Scavando all’Arma Veirana, una grotta ligure nel comune di Erli (Savona), un gruppo internazionale di ricercatori ha scoperto la più antica sepoltura fino ad oggi mai documentata in Europa relativa a una neonata mesolitica, denominata “Neve”, risalente a circa 10.000 anni fa. La sepoltura ha restituito, insieme ai resti del piccolo corpo, un corredo formato da oltre 70 perline in conchiglie forate (Columbella rustica), da quattro pendenti, sempre forati, ricavati da frammenti di bivalvi (Glycimeris sp.), nonché da un artiglio di gufo reale, ma deposto separatamente, in una fossetta a lato.
La scoperta permette di indagare un eccezionale rito funerario della prima fase del Mesolitico, di cui sono note poche sepolture, che testimonia un trattamento apparentemente egualitario di un loro giovanissimo membro. La comprensione di come i nostri antenati trattassero i loro morti ha un enorme significato culturale e consente di indagare sia i loro aspetti comportamentali sia quelli ideologici. Il ritrovamento, avvenuto alla fine del 2017, è stato oggetto di una pubblicazione, nel 2021, sulla rivista Scientific Reports, del gruppo Nature.
Un nuovo articolo, pubblicato sul Journal of Archaeological Method and Theory dallo stesso team di ricercatori*, presenta lo studio del ricco corredo di conchiglie, gettando nuova luce su pratiche e costumi degli ultimi cacciatori-raccoglitori liguri del primo Olocene.
Sebbene i ricercatori non sappiano ancora quando i primi uomini anatomicamente moderni (Homo sapiens) abbiano iniziato a usare i marsupi per i loro neonati, è quasi ovvio pensare che tali borse fossero un indumento comune durante la preistoria, almeno quella più recente, per la necessità da parte dei genitori di poter svolgere le più diverse attività mentre si occupavano della prole. Poiché i materiali utilizzati per la loro fabbricazione non si conservano e le sepolture di neonati preistorici si contano sulla punta delle dita, le prove dell’uso preistorico dai marsupi sono quindi estremamente rare.
Il nuovo studio appena pubblicato avanza nuove ipotesi sull’uso preistorico di questi particolari sacchi per neonati. L’analisi delle diverse conchiglie ritrovate nella sepoltura si è avvalsa di modelli fotogrammetrici 3D ad alta definizione, nonché di osservazioni al microscopio e con microCT, al fine di documentare in dettaglio come queste siano state manipolate dalla comunità a cui apparteneva la piccola neonata e il perché siano state poi deposte nella sua tomba.
I risultati di questa ricerca mostrano che le conchiglie marine erano state cucite su un supporto in pelle (o stoffa?) che ancora avvolgeva Neve al momento della sua sepoltura. La maggior parte di queste presenta marcati segni d’usura, che non possono certamente essere stati prodotti durante la breve vita della neonata. Ciò dimostra che queste conchiglie erano state indossate per un periodo di tempo considerevole da qualcuno della stessa comunità dell’infanta prima di essere poi cedute a lei, quali gioielli di famiglia o talismani. Considerando lo sforzo necessario a mettere insieme un tale gruzzolo di perline, accumulate e riutilizzate nel tempo, è notevole osservare come il gruppo di cacciatori-raccoglitori mesolitici abbia poi deciso di separarsi da questi preziosi oggetti in occasione della sepoltura di un individuo così giovane, lasciandoli cuciti a quello che, verosimilmente, era il marsupio della piccola Neve.
Basandosi su alcune osservazioni etnografiche ovvero su come, in alcune società contemporanee di cacciatori-raccoglitori, i marsupi per neonati vengano ornati e adoperati, si è anche supposto che la comunità di Neve potesse aver decorato l’indumento con conchiglie destinate a proteggere la giovanissima lattante dalle forze del male. In occasione della sua morte prematura, però, si preferì forse abbandonare nella tomba questi amuleti che avevano fallito nella loro funzione protettiva, allontanandoli per sempre dalla comunità.
Questo nuovo studio, a cui seguirà un lavoro più generale sul sito, nel quale verranno illustrate anche le evidenze più antiche, riferibili alla fine del Paleolitico superiore (Epigravettiano) e al Paleolitico medio (uomo di Neandertal, Musteriano), contribuisce ad ampliare le nostre conoscenze su come queste antiche comunità umane si prendessero cura della loro prole e su quali riti, in vita e in morte, venissero praticati.
* Il team è coordinato da ricercatori italiani, Stefano Benazzi (Università di Bologna), Fabio Negrino (Università di Genova) e Marco Peresani (Univerisità di Ferrara), nonché delle Università di Montreal (Canada), della Washington University (USA), dell'Università di Tubinga (Germania) e dell'Institute of Human Origins dell’Arizona State University (USA). Jamie Hodgkins, archeozoologa presso l’University of Colorado Denver, ha qui lavorato insieme a suo marito Caley Orr, anche lui paleoantropologo presso la stessa università.
Le attività di scavo e di ricerca sono state condotte in regime di concessione da parte del Ministero dei Beni Culturali, per conto della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Imperia e Savona, rilasciata al professor Fabio Negrino, in quanto coordinatore e responsabile scientifico del progetto.
La ricerca, lo scavo e l'analisi dei reperti sono stati resi possibili grazie ai finanziamenti di The Wenner-Gren Foundation, Leakey Foundation, National Geographic Society Waitt Program, Hyde Family Foundation, Social Sciences and Humanities Research Council (SSHRC), European Union’s Horizon 2020 Research and Innovation Programme (ERC n. 724046 SUCCESS), Hidden Foods ERC e Max Planck Society.