Rwanda, 25 anni dopo – Una riflessione tra Africa ed Europa sul genocidio del 1994
Il 7 aprile di venticinque anni fa cominciò il massacro della popolazione Tutsi in Rwanda.
In occasione della ricorrenza, giovedì 18 aprile si è tenuto in aula Mazzini l'incontro “Rwanda, 25 anni dopo – Una riflessione tra Africa ed Europa sul genocidio del 1994”.
Un momento di approfondimento che ha voluto esplicitamente rappresentare una riflessione che, a partire dal passato recente, tocchi il presente e il futuro prossimo, rilevi prospettive africane e insieme europee. Dal ricordo alla testimonianza e dalla testimonianza alla memoria.
In questo senso devono essere letti gli interventi testimoniali di Yvonne Ingabire Tangheroni, vicepresidente di Ibuka Italia - Memoria e Giustizia, sopravvissuta al genocidio, e di Gaddo Flego, medico, operatore umanitario con Medici Senza Frontiere del Belgio dall’inizio di giugno all’agosto del ’94.
Yvonne Ingabire Tangheroni, dopo avere inscritto la propria sopravvivenza al genocidio, per certi versi inspiegabile (sensazione comune a molti sopravvissuti), all’interno di un dovere di testimonianza “perché finché noi parliamo la memoria delle persone morte rimane, finché noi viviamo loro vivono”, ha raccontato la sua storia, quella di una bambina (Yvonne aveva 9 anni nel 1994), che si trova isolata dalla propria famiglia fino a perdersi in un campo profughi Hutu in Congo, dove rimarrà a lungo, vittima di violenze, prima di essere ritrovata dai superstiti della sua famiglia. Il racconto ha toccato momenti di particolare intensità nella rievocazione della solitudine provata, del senso di abbandono ed inutilità che caratterizzano l’esperienza del profugo e dell’incomprensione, per una bambina, delle origini dell’odio.
L’odio che prende il sopravvento in un piccolo Paese pur omogeneo per lingua, tradizioni, religione, come in apertura aveva delineato Pietro Veronese, giornalista, che ha ricordato la progressiva costruzione dell’ideologia genocidaria, nella quale il potere coloniale e la chiesa cattolica ebbero un ruolo rilevante.
Gaddo Flego ha ricordato della prima equipe umanitaria nel Bugesera, regione nel sud del Rwanda densamente popolata da Tutsi. Nel suo racconto sono state messi in luce i diversi ruoli assunti dall’Europa durante la primavera del ‘94, dall’aiuto umanitario con la sua astratta neutralità – al confronto con l’enormità del genocidio quale crimine contro l’umanità – fino all’ambiguità dell’”operazione Turquoise” della Francia, che di fatto allestisce un corridoio verso il Congo per gli assassini in fuga (lo percorrerà anche Yvonne, persa nella sua solitudine). Il genocidio si era sostanzialmente realizzato, ricorda Flego: “tutti i bambini più piccoli di un anno sono morti – se non fosse per i pochi sopravvissuti il genocidio dei Tutsi si sarebbe compiuto”.
Come verranno ricordati i nostri giorni, viene da chiedersi quando – qui e ora, in Europa – risentiamo le parole dell’odio, rivediamo le vite di profughi in fuga?
A questa domanda si lega l’intervento di William Jourdan, pastore della Chiesa Valdese di Genova, che ha illustrato il progetto Mediterranean Hope della Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane, il programma di corridoi umanitari che permette ai profughi siriani in Libano in condizioni di particolare fragilità di raggiungere l’Italia con un regolare visto. Ciò non solo consente di evitare viaggi dall’esito incerto, ma rappresenta un modo diverso in cui l’Europa può guardare al resto del mondo: con attenzione, reattività e solidarietà. Un modo per affermare la comune umanità che lega le persone ed i popoli, al riparo da pericolosi discorsi identitari.
Proprio di identità e differenze trattava il testo di Francesco Remotti (da “Noi e Altri. Identità e differenze al confine tra scienze diverse”, a cura di E. Di Maria, GUP), la prima delle letture a cura di Genova Voci.
Hanno poi inframmezzato gli interventi, introdotti e moderati da Pietro Veronese, brani da: Francesco Milazzo, “All’improvviso la pioggia” (Il Melangolo), Gaddo Flego, “Un milione di vite. Un medico racconta il genocidio in Rwanda” (Terre di Mezzo); Esther Mujawayo e Souad Belhaddad, “Survivantes” (L’aube).
Immagine:
Bruce Clarke, "Dissenting voices"
Dal ciclo "Les hommes debout – The upright men"
© Bruce Clarke
www.bruce-clarke.com