Trent’anni fa la fine dell’Unione Sovietica

Alle 19.32 del 25 dicembre 1991 il presidente dell’URSS, Michail Gorbačëv, appare in televisione per annunciare le dimissioni e, con esse, la dissoluzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).  

Con un drammatico discorso in televisione, ripreso da tutti i canali internazionali, Gorbačëv si rivolge ai cittadini russi, affermando che “il destino ha voluto che quando mi sono trovato a capo dello Stato, fosse ormai evidente che il Paese non versava in buone condizioni … la società era soffocata da un sistema di comando burocratico. Il Paese aveva perduto la prospettiva. Non si poteva più vivere così. Si avvertiva la necessità di un cambiamento radicale”. (…) “Uno dopo l’altro sono falliti i tentativi di riforma. Il rinnovamento si è rivelato ben più arduo di quanto prevedessimo. Eppure, è stata un’impresa storica: abbiamo abbattuto il totalitarismo”. (…) “Lascio la mia carica con un sentimento di angoscia, ma anche di speranza, fiducioso nella vostra saggezza e nella vostra forza d'animo. Siamo gli eredi di una grande civiltà e adesso spetta a ciascuno di noi aiutarla a rinascere a nuova, moderna e degna vita.”

Dimissioni di Michail Gorbačëv (25/12/1991) - Raitre

Il giudizio di Gorbacëv

Il giorno seguente, il presidente della repubblica russa, Boris El’cin, è investito dei poteri presidenziali, compreso il controllo dei codici nucleari, e il soviet Supremo formalmente riconosce la fine dell’URSS e della speranza che aveva generato la “Perestrojka”.  

Trent’anni dopo l’ex presidente dell’URSS è tornato a parlare del significato profondo delle sue riforme, degli ostacoli e delle principali cause del fallimento dalle pagine della rivista “Russia in Global Affairs” [Fulltext: EN | RU ]

Gorbačëv riconosce le “illusioni e gli errori commessi”, ma sostiene con forza il fatto che le riforme erano “una giusta causa”, anche se personalmente avrebbe fatto “molte cose differentemente”. Consapevole di essere considerato un “traditore” del socialismo “per ingenuità e per l’assenza di un chiaro piano di attuazione delle riforme”, Gorbačëv attribuisce agli oppositori la colpa di non aver compreso “l’atmosfera psicologica e morale che dominava la società sovietica” alla fine degli anni Ottanta. Il popolo voleva il cambiamento nella direzione “dell’emancipazione dell’essere umano”, artefice del proprio destino attraverso “un’energia creativa che il popolo sovietico poteva esprimere con una maggiore libertà”. In realtà, nel 1991 l’URSS ha affrontato una vera e propria lotta per il potere interna al Cremlino che ha contribuito, così velocemente e inaspettatamente, ad una “rivoluzione dall’alto” perché “la società non era pronta per organizzarsi e produrre leader capaci di assumere responsabilità per il paese”.  

Nel suo discorso Gorbačëv riconosce essenzialmente un solo errore nel suo percorso riformatore: il ritardo delle riforme economiche, del rinnovamento del partito/Stato e del decentramento e conclude con un’affermazione che è rilevante nel dibattito politico, accademico e internazionale. Egli, infatti, critica l’amministrazione presidenziale americana che ha presentato la fine della guerra fredda e il crollo dell’URSS come una vittoria dell’Occidente: “era una vittoria di entrambi, il trionfalismo produce brutti consigli e se non ci fosse stato questo fraintendimento probabilmente sarebbero cambiate anche le fondamenta della nuova politica internazionale”. 

Cremlino
Il Cremlino
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La politica della memoria

Nelle diverse rilevazioni statistiche che si sono svolte in questi decenni, il dato costante è l’antipatia dell’opinione pubblica nei confronti del “padre della Perestrojka”. Non potrebbe essere altrimenti, soprattutto per quelle persone che hanno vissuto direttamente quel periodo e ricordano quanto sia stata scioccante la crisi economica e sociale degli anni Novanta.

Il sondaggio dell’istituto di ricerca indipendente, Levada Center, ha riportato che ben il 43 per cento degli intervistati giudica tragici gli episodi del 1991 con “conseguenze fatali per il paese e per il popolo” mentre il 40 per cento li considera una mera lotta per il potere.  

La società russa è divisa tra coloro (over 55) che non riescono a dimenticare il dramma di quel periodo, temendo di affrontarne uno nuovo, e le giovani generazioni pronte a determinare il cambiamento di regime.  Il presidente russo Vladimir Putin, che aveva definito la fine dell’URSS come “la più grave catastrofe geopolitica del XX secolo”, nei giorni scorsi ha invece aggiunto che si è trattato della “disintegrazione della Russia storica sotto il nome di Unione Sovietica”.  

Il rapporto fra Gorbačëv e Putin è sempre stato basato sul reciproco rispetto, seppur con qualche contrasto sulla politica interna relativa alle leggi sull’estremismo e contro gli agenti stranieri. In un telegramma di auguri all’ultimo presidente dell’URSS, Putin ha, infatti, scritto: "Lei appartiene di diritto alla costellazione degli uomini di Stato notevoli, distinti ed eminenti dei tempi moderni che hanno esercitato un'influenza significativa sul corso della storia della patria e del mondo".

Mara Morini è docente di Scienza politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche

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di Mara Morini