Donna faber. Lavori maschili, sessimo e altri stereotipi
DONNA FABER. Lavori maschili, sessismo e altri stereotipi
Lavori femminili. Lavori maschili. Il mercato del lavoro è sessuato, ma quanto è ancora sessista?
Il sessismo è diventato sempre più impalpabile, sfuggente, difficile da dimostrare. Si percepisce, ma non si cattura; si sperimenta, ma spesso non si può denunciare. La marginalizzazione delle donne è certamente meno sfacciata e diffusa rispetto a solo quarant’anni fa, ma proprio per questo, forse, più pericolosa e insidiosa. Il sessismo permea, dunque, anche il mondo del lavoro contemporaneo, mimetizzandosi silenziosamente entro mercati definiti da confini che rimangono invisibili al nostro sguardo, almeno fintantoché qualcuna - o qualcuno - sfida le regole (per scelta, caso o necessità) attraversandoli.
Cosa succede, dunque, alle donne che sfidano l’ordine simbolico valicando questi confini tanto invisibili quanto persistenti?
Cosa significa essere donna in lavori che la società si ostina a pensare e a rappresentare come maschili. “Lavori da uomini”?
Abbiamo cercato di rispondere a queste domande attraverso un lavoro di sociologia visuale nel quale sociologia e fotografia, racconti di vita e immagini potessero incontrarsi, dialogare e contaminarsi, in modo da poter restituire i risultati della ricerca attraverso uno strumento comunicativo in grado di uscire (finalmente!) dalle mura dell’accademia per incontrare un pubblico allargato: una mostra socio-fotografica.
La mostra, dal titolo Donna Faber. Lavori maschili, sessismo e altri stereotipi, fatta di immagini (le foto dell’Associazione Culturale 36°Fotogramma), parole (i testi, di chi scrive, riportanti i risultati della ricerca) e voci (stralci di intervista recitati dalla bella voce di Jone Garrisi), ha trovato ospitalità dall’8 al 25 novembre presso lo spazio 42R di Palazzo Ducale, registrando uno straordinario e inaspettato successo di pubblico.
Quando una donna viola i confini entrando in un universo che la società si ostina a rappresentare come maschile, l’ambiente si riorganizza per ridefinire le regole del gioco e rimettere al loro posto le donne ribelli. Inizia così un progressivo e inesorabile processo di invalidazione fatto di barriere all’ingresso – “donne in cucina non ne vogliamo!” -, messa in discussione delle capacità – “non ce la puoi fare”; “faccio io perché è pericoloso” –, mancato riconoscimento dei titoli – “alle riunioni non mi puoi chiamare cara, tesoro!” –, intimidazioni – “quando passavo iniziavano a dire le parolacce”. Oltre a queste forme sottili di violenza psicologica, nei racconti delle donne ricorre spesso la dimensione della sessualità usata contro di loro, e quindi le insinuazioni – “se lavora in mezzo a tanti uomini sarà una facile” –, i commenti sull’aspetto fisico, i corteggiamenti insistenti, fino ad arrivare alle molestie e agli stupri, sono tutti strumenti per ridefinire le regole del gioco e rimettere in carreggiata le donne ribelli.
Per saperne di più visita il sito www.donnafaber.it