Ma, tolto questo aspetto personale della rispettabilità della persona, per il resto la satira è di denuncia di una qualunque situazione istituzionale, politica, ambientale, sociale: c’è una totale libertà per quanto riguarda il singolo artista; una libertà assoluta, anche di andare contro corrente. Se c’è un limite per la satira, e soprattutto la satira che facciamo noi, il limite è dato dal media dove lavori. Cioè, nel momento in cui accetto di lavorare per "l'Unità", ci credo e allora devo condividere quello che è il taglio de "l'Unità". Io faccio un lavoro di satira in cui racconto la realtà politica italiana con dei mezzi che non urtino la suscettibilità dei miei lettori. Se poi faccio un giornale squisitamente di satira, come è "Charlie Hebdo", questo è un giornale senza limiti e lo dichiaro, allora ha tutta la libertà di fare satira senza alcun limite.

Come nascono le sue vignette?
In genere mi viene in mente una vignetta e subito la disegno, come trascrivendola.

L'uso del computer ha modificato il suo modo di lavorare? Non usa più carta e penna? Come procede nel suo lavoro, ce lo può spiegare?
La mia caratteristica è quella di non essere mai stato un purista del disegno. Io ho sempre disegnato su tutto, ovunque io possa fare dei disegni, li faccio. Certo, la carta da acquerello, quella classica, ti dà delle soddisfazioni enormi, perché il segno che viene ha sempre un che di improvvisato, non lo controlli sino in fondo, poi il pennino vibra molto, è come la punta di un sismografo, che non riesci a controllare sino in fondo. E poi, l'odore della carta… C'è tutta una serie di riti che…che ti fanno innamorare. Io ho sempre preferito andare in quella direzione. Via via che aumentavano i miei problemi agli occhi ho iniziato a usare il tavolo luminoso così potevo stare molto vicino al foglio senza farmi ombra perché la luce veniva dal tavolo, da sotto. Ero proprio il disegnatore che si sporcava il naso con la china da quanto mi avvicinavo al foglio, fortunatamente ho il naso piccolo! Ho lavorato tanto con il tavolo luminoso.
Poi, intorno al 2000, la situazione della vista è diventata tale che proprio su certi particolari non riuscivo più a controllarla, allora sono passato al computer; con un senso di sconfitta, abbastanza intristito dall'idea di abbandonare….in realtà ho scoperto un mondo. Una volta che ci sono entrato, mi sono appassionato e ho visto che le possibilità erano infinite, infinite. Allora ho cominciato a sperimentare.
Io lavoro sul computer con una penna che, pensate, è tarata al millesimo, e posso vedere la grandezza del segno, che tipo di segno, quanto è sensibile alla pressione. La grandezza del computer sta nel fatto che puoi mescolare tutto, hai a disposizione non solo una tavolozza cromatica infinita, ma anche una quantità di elementi grafici che vanno dalla preistoria alla contemporaneità: hai tutto, puoi prendere tutto, puoi prendere Van Gogh o Raffaello, puoi mischiarli, puoi fare delle cose come faccio io ad acquerello, tutte storte, e puoi raddrizzarle; e io mi metto lì e me le correggo, e vengono delle cose a mio avviso molto belle. Prima eravamo nell'epoca dell'opera d'arte e della sua riproducibilità tecnica, ora siamo nell'opera d'arte senza originale. Quando mi scrivono i politici e mi chiedono l'originale…io dico, beh, ti do una bella copia, un file! Cambia anche la responsabilità dell'artista, e l'ho sperimentato proprio direttamente, perché, quando disegni sulla materia, la materia concorre all'opera d’arte, con la sua materialità, con la sua pesantezza e concorre anche nel dirti, a un certo punto, di fermarti, come ad esempio con l'acquerello. Col computer puoi invece cambiare all'infinito ed è terribile, perché dici: ho finito o non ho finito? C'è un'assunzione di responsabilità in cui sei il solo che può dire che il disegno è finito.

Leo Lecci
Dipartimento di Italianistica, romanistica, antichistica, arti e spettacolo
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