Le grandi emigrazioni europee del Novecento secondo Krzysztof Dybciak
Le grandi emigrazioni europee del Novecento secondo Krzysztof Dybciak
Il secolo scorso può essere definito il secolo delle migrazioni, ha affermato il Prof. Krzysztof Dybciak (Università Card. S. Wyszsynski di Varsavia) nella sua conferenza tenuta il 25 settembre scorso nell’Aula Magna della Scuola di Scienze Umanistiche.
Grandi movimenti di interi popoli hanno caratterizzato questo secolo anche in Europa, dove alcune delle più importanti vicende epocali di cambiamento radicale sono state influenzate in misura rilevante dagli spostamenti di gruppi di protagonisti della vita culturale e scientifica. Le principali regioni d’Europa, eccetto le Isole Britanniche e la Scandinavia, hanno conosciuto, in momenti diversi, il fenomeno di una gran parte della loro popolazione che, forzatamente o per scelta, viveva in terra straniera senza perdere le proprie caratteristiche né il legame con il paese di provenienza. Cosicché anche la vita culturale di queste società si è svolta su un duplice binario, in patria e nella diaspora.
In particolare l’attenzione del Prof. Dybciak si è rivolta alle diaspore di quattro tra le più grandi nazioni del nostro continente, cioè quella russa (sorta dopo la Rivoluzione di Ottobre e ripresa dopo la seconda guerra mondiale), quella austro-tedesca (concentratasi soprattutto nel periodo nazista e caratterizzata in buona parte dall’elemento ebraico), quella spagnola (seguita alla guerra civile) e quella polacca (dovuta all’occupazione sovietica e al regime derivatone). Sotto il profilo politico, l’emigrazione spagnola e austro-tedesca, in particolare quella degli intellettuali, ha avuto un orientamento antifascista e antinazista, la diaspora russa e polacca un orientamento anticomunista.
Al di là dei contributi importantissimi degli emigrati nella produzione artistica, filosofica e scientifica, è proprio il significato politico-culturale complessivo della diaspora del Novecento a risultare di rilevanza straordinaria. Essa infatti ha avviato in modo decisivo l’integrazione delle culture nazionali nella comunità internazionale sia a livello europeo sia nel processo di costruzione di una società universale, che è vista da alcuni come una repubblica mondiale confederale (più o meno priva di potere centrale), da altri come un impero globale con centri decisionali differenziati. La costruzione di tale comunità universale è stata resa possibile grazie all’eliminazione dei totalitarismi, cui hanno contribuito in modo determinante, sul piano della testimonianza dei valori di libertà e della battaglia politico-culturale, proprio gli intellettuali della diaspora, che hanno riabilitato, valorizzato e mobilitato le “vittime della Storia”. L’emigrazione antifascista e antinazista ha condotto una forte resistenza contro l’Impero del Male, contribuendo alla sua sconfitta anche attraverso la lotta militare. L’emigrazione anticomunista è stata ancora più determinante nella demolizione dell’impero sovietico, che non poteva essere vinto con la forza delle armi (di cui deteneva l’arsenale più potente e distruttivo), ma solo con quella delle azioni simboliche e non violente, dell’antipropaganda, della controinformazione e della mobilitazione culturale che poteva organizzarsi efficacemente solo nella diaspora.