La legge sulla cittadinanza e la condizione dei minori
La legge sulla cittadinanza e la condizione dei minori
Il Presidente della Repubblica Napolitano l’ha definita un’autentica «follia o assurdità»: è la condizione dei minori, figli di immigrati, i quali, nati o giunti in tenera età in Italia, sono cresciuti e frequentano le scuole nel nostro Paese, ma per la legge italiana sono giuridicamente stranieri.
È questo infatti il loro status per effetto delle norme che regolano l’acquisizione della cittadinanza in Italia. La Legge 5 febbraio 1992, n. 91 dispone infatti che è cittadino italiano per nascita il figlio di padre o di madre cittadini (principio dello ius sanguinis). È prevista anche l’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione (dopo dieci anni di residenza legale in Italia) o per matrimonio. Il nostro ordinamento non accoglie dunque con riguardo ai figli di cittadini stranieri il principio dello ius soli (in base al quale questi diverrebbero cittadini italiani per il fatto di essere nati in Italia) né appresta, al di là di alcuni casi particolari, alcuno strumento che consenta l’acquisizione della cittadinanza da parte del minore (non nato ma) cresciuto in Italia.
Ci troviamo dunque di fronte ad una disciplina che esclude un numero rilevante di persone da un meccanismo dalle straordinarie potenzialità inclusive, quale è la cittadinanza. Dal Dossier Statistico Immigrazione 2011 (Caritas/Migrantes) risulta che il totale delle persone straniere nate in Italia supera le 600.000 unità (la maggior parte minorenni). Quanto ai minori stranieri complessivamente residenti in Italia, cioè qui nati o cresciuti, sono quasi 1 milione.
In questa legislatura si è tentato di modificare la Legge n. 91/1992. Tuttavia il dibattito alla Camera, dopo la presentazione nel dicembre 2009 di un testo del relatore on. Bertolini (A.C. 103 e abb.-A) ed uno del relatore di minoranza on. Bressa (A.C. 103 e abb.-A-bis), e dopo un rapido passaggio in Assemblea, è fermo dal luglio del 2010, dopo il rinvio del testo in Commissione.
Il testo Bertolini si fonda sull’idea per cui la cittadinanza non debba essere il frutto di un acquisto automatico, ma il riconoscimento di un’effettiva integrazione: a tal fine introduce nella Legge n. 91/1992 requisiti ulteriori per il conseguimento della cittadinanza degli stranieri maggiorenni, come la frequenza con profitto delle scuole dell’obbligo oppure lo svolgimento di un “percorso di cittadinanza”.
Il testo Bressa poggia sull’obiettivo di raggiungere l’integrazione sociale degli stranieri che scelgono di vivere in Italia. In particolare introduce alcuni istituti riguardanti i minori: un principio di ius soli “temperato”, disponendosi cioè l’acquisto della cittadinanza per chi è nato in Italia in presenza di alcune condizioni (quale l’essere nato da genitori stranieri di cui almeno uno residente legalmente in Italia, senza interruzioni, da almeno cinque anni); l’acquisizione della cittadinanza da parte del minore, figlio di stranieri, al compimento di un corso di istruzione primaria o secondaria di primo grado ovvero secondaria superiore.
Per tentare di riavviare il dibattito, è stata condotta da 19 organizzazioni della società civile la campagna L’Italia sono anch’io per una proposta di legge di iniziativa popolare, l’A.C. 5030, presentata alla Camera il 6 marzo 2012, con cui si introduce un principio di ius soli “temperato” (con il requisito che almeno uno dei genitori stranieri sia legalmente soggiornante in Italia da almeno un anno) e l’acquisizione della cittadinanza da parte del minore figlio di stranieri al compimento di un corso di istruzione primaria o secondaria di primo grado ovvero secondaria superiore.