Andarsene al momento giusto
Andarsene al momento giusto
di Marco Cavina (Bologna, 2015)
Il libro di Marco Cavina, storico del diritto nella Università di Bologna, è un’opera non pensata solo per gli specialisti. Essa intende con tutta evidenza rivolgersi a un pubblico più vasto; e vi riesce grazie alla notevole qualità della scrittura, e soprattutto per il fatto che fa incontrare attorno al tema dell’eutanasia non solo la ricerca storica, ma la scienza giuridica, la medicina, la filosofia, l’antropologia.
Sono i tre, a mio modo di vedere, gli elementi più significativi dell’opera. A prima vista l’eutanasia pare essere un problema medico, oltre che evidentemente e tragicamente esistenziale. Sulla ricostruzione e la lettura dei discorsi scientifici o pseudoscientifici attorno a vita, corpo, corpo malato, sono ben noti i propositi di svelamento perseguiti in àmbito storico-sociale soprattutto da Michel Foucault. Ricerche di grande fascino e anche di indubbio profitto, ma allo stesso tempo anche con il rischio altrettante volte di applicazioni automatiche (tipiche invero di certo strutturalismo) di una filosofia del sospetto che vede istituzioni e potere dappertutto, e che della medicina finisce per oscurare, contro le intenzioni dichiarate, proprio le soggettività più importanti, quella del medico e quella del malato. Il libro corre lontano da simili rischi, lungo una narrazione invece - verrebbe da dire - sobriamente fenomenologica, a tutto vantaggio dell’autonomo esercizio critico del lettore.
Altro punto, la vastità dello sguardo storico. Estensione che è un modo per Cavina non certo per dare prova dei suoi talenti di storico del diritto, ma per restituire alla eutanasia la sua dimensione universale di problema esistenziale. L’eutanasia è una questione che non sorge nell’Ottocento o nel Novecento, in conseguenza magari di una sensibilità maggiore per via della secolarizzazione o dei processi rivoluzionari o per imitazione più o meno consapevole di qualche vicenda esemplare dell’antichità greco-romana. Esiste da sempre, ed esiste da sempre come una questione difficile. Ma se questo è vero, ne discende l’impegno per una ricostruzione dalla latitudine, appunto, decisamente molto più ampia; nel libro così si parte da Ippocrate e Seneca per arrivare sino ai primi decenni del secolo passato.
Infine, ultima questione. Dato questo obiettivo, ambizioso per necessità, Cavina rifiuta scorciatoie di segno storicista, la tentazione cioè di far confluire un’epoca dentro un’etichetta, di maggiore o minore favore per il suicidio, o di approvazione o di condanna dell’eutanasia. Cavina ci fa vedere bene che le cose sono molto più complesse di così. Che né l’antichità, per esempio, è tutta incline verso la buona morte, né che d’altra parte la cristianità è semplicemente inquadrabile in un orientamento contrario. Vi sono state idee cristiane per esempio, pur minoritarie, di segno diverso, così come sono esistite culture popolari che hanno cercato di affrancarsi dal rigore ufficiale.