Sicurezza e insicurezze

Sulla scia dell’evoluzione delle pratiche del governo della sicurezza negli Stati Uniti negli anni ’90 anche in Europa si sono sviluppate diverse esperienze, in particolare nel campo della gestione dell’ordine pubblico e in quello della cosiddetta sicurezza urbana. Sia l’una che l’altra esperienza sono state contraddistinte dalla palese oscillazione fra gestione e pratiche pacifiche e gestione violenta, quest’ultima connotata dalla cosiddetta “tolleranza zero” e dalla tendenza alla criminalizzazione razzista di rom e immigrati, ma anche di marginali in genere.  

Nel campo del governo locale della sicurezza, grazie anche alla sollecitazione del Forum Europeo per la Sicurezza Urbana, sono state sperimentate varie esperienze per promuovere la partecipazione - se non la cooperazione - fra vari attori istituzionali e cittadini, lo sviluppo della prevenzione per limitare l’azione puramente repressiva (quindi la cosiddetta proattività delle polizie) e, infine, il ristabilimento di un equilibro effettivo fra le attività dei servizi socio-sanitari e quelle delle polizie. In alcuni casi queste esperienze hanno avuto un certo successo per periodi più o meno lunghi in alcune città francesi, spagnole e soprattutto nei paesi scandinavi.

Vetro rotto
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Le esperienze italiane

In Italia il progetto “città sicure” della regione Emilia-Romagna, cominciato nel 1995, ha poi promosso la creazione di un Forum italiano per la Sicurezza Urbana (FISU) a cui hanno aderito numerosi comuni. Tuttavia il bilancio complessivo di queste esperienze resta ancora non soddisfacente per diverse ragioni. La prima è che sin dall’inizio degli anni ’90 il contesto mondiale, europeo e nazionale è stato segnato da una deriva securitaria del tutto opposta alla gestione pacifica e sociale dei problemi di sicurezza. La cosiddetta opinione pubblica - e anche le polizie e la magistratura - è stata pervasa dalla distrazione di massa che ha accreditato il “teorema” che tutti i malesseri e problemi sociali sarebbero dovuti a una criminalità diffusa i cui autori sarebbero rom, immigrati e marginali in genere o sovversivi intesi come i manifestanti che protestano contro le grandi opere, il razzismo, il sessismo e i rigurgiti fascisti. Tutto ciò ha accentuato le pressioni sulle diverse autorità a favore di misure securitarie (più repressione, più penalità). Paradossalmente da oltre 10 anni, soprattutto in Italia, si constata un netto calo di tutti i reati e in particolare dei più gravi (omicidi, rapine, violenze e persino furti). Anzi, nonostante l’accentuata attività repressiva delle polizie, le statistiche - che la misurano - confermano che l’Italia è uno dei paesi del mondo con meno reati! E si può quindi dire che l’aumento degli immigrati (in totale 5,5 milioni in regola + 500 mila irregolari) dal 1990 a oggi coincide con la diminuzione di tutti i reati e gli immigrati sono molto raramente autori di reati gravi che sono sempre appannaggio di nazionali. Ma l’opinione pubblica continua ad a essere pervasa dal discorso allarmistico che incita al sicuritarismo, cavallo di battaglia di forze palesemente reazionarie e razziste.

Personale di sicurezza
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Le insicurezze ignorate

Ma c’è un'altra grave lacuna che purtroppo segna negativamente la gestione della sicurezza: la negligenza di quelle che qui chiamiamo insicurezze ignorate. Come mostrano le statistiche mondiali e nazionali, la stragrande maggioranza della mortalità è dovuta a malattie da contaminazioni tossiche, a incidenti sul lavoro e stradali, a logoramento da condizioni di lavoro e di vita insostenibili. In altre parole, i danni sanitari-ambientali insieme alle economie sommerse (lavoro nero ecc.) sono i primi responsabili della mortalità (anzi si può dire che se è vero che si vive più a lungo, si vive malati e raramente si muore di morte naturale - vedi libro Resistenze ... e in inglese Governance of ...). Ma l’azione di prevenzione e contrasto nei confronti della diffusione di contaminazioni tossiche e dei loro responsabili è irrisoria.
Non solo non c’è sensibilizzazione dell’opinione pubblica e sollecitazione della popolazione a cooperare con le autorità a tale scopo, ma da parte delle autorità c’è soprattutto negligenza. Basta guardare all’assenza di continue operazioni interforze fra agenzie di prevenzione e controllo (quali ispettorati del lavoro, ispettorati asl ecc.), forze di polizia, magistratura, enti locali e vittime oltre che associazioni impegnate in tale campo. 

Le mobilitazioni per il cambiamento climatico sono assai positive ma restano anch’esse effimere e superficiali proprio perché non si fanno carico della lotta contro le insicurezze ignorate. E questa vale anche per il mondo accademico che -tranne eccezioni- non mostra ancora la necessaria sensibilità in questo campo. 

di Salvatore Palidda