Il futuro dell’Università e del Paese

Il futuro dell’Università e del Paese

A ogni elezione, ogni categoria presenta una lista di desideri e cerca nei programmi le tracce delle risposte alle proprie richieste. Non voglio interpretare questo ruolo ma cerco di sviluppare considerazioni che vadano oltre il recinto dell’istituzione in cui lavoro da una vita, l’Università.


Quando guardo oltre, vedo i giovani che riempiono aule e laboratori degli Atenei. È a loro che pensiamo quando chiediamo alla politica di avere coraggio e di incidere positivamente sulla vita degli italiani. Se non saremo in grado di formare i ventenni di oggi, l’Italia sarà destinata al fallimento. E in più dovremo invertire la tendenza che porta i nostri ragazzi, una volta formati, all’estero; così investiamo in capitale umano che domani sarà utile per far crescere altre economie.


È istruttivo comparare l’Italia al resto del mondo. Nel 2009 abbiamo speso per l’educazione universitaria l’1% del PIL, 40% in meno della media UE e dei paesi OCSE (30° posto). Negli ultimi 5 anni gli iscritti all’Università sono saliti del 13% nei paesi OCSE ma sono diminuiti, se pure lievemente, in Italia e nel 2010, il numero dei laureati nella popolazione tra i 25 e 34 anni era di 21 su cento abitanti, oltre 40% in meno della media UE e dei paesi OCSE (32° posto).


Si aggiunga che nel 2011 l’investimento italiano per la ricerca è stato pari all’1,26% del PIL, 35% in meno rispetto ai paesi europei e OCSE (26° posto) e solo il 4% dei lavoratori italiani è rappresentato da ricercatori contro quasi il doppio nei paesi europei e OCSE. Nonostante ciò tiene abbastanza bene la nostra produzione scientifica internazionale che ci colloca al 19° posto nel mondo dopo correzione per il PIL.


Appare quindi “irresponsabile”, come affermato anche dalla CRUI, la scelta del Governo di contrarre ancora i finanziamenti ministeriali che dal 2008 sono diminuiti del 10% e di oltre il 16% se corretti per l’inflazione. Inoltre pochi mesi fa è stata fortemente limitata la possibilità di reclutare docenti che si sono ridotti circa del 20% dal 2009; infine, il recente taglio di tre quarti dei finanziamenti per i progetti nazionali di ricerca mette in ginocchio la ricerca.


Le scelte politiche appaiono quindi, più o meno consapevolmente, finalizzate a destrutturare il sistema universitario pubblico, che come si è visto è già ampiamente sottofinanziato rispetto alle altre realtà internazionali.


Non vorrei dare l’impressione di chi pensa che la responsabilità sia sempre degli altri; vi sono “bachi” anche nel sistema universitario. Un esempio? Ci sono troppe Università e troppe sedi decentrate, proliferate per i più diversi motivi anche lontani dalla nobiltà! Tuttavia la politica non può farle morire di inedia riducendo gravemente i finanziamenti. Ci si deve prendere la responsabilità di individuare indicatori trasparenti e condivisi per concentrare il sistema universitario che dovrà essere al fianco di chi avrà il coraggio di renderlo capace di competere con l’Europa e con il mondo.


In conclusione, ci aspettiamo che il nuovo Governo avvii concretamente una politica di sviluppo del sistema universitario, investa in formazione e ricerca per superare l’attuale emergenza e garantisca all’Università autonomia e responsabilità. In altre parole vogliamo poter decidere come gestire le nostre risorse, ma amministrando soldi di tutti è doveroso che venga verificato e valutato seriamente il nostro operato.

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Giacomo Deferrari
Rettore
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