Un'analisi dei recenti sviluppi in Medio Oriente
La situazione attuale
A distanza di tre settimane dall’uccisione del generale delle Forze Quds iraniane Qassem Suleimani la tensione in Medio Oriente si è rapidamente stemperata. L’attacco del drone statunitense e la conseguente rappresaglia iraniana, hanno costituito una lieve scossa di assestamento in un complesso di fragilità che coinvolge una molteplicità di attori, statali e non statali. Tralasciando l’ingiustificata isteria alimentata dai media nostrani, alcuni dei quali prefiguravano l’imminente scoppio di una Terza guerra mondiale, occorre collocare l’esecuzione mirata di Suleimani nel più ampio quadro di riconfigurazione dell’ordine regionale iniziato da oltre un decennio. Per meglio comprendere tali dinamiche occorre innanzitutto osservare il Medio Oriente ‘allargato’ - dal Pakistan al Marocco passando per il Golfo e il Sahel – come fosse una scacchiera, al cui interno i molteplici quadranti o scenari di crisi – Somalia, Yemen, Siria, Iraq, Libia, Afghanistan per citare i principali – rappresentano tante singole sfide dove ciascun attore può provare a riequilibrare l’equazione di potere a proprio vantaggio.
Le dinamiche degli ultimi anni
Il Medio Oriente, a causa di una permeabilità endemica, è un sistema multipolare aperto, ossia soggetto all’influenza di attori, di dinamiche e di processi ad esso esterni. Di conseguenza, negli ultimi quindici anni la regione ha risentito del cambiamento strutturale globale più di altre aree geopolitiche. A partire dall’amministrazione Obama, complice l’autosufficienza energetica che ha ridotto l’interesse strategico per il Golfo, gli Stati Uniti hanno smesso i panni di unico security provider, auspicando una maggiore ripartizione dei costi e delle responsabilità nella salvaguardia della stabilità regionale. Una politica che l’attuale presidenza Trump ha portato avanti accompagnandola con una diversa narrazione (dal Pivot to Asia al America first) e che ha innescato un processo di rimescolamento degli equilibri di potere regionale.
Nonostante ad oggi gli Stati Uniti rimangano la potenza predominante nell’area, negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo slittamento di potere, una ridistribuzione che coinvolge una molteplicità di stakeholder: extraregionali e regionali. Il vuoto di potere creato dal disimpegno statunitense è stato parzialmente colmato dalla Russia, in quanto potenza opportunista, e dalla Cina che opera come potenza strategica, ossia con una proiezione a lungo termine e non più circoscritta ai soli, tanti, interessi energetico-commerciali. A livello regionale, l’approccio alla regione dell’amministrazione Obama (offshore balancing), ha contribuito ad alimentare una nuova guerra fredda mediorientale caratterizzata dalla proliferazione di identità settarie sempre più aggressive.
Tre poli in gioco
Il fragile state iracheno diventò il primo terreno di scontro tra due blocchi guidati rispettivamente dall’Iran (asse sciita) e dall’Arabia Saudita (asse sunnita), delineando i caratteri di un nuovo equilibrio bipolare per la regione. Oltre alle differenze confessionali, la cui securitizzazione avrebbe prodotto nel tempo il processo conosciuto come ‘settarianizzazione’, la principale frattura tra i due blocchi riguardava l’approccio nei confronti del sistema regionale. Il blocco arabo era dominato da paesi orientati al mantenimento dello status quo, ostili al cambiamento politico e sospettosi dell’espansionismo iraniano. Al contrario, il blocco sciita nutriva una profonda sfiducia nei confronti dell'Occidente e dei suoi alleati regionali, coltivando l’ambizione di esportare in tutta la regione i principi della rivoluzione khomeinista. In questo clima di tensione, l’ondata di proteste che ha attraversato la regione nel 2011 ha messo in luce la fragilità dell’ordine regionale, favorendo l’ascesa di nuovi attori (Qatar) e potenze tradizionali (Turchia) da tempo in cerca di una maggiore centralità. Tra gli effetti delle rivoluzioni e delle successive contro-rivoluzioni, la frattura della precedente polarizzazione bipolare – Asse arabo vs Asse sciita - e l’emergere di un terzo polo quello turco-qatariota. Da allora questi tre poli competono nel tentativo di affermare una leadership regionale e con l’obiettivo di riconfigurare il nuovo ordine mediorientale secondo le proprie preferenze. Evitando lo scontro diretto, intervengono in contesti segnati da fragilità e crisi, servendosi del supporto sul terreno di attori non statali per procura, in alcuni casi del proprio esercito e giocando di sponda con le potenze extraregionali.