Super Tuesday
Una premessa
Le elezioni primarie negli Stati Uniti costituiscono il viatico fondamentale per approdare all’elezione presidenziale. Si tratta di una competizione complessa e faticosa, che mette a dura prova gli aspiranti candidati, selezionandone attitudini e capacità in un percorso spesso fatto di alti e bassi che riservano, come nel caso dell’ultima tornata del “Super Tuesday”, clamorose e inaspettate sorprese. Solitamente il confronto tra i rappresentanti del medesimo partito (Repubblicano o Democratico) è altrettanto aspro e polemico di quello che vede, nella fase successiva, affrontarsi i due sfidanti alle elezioni presidenziali. Non si esita a infliggere colpi bassi sul piano personale e non sono infrequenti contrapposizioni anche estremamente polarizzate sul piano dei programmi e delle visioni ideali. È quello che è accaduto in questa fase delle primarie dove, nel momento decisivo, sono emersi dallo scontro i due candidati più forti. Da un lato, il centrista e moderato Biden, vicepresidente durante la presidenza Obama, che sembrava ormai tagliato fuori dalla corsa; dall’altro, Sanders, l’esponente radicale, di tendenze socialiste, capace di infiammare i cuori dei giovani e delle fazioni più estremiste e “arrabbiate” del Partito Democratico, che sembrava avere il vento in poppa. Come noto, la vittoria in questo tornante, non ancora del tutto decisivo ma sicuramente indicativo è andata, inaspettatamente, a Biden, artefice di una resurrezione politica che ha provocato un clamoroso colpo di scena.
In generale le primarie, e queste ultime non fanno eccezione, mettono in evidenza due questioni ricorrenti e controverse nell’ambito dei processi democratici, che ricevono risposte variabili in base alle circostanze. Tali questioni concernono, in un caso, i comportamenti e le dinamiche che fanno capo alle classi politiche; nell’altro caso le scelte e i comportamenti dei cittadini e degli elettori.
L’impatto delle strategie delle élite: una rivincita delle classi politiche?
In primo luogo, come altre volte, è entrata in gioco la funzione delle élite e delle strutture di intermediazione politica nella selezione della classe politica e nella formulazione delle decisioni politiche. Le primarie sono state concepite come uno strumento di partecipazione e democrazia diretta che mette nelle mani dei cittadini/elettori il potere di scegliere direttamente i candidati alle cariche di governo, aggirando, almeno potenzialmente, i meccanismi cooptativi solitamente adottati, per questo scopo, dai gruppi dirigenti dei partiti. Molti studiosi hanno evidenziato il possibile indebolimento dei partiti quando essi perdono il controllo sulla selezione del personale politico, inibendo la loro capacità di socializzarlo e formarlo adeguatamente, facendone così scadere la qualità e la competenza. Le primarie, inoltre, spesso producono l’effetto di dare maggiore voce e peso alle frange più militanti e collocate sul versante estremo dello spazio politico. Ciò facilita la promozione di candidati che possono non incontrare il gradimento delle fasce di elettori moderate e centriste, diminuendone le chance di vittoria nella contesa finale con i candidati degli altri partiti. In talune occasioni, in effetti, le primarie hanno favorito l’ascesa di veri e propri outsider, sfuggiti ai filtri ristretti messi in campo dai comitati dei partiti, talvolta scalandone i vertici, come nel caso di Trump, nonostante tutte le azioni di contrasto messe in atto dall’establishment tradizionale. Ebbene, in quest’ultimo caso, invece, le élite tradizionali del Partito Democratico, probabilmente sotto la guida influente dell’ex presidente Obama, hanno trovato un difficile accordo di desistenza tra i candidati centristi e moderati al fine di contrastare l’onda apparentemente inarrestabile in favore di Sanders. I candidati in svantaggio, sfilandosi, hanno così evitato di fargli il favore di andare in ordine sparso. Obama, in particolare, ha portato in dote una buona parte dell’elettorato afroamericano, orientando a favore di Biden, insieme agli altri vertici del partito, anche il voto determinate dei colletti blu, cioè degli operai delle cinture industriali di molti stati tradizionalmente sostenitori dei democratici.
Le scelte degli elettori: un caso di “voto strategico”?
In secondo luogo, le elezioni primarie, analogamente a quel che avviene specialmente nei sistemi elettorali a doppio turno, aprono la strada all’opzione del cosiddetto “voto strategico”. Il fenomeno è noto agli esperti di comportamento elettorale, e si riferisce alla possibilità che gli elettori, o una loro parte, decidano di privilegiare non i candidati o i programmi a loro più vicini, ma quelli meno lontani, che però hanno la probabilità di sconfiggere i candidati e i programmi più avversi. In questa occasione, per esempio, la scelta di privilegiare Biden a scapito di Sanders, può essere stata dettata in gran parte non da un particolare gradimento verso il primo, ma dalla valutazione che fosse l’unico in grado di battere Trump alle elezioni presidenziali. Non è raro, infatti, che gli elettori “sacrifichino” l’opzione preferita, per evitare il risultato, ai loro occhi, peggiore. Altre volte, al contrario, molti elettori decidono di “investire sul futuro”, sostenendo candidati e progetti innovativi anche nell’eventualità di una sconfitta nel breve e medio termine, inseguendo “testardamente” una via più ambiziosa o utopistica. Nelle ultime elezioni presidenziali una parte degli elettori democratici non bevette “l’amaro calice” del voto in favore di Hilary Clinton, agevolando la vittoria di Trump. Questa volta gli indizi sembrano indicare una propensione diversa. Proprio il successo a sorpresa di Biden sembra testimoniare che la voglia di sconfiggere l’attuale presidente degli Stati Uniti prevalga sul sentimento, sicuramente ancora forte e diffuso tra gli elettori democratici, di punire l’establishment del paese. Dal fatto che tale orientamento prenda consistenza, sino a diventare prevalente, dipenderà probabilmente l’esito delle imminenti presidenziali.