Racconti dall'alluvione
Racconti dall'alluvione
Il 4 novembre 2011 sarà una data che la nostra città non dimenticherà, una data scritta nel fango che ha invaso e sfigurato la nostra città, nella paura di chi cercava un rifugio contro l'onda d'acqua che avanzava e inghiottiva le strade, le macchine, i primi piani dei palazzi e nel vuoto lasciato da sei vite che non ci sono più.
Poche ore sono bastate a ridurre interi quartieri e il centro di Genova in paludi di acqua e terra.
Tanti nostri colleghi frequentano zone colpite pesantemente dall'alluvione e noi abbiamo voluto raccogliere, in questo numero della newsletter, alcune dei loro racconti.
GENOVA FA PAURA!
Piove! Piove tanto! Tutti sapevamo da mercoledì che a Genova c'era lo stato di "ALLERTA METEO 2", ma nessuno si sarebbe sognato tanta acqua così…
Sono in ufficio, alle 13.17 (!) timbro ed esco, percorro via Balbi e mi incammino verso piazza della Nunziata. Mentre attendo un autobus per la Foce, ricevo la telefonata della mamma rappresentante di classe di mio figlio "il grande" che mi avverte che la scuola anticiperà l'uscita e i bimbi vanno presi prima (naturalmente le maestre li avrebbero tenuti con loro al sicuro finchè un genitore o un delegato non li recuperava dalle loro mani), le dico che avrei preso anche i suoi maschietti se fossi arrivata prima di lei.
Salgo su un 30, ricevo la telefonata di mia mamma che, allarmatissima per le notizie trasmesse dalla eccezionale diretta di Primocanale, cerca di dirmi di non andare verso Brignole perché c'è già tanta acqua, in realtà non riesco a sentire tutto ciò che mi dice perché le linee sono a tratti interrotte e quando cerco di ricontattarla la rete risulta occupata.
Cerco di contattare mio marito per sapere se può essere più vicino lui alla scuola e quindi fare prima, ma non riesco a parlargli.
A metà di via XX Settembre, quando il bus è fermo, alzando le punte dei piedi mi accorgo che in fondo a via Fiume c'è un lago d'acqua che cresce a vista d'occhio… scendo di corsa, mi dirigo verso via Cesarea, via Malta e vedo via Granello inondata con mobili che galleggiano (forse dalle immagini che ho rivisto dopo ai vari TG erano le campane bianche della raccolta differenziata, che trascinate dall'acqua si muovevano in strada…).
Inizio ad avere un po' di paura, il mio pensiero è come arrivare il più velocemente possibile al di là di viale Brigate… Lì vedo macchine viaggiare in contromano e capisco che l'acqua è aumentata e stanno scappando dove riescono.
Di corsa arrivo in piazza della Vittoria e, con l'acqua fino ai polpacci, cammino senza vedere e sapere dove appoggio i piedi; all'attraversamento spero solo che il Bisagno non esondi in quel preciso istante, e in una frazione di secondo penso dove mi avrebbe potuto scaraventare un'onda di quel genere se fosse sopravvenuta… davanti a me c'erano i divisori di cemento e le megagru che lavorano per contenere gli argini del fiume… e nessun punto di appoggio…
Con l'acqua alle ginocchia, e il cuore in gola, traghetto veloce in strada ed arrivo finalmente in via Pisacane, lì pioveva tanto e c'erano dei bei ruscelli ai lati dei marciapiedi. La percorro tutta e arrivo tra le migliaia di foglie finalmente in piazza Palermo.
Sono arrivata alla meta, meno male! Basta, posso tranquillizzarmi.
Salgo al terzo piano ancora trafelata, e vado dai miei bimbi, mi calmo.
Torno a casa di corsa ma un po' più sollevata!…
Oggi rivedendo le immagini e le telecronache di quei momenti posso dire che sono stata proprio fortunata e stando così le cose non avrei potuto fare proprio nulla di diverso!
Anna Barbera
CRONACA DI UNA "GIORNATA DI STRAORDINARIA FOLLIA"
La mattina del 4 novembre alle ore 10 la segreteria della scuola media di mio figlio, la Parini Merello, posizionata accanto al Bisagno, mi rassicura, nonostante la pioggia incessante: "non abbiamo avuto segnalazioni particolari".
Continua a piovere copiosamente e alle 12,40 mio figlio allarmato riesce a contattarmi chiedendomi di andarlo a prendere, i suoi compagni stanno già lasciando la scuola. Decido di uscire immediatamente dal lavoro, prendo un taxi, così arrivo prima. Purtroppo stava già accadendo la tragedia, ma non si sapeva nulla. Il taxi con difficoltà mi porta fino al ponte di Sant'Agata, scendo e provo ad attraversare il ponte. Il Bisagno è in piena, fa paura.
Raggiunta la scuola mi sconsigliano di portare via mio figlio, c'è il rischio dell'esondazione, ma io sono disperata, mia figlia maggiore è in grande difficoltà, è per strada, ci vuole raggiungere per tornare a casa insieme!
Usciamo da scuola e ci ripariamo davanti all'entrata delle Poste in attesa di mia figlia e di una sua collega. Eccole ci stanno raggiungendo con fatica, hanno l'acqua che arriva all'altezza della vita! Ora cosa facciamo? Siamo terrorizzati! L'acqua non diminuisce! Decido di prendere in mano la situazione e voglio portare tutti a casa al più presto possibile, ma abito alla Foce e non so dove passare.
Attraversiamo la galleria che da San Fruttuoso porta in Corso Torino, ci teniamo tutti per mano, l'acqua è alta più di un metro e galleggia di tutto: vincendo l'angoscia e il terrore ci aiutiamo con un bastone ad allontanare topi, bisce… le fogne si sono aperte!
Alle 16,45 apro la porta di casa ora siamo al sicuro!
I nostri abiti, le nostre scarpe, tutto è da buttare, non si può salvare nulla… e a questo punto mi rendo conto che abbiamo rischiato la vita!
Tutti noi siamo ancora sotto choc, soprattutto mio figlio.
Io non sono genovese di nascita, non ho vissuto le precedenti alluvioni, ne ho sentito solo parlare, ma non mi immaginavo che in una città come Genova già ferita pesantemente negli anni precedenti, si potesse ancora rischiare la vita! Forse bisogna che tutti facciano una profonda riflessione, che non si dimentichi, che si prendano provvedimenti seri!
Le disgrazie che abbiamo visto non devono più accadere.
Giulia Di Liddo
APPUNTAMENTO CON IL DESTINO
Abitando da decenni nella zona di Marassi - Quezzi - San Fruttuoso è la seconda volta in cui mi trovo, in prima persona, a poter portare - purtroppo! - la mia testimonianza sugli eventi alluvionali genovesi, da cui, innanzitutto, la considerazione "Appuntamento con il destino".
Nel 1970 - alunna dell'allora Scuola media Luca Cambiaso, nell'omonima via - avevo percorso, come ogni giorno, circa una mezz'ora prima del crollo, l'antico Ponte romano di S. Agata, allora pedonale, per prendere l'autobus (il 56, non ancora circolare) per ritornare a casa in Via Loria, Quartiere Biscione.
Mezz'ora dopo il ponte da me percorso con le mie compagne (allora le classi non erano miste) crolla miseramente e poco dopo crolla anche un pezzo del Biscione di Via Fea, la via sotto la mia: quindi primo, per fortuna mancato, appuntamento con il destino.
Venerdì scorso, decenni dopo, abito in Via Archimede - prosecuzione di Corso Sardegna - palazzo della Usl, e in quartiere conosco molte persone, alcune delle quali abitano in Corso Sardegna.
A seguito dell'uscita anticipata concessa dall'Ateneo, intorno alle ore 13 mi trovo sull’autobus 37 diretta in corso Sardegna per pranzare con una amica.
Giunti davanti alla Stazione Brignole, l'autista informa che la zona di S. Fruttuoso è inagibile, per cui l'autobus avrebbe seguito un diverso percorso.
Passa un buon quarto d'ora e anche più - sotto l'acqua che man mano diviene sempre più forte almeno a giudicare dallo scroscio sul tetto dell'autobus, e da quel poco che si intravvede dal finestrino (essendo l'autobus gremito fino all'inverosimile) - quando arriviamo faticosamente a metà di Via Moresco e l'autobus finalmente apre le porte.
Decido allora di scendere, essendo a quel punto già in ritardo (cosa che detesto, ritenendola indice di maleducazione) per precipitarmi in casa dell'amica che mi attendava a pranzo in Corso Sardegna e che abita nel palazzo a fianco della Chiesa di S. Fede.
Già nello scendere dall'autobus avverto come qualcosa davvero non vada (dentro all'autobus, a parte la pioggia scrosciante, non me ne ero accorta): l'acqua mi arriva al ginocchio all'altezza del predellino.
Da inguaribile ottimista penso: "Sarà un punto dove l'acqua si è raccolta, ha formato un lago, insomma una casualità."
A questo punto mi trovo sulla sponda del Bisagno, all'altezza del ponte successivo a S. Agata, direzione monte, ponte solo pedonale.
Uno sguardo al fiume mi sollecita subito il paragone: "Però… sembra davvero alto come nel 1970 o quasi" (che ricordavo bene.)
Di nuovo autoinieizione di ottimismo: "Ho visto però in questi anni intervenire sui margini, quindi Rosanna, mi raccomando, non spaventarti e imponiti di attraversare il ponte se vuoi andare di là".
Mi accingo quindi ad attraversare il ponte pedonale insieme ad una signora, piuttosto anziana, scesa anche lei dall'autobus, che mi dice "Ho paura, ma se lo attraversa lei, lo attraverso anche io, visto che abito proprio lì di fronte in Corso Galilei".
Correndo attraversiamo il ponte insieme che, essendo particolarmente arcuato, non è comunque lambito dall'acqua, ma ci manca davvero poco.
La signora è spaventata da quello che vede sotto e io le dico: "Signora, non guardi, cammini, che siamo quasi arrivate".
Giunte all'altro lato, non troviamo però i tre scalini per scendere nel marciapiede in quanto ormai anche Corso Galilei si è trasformata in una piscina ad altezza ginocchio.
Tenendoci per mano attraversiamo faticosamente la strada e la signora è effettivamente arrivata al suo portone. Gentilmente mi dice: "Venga su a casa mia, non continui a stare per strada" ma io, nonostante, tutto mi illudo di riuscire ancora ad onorare il mio impegno a pranzo, essendo la mia amica una persona anziana che mi aspettava con ansia (non posseggo, per scelta di vita, il cellulare).
A questo punto cerco di avvicinarmi, per una delle vie traverse, a Corso Sardegna ed effettivamente pian piano ci riesco, spuntando più o meno da Via Don Orione, altezza pasticceria Robbiano.
Nel frattempo si sono già fatte le 13.30/13.45 circa (scopro poi che il clou era passato da circa una mezz'ora ).
Neppure il mio inguaribile ottimismo riesce però a resistere allo spettacolo che vedo di Corso Sardegna: non solo l'acqua alle ginocchia e oltre (a cui sono già abituata) ma la velocità stessa dell'acqua, ben diversa da quella di Corso Galilei in quanto molto più "accellerata", che ha trasformato la via in un fiume limaccioso di colore marrone su cui vedo galleggiare rami e oggetti vari.
Rimango qualche minuto impietrita a guardare e mi rendo conto che non riuscirò mai, in nessun modo, ad attraversare Corso Sardegna.
Per forza devo rinunciare al mio appuntamento.
In strada vedo molte persone come me perplesse e con l'acqua al ginocchio, nonché alcuni con giubbotti catarifrangenti che cercano in qualche modo di aiutare i passanti a reggersi in piedi, perchè il problema è soprattutto quello. Decido allora di riportarmi su Corso Galilei per ritornare a casa in via Archimede ma anche quella si rivela una bella impresa, per percorrere 500/600 metri di strada, con l'acqua al ginocchio, impiego un bel pò di tempo e soprattutto mi impongo di non spaventarmi, cercando di schivare quello che galleggia, perché tanto devo cercare di tornare in qualche maniera e nessuno può aiutarmi. I marciapiedi non ci sono più o meglio se ne avverte l'esistenza dall'ulteriore dislivello dell'acqua che, dall'ormai usuale acqua al ginocchio e oltre, arriva a metà coscia.
In strada siamo comunque in molti (è l'uscita di scuole e uffici) e tra sconosciuti si attiva una sorta di solidarietà naturale dandoci le mano e sorreggendosi l'un l'altro nei tratti di maggiore difficoltà. Faticosamente arrivo in Via Archimede, dove la situazione sembra leggermente migliore: a occhio e croce mi sembra che l'acqua sia un pochino più bassa. Finalmente guadagno il mio portone e ringrazio il cielo.
A casa è normale mettersi davanti alle TV locali per assistere in diretta a quello che sta accadendo, in ambasce soprattutto per i componenti della famiglia non ancora a casa.
Nel frattempo, fortunatamente, anche il figlio "mancante" riesce a ritornare a casa, lui con l'acqua addirittura alla vita, essendosi trovato a transitare nella zona dei sottopassi di Brignole e abbandonando quindi, non appena ha potuto, la moto. Riferisce di avere, insieme ad altri giovani, aiutato a uscire dalla macchina un signore anziano terrorizzato imbottigliato dentro, spaccando il vetro del finestrino e tirandolo letteralmente fuori. Tempo ancora un quarto d'ora e un vocio nella scala informa che il portone si è allagato di quasi un metro.
La televisione trasmette notizie terrificanti, addirittura di persone morte, mentre nel frattempo la pioggia inizia a decrescere e nel primo pomeriggio cessa per qualche mezz'ora.
Non si riesce a staccarsi dalla televisione che sembra trasmettere una serie tv, non la vita reale, mentre il telefono inizia a suonare quasi ininterrottamente avendo molti parenti nel meridione che iniziano ad essere seriamente preoccupati da quello che vedono in TV.
La nottata in qualche maniera passa e, all'indomani, per chi abita così vicino, è normale sentire l'esigenza di rendersi in qualche modo utile.
Nel pomeriggio - da ex oratoriana - vado ad aiutare le suore di Corso Sardegna, che hanno subito danni pesantissimi, e devo dire che tocco con mano come la catena di solidarietà umana sia davvero notevole. Corso Sardegna è un brulicare di persone infangate e sudate che in qualche modo aiutano a spalare nei negozi, nei portoni e negli scantinati.
Non ho il coraggio di avvicinarmi al famoso portone di Via Fereggiano. Intravvedo però da lontano che ci sono davanti numerosi furgoni della polizia e delle varie televisioni. E qui finisco.
Senza entrare in inutili polemiche relative alle responsabilità dei nostri amministratori e alla tragica concausa che è derivata da una urbanizzazione selvaggia e non attenta a preservare l'equilibrio idrogeologico delle zone della città, posso testimoniare in prima persona la vera "eccezionalità dell'evento" che, per la repentinità in cui tutto è avvenuto, ed i venti impetuosi che soffiavano, fa pensare a noi profani più ad una tempesta tropicale e ad un monsone, piuttosto che a una caduta di pioggia, in ogni caso eccezionale.
Tutto quanto mi porta sempre più a pensare come, proprio per il concatenarsi di numerose tragiche concause, il fatto che la maggior parte di noi può raccontare la propria esperienza - mentre purtroppo alcuni innocenti non possono più farlo - derivi principalmente dall'essere stati nel posto sbagliato al momento sbagliato e non avere quindi potuto eludere "l'appuntamento fatale con il proprio destino".
Rosanna Galdi
"ANGELI DEL FANGO" SOTTO CASA
Ci sono momenti della nostra vita che restano fermi nella memoria e nel tempo. Dal 4 novembre alcune immagini ed un'altalena di sentimenti, paura, angoscia, commozione, sollievo di ritrovare salvi i propri cari, si sono fissati indelebilmente nei miei ricordi.
Di questa alluvione ricorderò l'inizio, verso le tredici e trenta di venerdì 4 novembre: una voce a telefono dalla Valbisagno - è il figlio del nostro collega Roberto – che ci anticipa quanto sta accadendo a Molassana… Un'esondazione è in corso e la casa della nonna al piano terra è stata evacuata.
A questo punto mi rendo conto che forse non potrò rientrare a casa mia in Corso De Stefanis (abito in prossimità dell'incrocio di Corso De Stefanis con Corso Sardegna e Via Fereggiano). Penso a mia figlia che è scuola in Piazzale Paul Valery (su una collina di Marassi) e che devo avvisare i nonni, che abitano vicino alla scuola e potranno raggiungerla in tempo all'uscita alle quattro. Penso a mio marito che sta rientrando da Quarto e che non riuscirà a raggiungere casa, ma rivedrò il giorno dopo.
Penso a tutti i miei cari e ragiono sul da farsi con la collega Ilaria che si offre di accompagnarmi a Marassi o fin dove si può arrivare. Usciamo insieme con la sua auto e procediamo con prudenza acquisendo informazioni cammin facendo: in Via XXV Aprile la strada è chiusa, non si può accedere a Piazza Verdi. Decidiamo di raggiungere Carignano, dove Ilaria abita, in attesa di ulteriori notizie sull'evoluzione degli avvenimenti. Nel frattempo ai bar si accalcano molte persone che seguono la diretta su Primocanale, i collegamenti telefonici sono difficili, la comunicazione via sms funziona a malapena…
Ritornerò a casa mia (dove l'ingresso è allagato e manca la corrente elettrica) domenica sera, potendo beneficiare dell'ospitalità dei miei genitori.
Alle quattro di venerdì pomeriggio l'unico varco possibile verso quell'altra metà di Corso De Stefanis che non si è allagata è Ponte Campanella (da Via Montaldo a Piazzale Parenzo): circolano poche automobili, tra cui quella dei poliziotti, che con il megafono avvisano gli abitanti di rifugiarsi nelle proprie abitazioni in previsione di un'imminente esondazione del Bisagno.
La paura ritorna con il nubifragio nella notte di martedì 8 novembre ma dal giorno precedente un nuovo sentimento pervade il quartiere di Marassi: è partita la macchina della solidarietà. Al cessare della pioggia, una moltitudine di persone e macchine si avvia al lavoro: uomini della Protezione civile, giovani scout in divisa e tifosi in maniche corte con i loro tatuaggi in vista, studenti delle scuole superiori ed i nostri studenti universitari. I vigili di Milano disciplinano il traffico, mentre un escavatore dei pompieri (di Napoli!) raccoglie i detriti. Sotto casa mia due giovani africani trascinano dai garage e dai magazzini invasi dal fango carriole cariche di mobili e indumenti.
Questo brulicare di volontari è l'immagine positiva con la quale vorrei concludere la mia testimonianza sull'alluvione: un esempio per i nostri politici e per il Paese tutto, un'immagine di speranza e fiducia nella ripresa dei quartieri alluvionati e della città di Genova che ci viene in particolar modo dai giovani "angeli del fango".
A Genova, dal fango che ha portato morte e distruzione è nato un "fiore" di solidarietà.