Intervista a Federico Delfino, Rettore di UniGe
A poche settimane dall'insediamento, abbiamo posto alcune domande al Rettore sulla sua candidatura, il Polo hi-tech degli Erzelli, i giovani e il futuro della nostra Regione, le prospettive per il nostro Ateneo e un augurio per il nuovo anno.
La carica di Rettore dell’Università di Genova è un impegno molto prestigioso e, in genere, i docenti puntano a raggiungerla a fine carriera. Quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a candidarsi?
Il mondo dell’università è molto cambiato rispetto al passato. Le università sono enti pubblici, che una volta vivevano di trasferimenti di grandi risorse da parte dello stato, oggi invece devono affrontare una situazione in cui le risorse centrali sono limitate e pertanto devono aprirsi al mondo esterno per cercare opportunità per incrementare la loro attrattività. C’è bisogno quindi di molta attività e di grande energia. Penso che vedere la carriera universitaria semplicemente come una successione di transizioni da un ruolo a un altro non sia più ipotizzabile. Meglio un approccio che parta dal percorso svolto e dalle esperienze maturate, che si elaborano in modo indipendente dall’età e che possono essere fruttuosamente messe a sistema. Personalmente, ho seguito per 12 anni le attività universitarie sviluppate all’interno di un Campus, dove operano numerosi Dipartimenti. Il percorso poi si è ampliato al ponente ligure. Alla fine, avendo scelto di lavorare nel mondo della ricerca, che significa anche saper apprezzare l’innovazione e il cambiamento, ho pensato che fosse opportuno mettermi in gioco su questa grande sfida.
Il Campus di Savona di cui è stato Direttore è un modello di sostenibilità ed efficienza energetica. Pensa che questo modello, con riferimento, in particolare, al progetto Energia2020 possa essere "esportato" a Genova e nelle altre sedi dell’Ateneo, distribuite sul territorio e spesso ubicate in palazzi storici?
Non credo che questo modello possa essere esportato tout court sulla realtà genovese. Quell’esperienza è stata, aldilà delle sperimentazioni scientifiche nel settore dell’energia sostenibile, un’attività di dimostrazione alla popolazione della possibilità di produrre, distribuire e gestire l’energia in ambito urbano ricorrendo a soluzioni in grado di apportare benefici ambientali, sociali ed economici. Queste attività hanno creato anche una buona reputazione al Campus e sono servite a far capire che cambiare paradigma energetico è possibile. In questo, muoversi all’interno di un contesto universitario ben circoscritto quale un campus è stato sicuramente un elemento di aiuto e facilitazione dal punto di vista tecnico.
Da una prospettiva più di ampio respiro, invece, ciò che reputo esportabile è la relazione con il mondo esterno. L’Università di Genova ha creato intrecci positivi e collaborazioni con il mondo delle imprese, con quello delle istituzioni, con gli attori socio- economici del territorio sui temi al centro della propria azione: alta formazione, innovazione per lo sviluppo, ricerca e trasferimento tecnologico.
Questo modello di Università aperta, che desidera dialogare e porre al servizio del territorio il suo know how, elaborato grazie ai singoli che fanno ricerca e alta formazione, è la sfida che più mi appassiona, se posso dire.
Genova è la sesta città italiana come numero di abitanti e oggi è al centro di grandi progetti di sviluppo: penso ad esempio al “BlueMed” per la connessione dati, che ci consentirà di vivere da protagonisti la transizione digitale. Avere un’Università che a Genova vuole contribuire ad essere elemento catalizzatore di studenti e di progetti di cultura e innovazione credo possa rappresentare un valore aggiunto per tutto il sistema ligure.
In campagna elettorale ha più volte parlato dei problemi legati al futuro dei giovani nella nostra Regione. I dati dicono che nel 2017 la Liguria è stata la prima Regione italiana per percentuale di cittadini espatriati, con tantissimi giovani brillanti che si sono trasferiti all’estero. Davanti a questo scenario ci chiediamo: quanto secondo lei il futuro del nostro Ateneo è legato al futuro del territorio e dei giovani?
Questa è una domanda centrale. Io penso che l’Università di Genova, quale unico ateneo della Liguria, abbia un ruolo fondamentale nelle dinamiche di crescita sociale e di sviluppo del nostro territorio. Una Regione che ha perso nell’ultimo decennio 50.000 persone fra i 20 e 40 anni, che vede un così alto deflusso della fascia di popolazione più attiva, si deve interrogare sulle azioni da porre in atto per contrastare questo fenomeno demografico, che inevitabilmente ci avvia verso una fase di declino.
Che ruolo possiamo giocare in questa delicata partita? Possiamo essere un elemento di controtendenza. Cerchiamo di far diventare la nostra università sempre più attrattiva, perché così arriveranno più giovani in Liguria, dal momento che la mobilità studentesca interregionale è una tendenza sociale consolidata e lo sarà ancor di più al termine di questa stagione di criticità sanitaria che ha costretto tutti ad uno stile di vita statico e casalingo.
Come essere attrattivi? Sicuramente mirando alla qualità della didattica, alla qualità della ricerca, ma anche migliorando e aumentando i nostri servizi. E riflettendo, infine, su un semplice tema: oggi i giovani scelgono la sede dei propri studi universitari anche in base alle prospettive di lavoro sul territorio. Se l’università non dialoga con le istituzioni ed il mondo economico e produttivo, indirizzando le politiche per la creazione di opportunità di lavoro qualificato, inevitabilmente perde qualcosa nella capacità di richiamo dall’esterno. Altri territori simili al nostro hanno provato a scommettere su questo modello e hanno avuto successo, penso alla regione PACA in Francia, ai Paesi Baschi, a Newcastle in Inghilterra, solo per citare alcuni esempi.
Noi potremmo vivere questa sfida puntando sulla polivalenza culturale che ci caratterizza e che ci consente di partire avvantaggiati rispetto alle università specialistiche, dal momento che oggi le questioni aperte inerenti i cosiddetti megatrend globali richiedono approcci basati sulla multidisciplinarità delle competenze.
Quali pensa debbano essere le istanze più importanti da presentare alla CRUI e al Ministro Manfredi per l'Ateneo genovese?
Credo che in ambito CRUI oggi si giochino partite importanti. Ho visto il piano nazionale di ripresa e resilienza, il grande strumento di pianificazione elaborato a livello italiano per andare a definire gli utilizzi delle risorse del Recovery Fund. C’è un’area che riguarda l’innovazione, la ricerca e l’alta formazione.
Su questo, aldilà dei finanziamenti per specifici progetti di missione e per il diritto allo studio, sarebbe bene allocare risorse da conferire agli atenei italiani per l’adeguamento alle norme di prevenzione e protezione e per le necessarie manutenzioni straordinarie, da effettuarsi quasi sempre in edifici di grande pregio e con molti vincoli legati al loro valore storico-artistico e monumentale. È chiaro che tali interventi necessitano di imponenti somme che i bilanci degli atenei non riescono a stanziare, se non in modo molto diluito nel tempo.
Propongo di cambiare paradigma e di indirizzare a livello nazionale risorse dedicate, facendo diventare le università, che sono luoghi dimostrativi per eccellenza perché accessibili al pubblico e visitabili, degli spazi pubblici esempio di azioni mirate di rigenerazione urbana. Potremo così prevedere misure finalmente risolutive per gli adeguamenti alla normativa antincendio, interventi per lavori di decoro, per l’aggiornamento tecnologico e la digitalizzazione dei processi. Facciamo vedere che l’Italia negli spazi pubblici sa tornare sulla frontiera dell’innovazione e facciamolo soprattutto nelle università dove formiamo la classe dirigente del futuro.
Confida che l'Università di Genova sia in grado di proporre dei progetti attuabili ed efficaci nell'ambito di Next Generation UE?
Abbiamo condiviso con Regione Liguria, a cui è stato chiesto da parte dello Stato di formulare delle proposte, l’idea di inserire una linea di azione per il trasferimento di Ingegneria a Erzelli. Questo è un progetto da portare a compimento, su cui la nostra Università ha già compiuto passi procedurali, che si sviluppa nell’ambito di una trasformazione urbana di ampio respiro nel ponente della città. Credo che sarà fondamentale per la sua riuscita un grande gioco di squadra con la Regione ed il Comune, con l’obiettivo condiviso di disegnare un distretto tecnologico prestigioso, facilmente accessibile e con tutti i servizi del cosiddetto “abitare sostenibile” per la comunità che lo popolerà.
Qual è la sua visione di quello che vorrebbe essere il polo dell’hi-tech ligure?
Quel distretto potrebbe essere per la sua posizione un ambito urbano della città visibile, che caratterizza un ecosistema dell’innovazione allargato a enti di ricerca e imprese che oggi è possibile lanciare non solo su Genova, ma sul territorio ligure, a corroborare le filiere tradizionali dell’economia ligure.
Credo che dal punto di vista dell’Università di Genova, questa iniziativa non debba essere vissuta come un semplice trasferimento di sede, ma come un’operazione per cercare di arricchire la nostra offerta in ambito di Ingegneria. Non dimentichiamo che l’Ingegneria dell’Università di Genova è sempre stata, ed è tuttora, caratterizzata da prestazioni di pregio internazionale, oggi le necessità sono laboratori per infrastrutture di ricerca e per la didattica, spazi dove condurre sperimentazioni e attività dimostrative, che sarebbe difficile inserire in un quartiere residenziale.
L'attuale stato di crisi pandemica sicuramente non può che manifestarsi in un vincolo contingente a qualsiasi scelta di governance. Sappiamo, tuttavia, che un vincolo può essere interpretato come un limite oppure come un'opportunità, così come suggerito da un antico proverbio cinese "quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento".
In che modo pensa che l’Università di Genova, e il mondo universitario in generale, possa trarre degli insegnamenti dall’emergenza Covid-19 e tradurli in cambiamenti positivi?
Concordo sui punti evidenziati in questa domanda, che riflette anche la mia visione della vita. L’emergenza sanitaria ha portato danni pesanti per il pianeta: la perdita di vite umane, una difficile crisi economica, che ha ancor più acuito le differenze sociali esistenti. Però ci ha insegnato molte cose, a cominciare dall’importanza delle attività fondanti il sistema universitario: l’alta formazione, che consente di trasmettere cultura e dunque di rendere le persone migliori, più responsabili e resilienti, la ricerca, che abilita l’umanità a rispondere con nuovi strumenti e metodologie a tutto ciò che la minaccia o le può creare criticità.
Dal punto di vista operativo, credo che l’Università di Genova abbia risposto bene all’emergenza, perché è riuscita a erogare, in maniera tempestiva, i suoi servizi e la didattica agli studenti. Abbiamo sperimentato in maniera spinta il telelavoro, comprendendo sul campo che si può operare in situazioni di maggiore conciliazione di lavoro e famiglia. Anche questi sono stati insegnamenti positivi. Continueremo ad usare gli strumenti di didattica digitale integrata, non però in maniera sostitutiva, la telematica ci servirà per allargare i nostri corsi a utenti in sedi differenti, anche straniere, a coinvolgere esperti da tutto il mondo nelle nostre attività formative, nei seminari e nei convegni. Potremo inoltre continuare a condurre esperienze di telelavoro e lavoro agile, con regolamenti ben codificati e con un coordinamento efficace area per area.
Infine, cito il grande Picasso: dopo una fase di distruzione arriverà un momento di creazione. Nella fase di distruzione, poiché siamo distanti, possiamo fermarci a riflettere e osservare meglio il nostro sistema, per individuare nuovi elementi da introdurre, aspetti da revisionare completamente e ambiti, invece, solo da perfezionare perché già funzionano. Questo credo sia il modo migliore per prepararci al cosiddetto next normal.
Si avvicina la fine di un anno difficile, quale augurio vorrebbe rivolgere per l’anno nuovo alla comunità universitaria?
Arriviamo alla fine dell’anno dopo un lungo periodo di distanziamento sociale. Siamo stati più soli rispetto al passato, all’inizio forse non ce ne siamo accorti, ora invece ne siamo più consapevoli e abbiamo difficoltà a gestire questa mancanza di socialità e di consuetudini di vita, anche sul lavoro.
Possiamo rispondere in due modi a questa situazione: “Sono solo, ho più tempo e quindi cerco di svolgere attività esclusivamente per me” oppure “Sono solo, mi manca la relazione e il contatto con tutte le persone del mio ambiente lavorativo, perché è qualcosa che mi arricchisce e me ne sono reso ancor più conto in questi mesi”. Il secondo pensiero, a mio avviso, porta quel calore di cui oggi sentiamo bisogno ed incita alla solidarietà sul lavoro, anche nella distanza, al comprendersi meglio, all’aiutarsi nelle singole attività, soprattutto nei momenti di criticità come quello che stiamo vivendo, per perseguire l’obiettivo comune di un’istituzione universitaria davvero d’impatto sulla società e sulla formazione dei giovani.
Ebbene, il mio augurio per l’anno nuovo è che nel 2021 si riscopra piacevolmente il senso di comunità e di appartenenza al nostro mondo UniGe, vero e indispensabile punto di forza per le grandi sfide che ci attendono.