Genova e Giorgio Caproni

Genova e Giorgio Caproni

Genova - Centro storicoLe date non le ricordo con precisione, ma so, ne sono certo, per presenza e testimonianza diretta, che a metà degli anni Ottanta il poeta Giorgio Caproni incontrò gli studenti della nostra Università in due occasioni: nell'Aula della Meridiana, per iniziativa del prof. Elio Gioanola, e nell'Aula M della Facoltà di Lettere, in via Balbi 4, su invito del prof. Franco Croce; e in questa circostanza era presente anche il Magnifico Rettore di allora, il prof. Enrico Beltrametti che (la memoria non mi tradisce) dialogò con Caproni, chiedendogli, lui da qualificatissimo e prestigioso docente di Fisica, come il poeta concepisse quel senso della "relatività" (ma anche della "reversibilità") che occupa molte delle poesie della sua stagione più tarda, strenuamente solcata da interrogativi metafisici e dall’investigazione ontologica.
Anche la nostra Università, dunque, ha accolto con affetto e ammirazione il poeta cui nel 1985 viene conferita la cittadinanza onoraria di Genova, quasi a doveroso saldo di un debito che la città, negli anni, aveva contratto nei confronti del poeta che aveva fatto di Genova la sua città dell'anima, la città di «tutta la vita», al di là dei dati anagrafici che certificano come Caproni abbia abitato a Genova per poco più di quindici anni perché, nato a Livorno nel 1912, si era trasferito nel capoluogo ligure quando aveva dieci anni, per approdare infine a Roma nel 1938, tenendo peraltro legato il suo rapporto con Genova e con l'entroterra della Val Trebbia, dove è stato partigiano negli anni della Resistenza.
«A Roma abito, a Genova vivo», era solito ripetere Caproni, che con convinta partecipazione ha assunto Genova quale costante riferimento tematico. Più volte evocata e invocata («Genova, mia di mare», «Genova mia città fina», «Mia Genova difesa e proprietaria», «Genova mia di sasso»), da alcuni aspetti peculiari della sua struttura urbanistica («La Genova mercanti,le / dei vicoli») e soprattutto da rilevanti componenti dell'arredo urbano il poeta trae lo spunto per alcuni memorabili componimenti: le Stanze della funicolare, il monumentino di Enea che ora è in piazza Bandiera per Il passaggio d’Enea, L'ascensore (quello che da piazza Portello porta al belvedere di Castelletto).
Il dirompente amore per questa città si esalta in una poesia del tutto singolare: la Litania che, nell'arco di 182 versi, disposti in distici a rima baciata, ripete a inizio di ogni distico il nome della città, commutando la dimensione liturgica (una Litania, per l’appunto) in un enunciato di devozione eminentemente laico, qual è quello che ha per destinazione una città. E la città di Genova è raffigurata nella pluralità delle sue componenti: da quelle ambientali («Genova città pulita. / Brezza e luce in salita»), agli scorci paesaggistici definiti con puntuale designazione toponomastica («Genova d'aerei fatti. / Albàro. Borgoratti»), agli aspetti riguardanti l'attività lavorativa («Genova d’uomini destri: / Ansaldo. San Giorgio. Sestri»), alla dolorosa memoria storica («Genova di lamenti. / Enea. Bombardamenti»), alla fisionomia culturale, con particolare spicco dato ai suoi grandi poeti («Genova nome barbaro. / Campana. Montale. Sbarbaro»). E così via.
Chi volesse farsene un'idea più precisa, può ora utilizzare un volumetto che, nel seguire la lunga trama di Litania, accompagna i distici di Caproni con il suggestivo ausilio di fotografie, in bianco e nero e a colori, dovute a Patrizia Traverso, e con il commento ad opera mia: il volumetto, che porta per titolo "Genova ch'è tutto dire", è dell’editore "Il Canneto".

Luigi Surdich
Dipartimento di Italianistica, Romanistica, Arti e Spettacolo
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