La guerra di mio padre

La guerra di mio padre

di Luca Borzani (ed. Il Nuovo Melangolo)


Quando suo padre è morto, Luca Borzani ha scoperto il diario e le lettere che l’ing. Giovanni Borzani, che è poi stato, oltre che uno stimato professionista, un illustre docente del nostro Ateneo, aveva scritto durante il suo internamento in diversi campi di concentramento tedeschi, dove era stato rinchiuso dopo l’8 settembre ‘43, in quanto ufficiale dell’esercito italiano non più alleato con i nazisti. Non avendo mai accettato l’insistente proposta di aderire alla Repubblica di Salò, che gli avrebbe assicurato un più celere rientro in Italia, la prigionia dell’ing. Borzani si è protratta sino al termine della guerra. Luca Borzani non ignorava questi fatti, ma li conosceva solo per cenni, avendo il genitore steso su di essi un velo di riserbo, che, forse, soltanto negli ultimissimi anni di vita pareva propenso a rompere. Così il figlio ha raccontato (La guerra di mio padre, Il Melangolo 2012) la storia che il padre non aveva voluto o potuto raccontare.

La storia del prigioniero Borzani non è diversa da quella di centinaia di migliaia di altri militari, italiani e no, finiti nei campi tedeschi. È una storia di fame, paure, sofferenze interminabili. È una delle tante, piccole storie dei lager. Ma in questa c’è una grandezza piccola e silenziosa: la resistenza al nazismo, non con l’ideologia o le armi, ma con la dignità che non cede a chi chiedeva di mancare al proprio giuramento di ufficiale e ai propri doveri di soldato italiano. In questo senso, anche la decisione di non parlarne troppo, dopo, a guerra finita, è un prolungamento di quella modesta, ma civilissima resistenza. Questo riserbo fa tutt’uno con la misura mite del protagonista, la preoccupazione più per i suoi, la madre, la sorella a casa, che per sé, l’impegno a far coraggio in lettere magari scritte negli stessi giorni in cui il diario annotava con ingegneristica essenzialità la scarsità di cibo, il freddo o le malattie. Anche la decisione di non raccogliere l’offerta di Salò, cui invece aderì il fratello, tornato prima in Italia e per di più senza neanche la necessità di rivestire la divisa, è presentata dall’ing. Borzani come un gesto quasi banale, che non ha bisogno di particolari ragioni né forze e che non implica neppure un’aperta riprovazione per chi non lo condivide e accetta le profferte della RSI. Questo è sorprendente, vero e bellissimo; immette nella vicenda una nota supplementare di verità e umiltà umana. Luca Borzani la osserva, anche lui con pacato rigore, ma senza nascondere, nei suoi commenti, negli appunti presi durante un viaggio recente sui luoghi della prigionia paterna, la propria commossa fierezza di figlio e forse anche un po’ di rammarico per non aver capito fino in fondo, quando ancora era vivo, tutta la nobile semplicità di suo padre. Per queste ragioni, il libro, oltre ad essere un impeccabile saggio storiografico, è pure un delicato racconto di vita familiare, con tenerezze che richiedono alla scrittura anche l’eleganza letteraria utile a contenere i soprassalti della commozione.

Vittorio Coletti
Dipartimento di Italianistica, romanistica, antichistica, arti e spettacolo
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