L'ultimo pesce
di Stefano Schiaparelli - docente di biologia e conservazione della biodiversità marina all'Università di Genova
I sette punti chiave della perdita di biodiversità marina:
-7 La pesca in mare è poco selettiva, il prelievo sistematico e massiccio di pesce, incurante della sostenibilità e della biodiversità, impoverisce irreversibilmente la quantità di esemplari delle specie ittiche. Grazie a tecnologie evolute come i satelliti, si possono raccogliere tonnellate di pesce per ogni battello, potenzialmente impoverendo senza scampo ogni tratto di mare dell’intero pianeta.
-6 Occorrono leggi sempre più attuali per garantire che questo non possa avvenire, l’Unione Europea ha dato segnali positivi, con la Direttiva Habitat (Direttiva n. 92/43/CEE) il cui scopo è di salvaguardare la biodiversità e tutelare gli ambienti naturali. Tuttavia, nei paesi in via di sviluppo o emergenti la sensibilità a queste tematiche è spesso ridotta o del tutto assente e non ci sono progetti a livello globale per uniformare regole e aree marine protette.
-5 La pesca in mare avviene spesso in acque internazionali, dove non c’è giurisdizione di alcuno stato, gli stati rispondono infatti solo della Zona Economica Esclusiva, una fascia costiera di 200 miglia nautiche dalla costa, mentre il resto del mare non è coperto da regole internazionali di tutela delle specie marine: la questione dovrebbe essere risolta a livello internazionale, come è stato fatto per l’area marina protetta del Mare di Ross in Antartide, un’area ampia 1,5 milioni di km2, frutto dell’accordo tra 24 nazioni più le Nazioni Unite.
-4 La pesca locale: ha un effetto cronico cumulativo sulla biodiversità marina e non esistono stime di quanti animali vengano uccisi ogni giorno in questo modo. In paesi in via di sviluppo spesso si usano tecniche di pesca altamente distruttive (ad esempio con esplosivi) che intaccano anche gli habitat stessi. La pesca illegale: non è censita. Si tratta di navi pirata, pescherecci fantasma che operano in acque internazionali, non rispondono ai contatti radio, non hanno insegna né alcun segno di riconoscimento.
-3 Per monitorare i mutamenti oceanici in relazione ai cambiamenti climatici e alla pesca non sostenibile, il US Geographical Survey con l’azienda Esri hanno creato una mappa tridimensionale dei mari del mondo divisa per aree (EMU o Unità Ecologiche Marine) di ogni area si possono conoscere le condizioni di temperatura, salinità, livello di nutrienti e ossigeno delle acque: la distribuzione delle diverse tipologie di habitat acquatici aiuta i ricercatori nell’individuazione delle aree da sottoporre a tutela per azioni di conservazione.
-2 Creare figure professionali in grado di analizzare dati ecologici e creare progetti di conservazione delle specie marine e dei loro habitat, è un passo fondamentale nella tutela della biodiversità: avere un’idea chiara dei cambiamenti che avvengono e delle condizioni del mondo a seguito dell’impatto dell’uomo e delle variazioni climatiche, è il primo passo per muoversi più efficacemente e concretamente: esistono corsi di laurea specializzanti come “Conservazione e gestione della natura” all’Università di Genova. unige.it per info sportello@scienze.unige.it
-1 Oggi le Aree protette sono solo il 15% delle terre emerse e il 7% degli oceani, secondo il biologo americano E. O. Wilson, la conseguenza di una mancata conoscenza della biodiversità globale e soprattutto la mancata azione per proteggerla, farà sì che presto la maggior parte delle specie andranno perse: egli propone una soluzione di emergenza, quella di destinare metà della superficie della terra ad aree protette, così facendo infatti si stabilizzerebbe più̀ dell’80 per cento delle specie.
0 Fermare la perdita di biodiversità? Un obiettivo raggiungibile!