I diritti umani nell’età della globalizzazione
I diritti umani nell’età della globalizzazione
Per Bobbio, nel volume edito nel 1990, il Novecento è “L’età dei diritti”. In effetti, dal 1948 in poi il percorso dei diritti ha segnato passi importanti sul piano del riconoscimento e della promozione.
1989-1991: una svolta epocale, fine dell’era ideologica e della guerra fredda. “Libertà dalla paura”, una delle quattro libertà indicate da Roosevelt come fondamenti degli assetti futuri del mondo. Fine della storia secondo Fukuyama.
In realtà inizia allora, nel quadro di un’accelerazione del fenomeno globalizzazione, una fase complessa e articolata in cui si intravedono due processi paralleli ma di segno opposto.
Da un lato, emerge una mutata concezione del sistema internazionale: da bipolare, retto sull’equilibrio del terrore, a unipolare, piramidale e gerarchico al cui vertice è lo stato più potente che ha il “compito-dovere” di mantenere “l’ordine” internazionale anche, ove necessario, con la guerra, legittimata su un piano etico-morale dalla presenza di “stati canaglia”, che viene così ad avere valenza positiva e naturale. Inoltre appare il fenomeno delle “nuove guerre”, interetniche e intraetniche, in stati in declino o in disgregazione con effetti devastanti per le popolazioni civili e gravi violazioni dei diritti (es. ex-Jugoslavia).
Si teorizza il preteso “scontro di civiltà”. Irrompe sulla scena il terrorismo in un crescente parossismo: un nemico invisibile, imprevedibile verso cui non valgono le tradizionali strategie difensive e offensive. Uno scenario di crisi globale su più piani: dalla sindrome di easy war a una vera e propria pandemia: è il ritorno della paura. La dimensione epocale dei flussi migratori, in cui “il diritto di avere diritti” per chi più ne avrebbe bisogno viene in vario modo violato. Riappaiono i muri, si chiudono le frontiere.
Dall’altra parte, l’ONU avvia un percorso ampio e articolato per la promozione e tutela dei diritti umani in più fasi: dalla Conferenza mondiale di Vienna del 1993 al Programma mondiale per l’educazione ai diritti umani, alla Dichiarazione sull’educazione e la formazione ai diritti umani e gli Obiettivi del Millennio.
Diritti dell’uomo, diritti dei popoli: nel 1976 la Carta di Algeri-Dichiarazione universale dei diritti dei popoli, denunciando “nuove forme di imperialismo [...] attraverso le società multinazionali” afferma un concetto cruciale: “il rispetto effettivo dei diritti dell’uomo implica il rispetto dei diritti dei popoli”.
Ma con la globalizzazione sul piano economico-finanziario si impone un modello neoliberista di mercato globale presupposto libero, in realtà fortemente dominato da potenti istituzioni finanziarie internazionali (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, WTO) e dalle multinazionali (attori tutti che, mossi dalla logica dell’efficienza economica e della massimizzazione del profitto, non rispondono ad alcuna autorità). Risultato: non “la mano invisibile” ma ...un duro stivale! Soggetti favoriti dalla forza pervasiva della tecnoscienza, dal tramonto di ogni comune narrazione che unisca persone e luoghi, da valori “tiranni” (sicurezza e logiche di mercato e di consumo) che, accentuando le disuguaglianze e le povertà sopratutto verso “i deboli del mondo”, hanno prosciugato il campo dei diritti sul piano civile, politico e sociale con gravi, estese violazioni.
Mancando sanzioni internazionali efficaci, occorrono altri strumenti: primo tra questi un’opinione pubblica informata e consapevole; una razionalizzazione degli attuali strumenti di protezione; una strategia che preveda l’individuazione di un ristretto numero di valori essenziali condivisibili da tutti. Occorrerebbe inoltre estendere la portata del principio di responsabilità degli stati. Dovrebbero essere monitorati da efficaci sistemi internazionali ufficiali di controllo nell’ambito di un ripensamento del diritto internazionale al riguardo. Si dovrebbe prevedere, per i casi più gravi, la possibilità di un intervento armato per far cessare le violazioni (Ph. Alston-A. Cassese, Ripensare i diritti umani nel XXI secolo, Torino, 2003).
Nell’ampio dibattito relativo alle multinazionali o transnazionali si è molto discusso sulla responsabilità sociale d’impresa, senza tuttavia arrivare a una definizione univoca.
Infine è utile ricordare la Risoluzione ONU del 2 marzo 2006: “Promozione della pace quale requisito vitale per il pieno godimento di tutti i diritti umani di tutti” con un richiamo al “sacro diritto alla pace”. Negli ultimi anni è emersa la proposta di inserire il diritto alla pace nei diritti umani. Ne ha discusso il Consiglio ONU dei diritti umani: dopo un grande dibattito si è deciso di formulare una risoluzione breve e non ambigua, essenzialmente basata sulla Carta ONU senza però un riconoscimento formale del diritto alla pace. Le resistenze degli stati a rinunciare allo ius ad bellum sono ancora numerose.
Ma altre voci autorevoli si sono levate a favore del diritto alla pace. Papa Francesco nel messaggio del 1-1-2014 “Fraternità, fondamento e via per la pace” affermava: “lo sviluppo è il nome della pace e questa è opera della solidarietà” con l’auspicio che “si possa giungere all’effettiva applicazione nel diritto internazionale del diritto alla pace, quale diritto umano fondamentale pre-condizione necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti”.