Accoglienza dei profughi nell’UE: tra solidarietà e discriminazione

Accoglienza e solidarietà

Il 2 aprile 2020 la Corte di giustizia dell’Unione europea emetteva una sentenza di condanna nei confronti di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca1 per il mancato adempimento di obblighi derivanti dal diritto europeo. Questi tre Stati, infatti, si erano sottratti alle decisioni del Consiglio europeo del 20152 che avevano introdotto misure per la ricollocazione “temporanea ed eccezionale” delle persone in evidente bisogno di protezione internazionale arrivate nel territorio dell’Unione europea in seguito alla c.d. “crisi migratoria” del 2015-16.

Le due decisioni del 2015 trovavano fondamento giuridico nell’art. 78, par. 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) - secondo cui, qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di Paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati - e nell’art. 80 TFUE - secondo cui le politiche dell’Unione relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione e la loro attuazione devono essere governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri. 

L’Unione europea provava così a ridurre la pressione sui sistemi di accoglienza e asilo dei due principali Stati di primo ingresso dei richiedenti protezione internazionale, l’Italia e la Grecia, trasferendo le persone in maggiore stato di bisogno e/o in condizioni di vulnerabilità (insieme agli adempimenti amministrativi e materiali connessi alla loro accoglienza e al riconoscimento della protezione internazionale) verso altri Stati dell’Unione europea, ripartendo in modo più equo e solidale le relative responsabilità. Secondo la procedura allora prevista, però, ogni Stato membro dell’Unione europea doveva indicare, su base volontaria, quanti richiedenti protezione internazionale avrebbe accolto nel proprio territorio.

Se uno Stato ometteva di dichiarare il numero di richiedenti protezione internazionale che era disposto ad accogliere, ciò impediva a Italia e Grecia di avviare il trasferimento dei migranti dai propri territori a quelli di seconda accoglienza. Un’eventualità che, essendosi appunto verificata nei casi di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, ha portato nel 2020 alla già richiamata sentenza di condanna da parte della Corte di giustizia.

L’accoglienza dei profughi dall’Ucraina da parte dell’Unione Europea

Oggi, a quasi due anni esatti da tale pronuncia, Polonia e Ungheria si trovano in prima linea nell’accoglienza delle persone in fuga dall’Ucraina a causa del conflitto bellico con la Russia. Gli altri Stati europei, a loro volta, sono chiamati ad adottare comportamenti solidali con gli Stati di “primo” ingresso (oltre a Polonia e Ungheria, dove secondo l’ISPI è presente il maggior numero di profughi dall’Ucraina, anche Slovacchia, Moldavia e Romania).

Questa volta, però, lo strumento giuridico con il quale gli Stati membri dell’Unione europea hanno messo in pratica il principio di solidarietà è completamente diverso da quello sperimentato (con risultati molto modesti) nel 2015. Il 4 marzo 2022, infatti, il Consiglio europeo ha dottato la decisione n. 382/2022 con la quale, per la prima volta dopo più di vent’anni dalla sua approvazione, è stata attivata la procedura prevista dalla direttiva 2001/55/CE del Consiglio del 20 luglio 2001, che consente di riconoscere ai cittadini di Stati terzi rispetto all’Unione europea la protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati, promuovendo l’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che li ricevono e subiscono le conseguenze dell’accoglienza. 

Ai cittadini residenti in Ucraina che hanno lasciato il loro Stato dopo il 24 febbraio 2022 è stato così garantito l’ingresso nell’Unione europea senza nessun adempimento burocratico ulteriore rispetto a quelli già previsti (esibizione di un documento personale di identità senza obbligo di visto). Soprattutto è stato loro concesso di soggiornare nel territorio dell’Unione europea per almeno un anno, prorogabile fino a un massimo di due anni (e comunque fino a quando il rimpatrio non sia “sicuro e stabile”) .  Ciò ha evitato di dover attivare nei confronti dei cittadini ucraini la procedura per il riconoscimento della protezione internazionale prevista dal diritto europeo per i cittadini di Stati terzi rispetto all’Unione europea oppure procedure analoghe previste a livello nazionale. Inoltre, la titolarità della protezione temporanea consente ai cittadini ucraini di spostarsi all’interno dell’Unione europea e di poter soggiornare anche in Stati diversi rispetto a quelli di primo ingresso

 

Polonia e Ungheria si trovano in prima linea nell’accoglienza delle persone in fuga dall’Ucraina - UniGe
Polonia e Ungheria si trovano in prima linea nell’accoglienza delle persone in fuga dall’Ucraina.

Una decisione senza precedenti

La decisione n. 382/2022 ha così introdotto un sistema di accoglienza che non conosce precedenti a livello europeo, effettivamente improntato alla solidarietà sia nei confronti dei cittadini ucraini, sia tra gli Stati membri dell’Unione europea. Purtroppo, però, ci si trova di fronte a una solidarietà incompleta, che ad un esame più attento si rivela molto meno generosa nei confronti dei profughi di cittadinanza non ucraina oppure degli apolidi.  

La “protezione temporanea” nell’Unione europea è infatti garantita soltanto a chi possiede la cittadinanza ucraina in senso stretto e ai relativi familiari. Gli Stati di primo ingresso conservano invece un margine di discrezionalità nel riconoscere la protezione temporanea alle persone che risiedevano in Ucraina con status diversi, tra cui quello di rifugiato (in base alla legge ucraina), di cittadino di Stato terzo rispetto all’Ucraina (regolarmente residente, sempre secondo la legge ucraina) e di apolide.

Tutti i profughi di cittadinanza non ucraina possono dunque vedersi riconosciuto uno status di ingresso e di soggiorno diverso dalla protezione temporanea a seconda delle regole applicate dallo Stato membro dell’Unione di primo ingresso.

In particolare, potrebbe essere loro richiesto di presentare domanda di protezione internazionale ai sensi del diritto dell’Unione europea, oppure potrebbero essere loro riconosciuti altri permessi di soggiorno in base alle regole sull’immigrazione vigenti nei singoli Stati.

Come prima ipotesi, tuttavia, quando ciò risulti sicuro, essi potrebbero essere costretti a rientrare negli Stati di cui hanno la cittadinanza dove, molto probabilmente, non hanno più nessun legame familiare e sociale (casa, lavoro, ecc...) e in cui non possono contare sul sistema di accoglienza in atto nell’Unione europea. Inoltre, è anche possibile che alcuni profughi siano respinti direttamente alla frontiera, una circostanza alla quale potrebbero andare incontro soprattutto i cittadini di Stati terzi che risiedevano irregolarmente in Ucraina prima del 24 febbraio 2022. 

Una solidarietà, dunque, che per i profughi di cittadinanza non ucraina sembra quindi destinata ad assumere forme giuridiche e modalità molto diverse a seconda delle procedure di ingresso e dello status effettivamente riconosciuto loro dagli Stati di primo ingresso. 

Una solidarietà incompleta nei confronti dei profughi di cittadinanza non ucraina oppure degli apolidi - UniGe
Una solidarietà incompleta nei confronti dei profughi di cittadinanza non ucraina oppure degli apolidi.

Tra solidarietà e discriminazioni fondate sulla nazionalità

Sotto questo profilo, pertanto, la decisione n. 383/2022 sembra porsi in contrasto con il principio di non discriminazione in base alla nazionalità sancito sia dall’art. 21, par. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sia dall’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Essa, infatti, introduce una distinzione relativa all’ingresso e al soggiorno nell’Unione europea tra cittadini ucraini e cittadini di altra nazionalità residenti in Ucraina che appare irragionevole per almeno due motivi:

  1. tutti sono stati costretti a lasciare l’Ucraina per lo stesso motivo, ovvero il conflitto bellico provocato dalla Russia;
  2. rispetto all’Unione europea, essi sono tutti cittadini di Stati terzi.

La diversa accoglienza loro riservata, fondandosi esclusivamente sul possesso o meno della cittadinanza ucraina, sembra quindi dare luogo a una discriminazione basata sulla nazionalità vietata dal diritto europeo e da quello internazionale.

Da una primissima ricognizione svolta da alcuni studenti del corso di Migration Law di UniGe circa le modalità di accoglienza poste in essere da Polonia e Ungheria, sembra di poter confermare l’effettiva applicazione di regole diverse ai cittadini ucraini e ai cittadini di Stati terzi rispetto all’Ucraina. 

Polonia (Ernesto Facello)

La Polonia, il 26 marzo 2022, ha approvato una legge sull’accoglienza dei cittadini ucraini secondo la quale ad essi e ai loro familiari è garantito il soggiorno in Polonia per diciotto mesi dall’inizio del conflitto bellico.

Dopo nove mesi dall’ingresso in Polonia, i cittadini ucraini già regolarmente soggiornanti possono richiedere, entro e non oltre il 24 agosto 2023, la residenza temporanea per tre anni ai sensi della decisione europea n. 383/2022 (che retroagisce al 24 febbraio 2022). Ai cittadini ucraini è riconosciuto il diritto di lavorare durante la permanenza in Polonia. Possono anche richiedere un documento d’identità polacco. Hanno inoltre il diritto di avviare un’attività alle stesse condizioni previste per i cittadini polacchi.

I cittadini di Stati terzi rispetto all’Ucraina (ivi residenti in modo regolare) possono entrare in Polonia (dal confine ucraino) muniti di passaporto o altro documento d’identità. Se sono titolari dello status di rifugiato rilasciato dalle autorità ucraine possono richiedere la protezione temporanea in Polonia al pari dei cittadini ucraini (a partire dal 17 marzo 2022). Se prima del 24 febbraio 2022 risedevano regolarmente in Ucraina con status diversi da quello di rifugiato può essere accordata loro la protezione temporanea soltanto se non possono ritornare in modo sicuro nei rispettivi Stati. Ai titolari di protezione temporanea è permesso lavorare durante il soggiorno in Polonia ed è garantito l’accesso all’assistenza sanitaria ed economica.

Non vi è nessuna previsione relativa ai cittadini di Stati terzi rispetto all’Ucraina che risiedevano nel Paese in modo irregolare prima del 24 febbraio 2022. 
Qualora non sia possibile dimostrare quanto richiesto (ad esempio lo status di rifugiato o la regolarità del soggiorno in Ucraina), il cittadino di Paese terzo potrà ricevere assistenza per il rimpatrio entro pochi giorni dall’ingresso in Polonia. È evidente il trattamento meno favorevole adottato nei confronti di coloro che non sono in possesso di un permesso di soggiorno o sono irregolari nel momento in cui lasciano l’Ucraina, pur fuggendo a causa del conflitto armato ed essendo di fatto profughi di guerra.

Ungheria (Domonkos Attila Bánki)

I cittadini ucraini possono entrare in Ungheria con un passaporto, senza visto o altre procedure particolari. Le autorità ungheresi accettano anche altri documenti, purché muniti di fotografia (carta d’identità, patente, certificato di nascita, ecc..).

Essi possono soggiornare in Ungheria per novanta giorni senza nessuno specifico permesso di soggiorno. Se, tuttavia, desiderano rimanere in Ungheria per un periodo più lungo, oppure per lavorare e studiare, è necessario presentare domanda di protezione temporanea che garantirà loro il diritto di soggiornare in Ungheria fino al termine del conflitto armato. È altresì possibile richiedere lo status di asilo, che però non dà diritto alla libera circolazione all’interno dell’Unione europea oppure di risiedere in un altro Stato membro.

I cittadini di Paesi terzi rispetto all’Ucraina, ivi residenti in modo regolare prima del 24 febbraio 2022, hanno due possibilità. La prima è il ritorno nel proprio Paese di origine in tutti i casi in cui ciò risulti sicuro: essi devono comunicarlo alle autorità competenti, che rilasceranno un permesso di soggiorno fino alla partenza (entro una o due settimane). L’assistenza per il rimpatrio verrà fornita dalle autorità ungheresi e dall’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), anche organizzando voli charter per i gruppi familiari numerosi (oltre le venti persone). Soltanto chi non può tornare in modo sicuro nel proprio Paese di origine ed è in possesso di documenti che attestino la regolare residenza in Ucraina prima del 24 febbraio 2022, può presentare domanda di asilo alle autorità ungheresi. Tutti i cittadini di Stati terzi rispetto all’Ucraina potranno essere destinati a un luogo specifico di residenza con divieto di allontanamento dai luoghi indicati. 
Chi non può dimostrare di aver soggiornato regolarmente in Ucraina, deve lasciare l’Ungheria il prima possibile. A tal fine le autorità ungheresi avviano immediatamente le relative procedure e l’assistenza per il rimpatrio.


1 casi riuniti C-715/17, C-718/17 e C-719/17
2 dec. n. 1523/2015 e n. 1601/2015

di Arianna Pitino con la collaborazione di Domonkos Attila Bánki ed Ernesto Facello