Il tragitto dell'anima: il mare e il suo significato antropologico

Fare anima 

Quando ognuno di noi decide coscientemente di esplorare la propria anima, scopre quanto essa sia legata alla natura. Qualunque cosa si pensi circa l’anima, compresa la sua stessa negazione, la riflessione umana su sé stessi è un processo continuo e costante per tutto l’arco della nostra vita. 
Come ci ricorda James Hillman (1926-2011), nell’anima di ogni individuo si agitano molteplici figure: in senso individuale, sotto forma di personali convinzioni e motivazioni ad esistere, e in senso collettivo, sotto forma di miti ed archetipi. 

Nella nostra evoluzione, come specie Homo sapiens sapiens, abbiamo attraversato dinamicamente il mondo, domesticandolo nella maggioranza delle geografie, a quasi tutte le latitudini e longitudini. È il potere della nostra umanità: modificare noi stessi e l’ambiente, in reciproca veicolazione. Ed è questa la nostra prospettiva, come esseri umani, ossia progettare modi ed azioni per attraversare le nicchie ecologiche che la realtà ci propone. Ecco perché ci troviamo di fronte, quando vogliamo riferirci all’essenzialità antropologica della nostra esistenza, ad una serie di tragitti culturali, grazie ai quali ogni gruppo umano percorre e scopre la terra che lo ospita. 

Tutto questo è fare anima, ossia movimentare la visione personale che ogni cultura sviluppa di fronte all’ambiente che la contiene. Ed in questo movimento, si creano tragitti nei luoghi terrestri, marini e celesti, tutti originariamente privi di strade e disposti ad accogliere le nostre orme. 
Queste orme sono la nostra anima, in qualsiasi parte del mondo le si trovino, perché testimoniano il motivo del nostro movimento, assieme agli obiettivi che tale cammino conserva nei nostri ricordi e nei racconti.

uomini e natura
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Foto di Deflyne Coppens da Pixabay

Liberi dalla proprietà 

In realtà, anche se sono molte le teorie che cercano di spiegare il concetto di proprietà, non conosciamo con certezza assoluta il perché la proprietà – l’idea di possesso, continuato nel tempo e tramandato di generazione in generazione – si sia sviluppato ed oggi anche virtualizzato. 

Dal mio punto di vista, ritengo che essa sia stata una opportunità evolutiva indotta dalla scoperta dell’agricoltura, durante il passaggio dal nomadismo alla stanzialità, sebbene non reputi, all’interno di questo passaggio, la proprietà essere necessaria. In effetti, vi sono state culture, come alcune tra quelle degli indiani nordamericani, che non hanno mai conosciuto la proprietà, considerandola persino scandalosa. 

In ottica evolutiva, il nomadismo è certamente primigenio rispetto alla stanzialità, nel senso che meglio caratterizza la nostra dimensione specie-specifica. La nostra umanità ha costante bisogno di esplorare e cercare nuove terre, limiti e visioni. La stanzialità produce costrizioni che certo portano ad alcuni vantaggi, ma limita la possibilità di quelle esperienze che producono forti cambiamenti; non permette di ampliare le proprie conoscenze vitali, sviluppando quel sentimento di appartenenza al pianeta, in tutte le sue nicchie ecologiche, come la propria casa. 

Con questo non si vuole dire che la stanzialità non sviluppi forme importanti di conoscenza, ma si intende affermare invece che nella maggioranza dei casi queste informazioni sviluppano una personalità tendenzialmente individualistica, lontana dal sentimento di apertura intellettuale (ossia di libertà) verso tutto ciò che la natura rappresenta, nelle sue diverse forme. 

barca in navigazione
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Foto di Youssef Jheir da Pixabay

Il mare, ossia il luogo di anime erranti 

In navigazione, con qualsiasi imbarcazione, anche all’interno di navi da crociera, l’imperativo etico che veicola la riuscita di questa esperienza antropologica implica la collaborazione e la cooperazione. La vita individuale a bordo è in relazione stretta con l’andamento generale della vita di tutti, negli orari e nelle funzioni, così come nel divertimento. Tutto è pensato, organizzato, anticipato e progettato, affinché l’esperienza marina si trasformi in occasione di riflessione, anche grazie a forme attive di distrazione dalle ambasce della vita quotidiana. 

L’anima, che è paradeigma (come ci ricorda Platone), ossia forma fondamentale che abbraccia il destino interno di individuo, che accompagna ognuno di noi come un’ombra, portatrice di destino e fortuna, trova sé stessa nell’infinità del mare. E questo avviene perché ai crepuscoli, nella mattina come nella sera, il cielo e l’acqua si toccano, senza soluzione di continuità. 

E tutti noi desideriamo ardentemente conoscerci in profondità, fondendoci con l’idea di appartenere ad un meraviglioso sistema naturale, all’interno del quale possiamo imparare il valore di esserne i custodi. 

Alessandro Bertirotti è Docente di Psicologia per il Design presso il DAD
L'autore ha trattato il tema al Convegno online "La rotta della nautica: economia, salute, ambiente e futuro" organizzato da ATENA  (Associazione Italiana di Tecnica Navale) di La Spezia lo scorso 16 giugno.

Foto di copertina di Bessi da Pixabay 

di Alessandro Bertirotti