Volontari inattesi: quando la realtà ribalta gli stereotipi
Quando si parla di volontariato e immigrazione, la scena che viene in mente è quella che vede da un lato un italiano, nel ruolo di volontario, che offre il suo aiuto ad un immigrato, nel ruolo (quasi imprescindibile) di beneficiario. Poveri e bisognosi o disperati e indesiderati: sono questi i due principali stereotipi che riguardano gli immigrati.
La ricerca
La ricerca condotta nel 2018-2019, promossa dal CSVnet, realizzata dal Centro studi Medì di Genova (Andrea Torre e Deborah Erminio) e dall’Università di Milano (Maurizio Ambrosini), ha restituito invece un’immagine molto più articolata, dove gli immigrati non sono solo soggetti bisognosi di aiuto o addirittura un fardello per la società, ma individui che mettono a disposizione degli altri il proprio bagaglio di risorse nel contesto in cui vivono.
L’indagine si è sviluppata in 163 città sparse in tutta Italia (658 questionari, 100 storie di vita, 5 buone prassi e 5 studi di caso su organizzazioni presenti a livello nazionale con un numero alto di immigrati tra i propri volontari), dando voce ai percorsi che hanno condotto queste persone alla scelta del volontariato, analizzando le motivazioni e le modalità con cui quest’azione solidaristica viene profusa.
I risultati
Il volontariato è trasversale a tutte le nazionalità (oltre 80 tra gli intervistati) e a tutte le età, ma nella maggior parte dei casi i volontari di origine immigrata sono persone presenti in Italia da diversi anni (in media 15 anni), istruite e ben inserite nel tessuto locale; siano essi studenti, lavoratori, casalinghe o disoccupati, sono espressione di quella presenza migratoria stabilizzatasi e radicatasi in Italia, quasi invisibile nel discorso mediatico e lontana dai riflettori del dibattito pubblico. Non mancano nemmeno, seppur minoritari, quegli immigrati arrivati da poco tempo, che spesso hanno beneficiato di servizi a loro rivolti nei primi anni di arrivo e in un secondo momento sono passati dal ruolo di utenti a quello di volontari.
Sono attivi soprattutto nei “servizi di assistenza sociale” (il 18% del totale), nelle “attività culturali” (17%), nelle attività “educative” (17%) e nelle “attività ricreative e di socializzazione” (16%).
Almeno 1 immigrato su 2 era già impegnato in attività di volontariato nel paese di origine e ha voluto proseguire questo impegno anche in Italia. Qui ha incontrato una realtà associativa che recentemente ha iniziato a porsi interrogativi specifici rispetto alle modalità di sensibilizzazione e di coinvolgimento degli immigrati come volontari. Ne sono scaturite alcune buone prassi che la ricerca ha voluto mappare e descrivere, evidenziandone alcune caratteristiche.
Una società in movimento
L’agire sociale ha poi un’importante valenza per la società, ma va oltre l’aiuto concreto che viene offerto. Questa indagine è una narrazione controcorrente, mostra come queste nuove fette di popolazione si siano inserite nel contesto locale e abbiamo scelto di dedicare il proprio tempo e le proprie risorse agli altri; per dirla con le parole di un intervistato: “sono partito da vittima e sono diventato protagonista”.
Siamo abituati a pensare in termini di una stratificazione sociale, in cui agli immigrati spettano gli svantaggi strutturali della società (posti di lavoro meno buoni, maggiore povertà, ecc.) e fatichiamo a riconoscere loro un ruolo pienamente paritario.
Il volontariato delle persone immigrate mostra una società che sta cambiando, anzi che in parte è già cambiata, anche se a volte ce ne accorgiamo poco: un’Italia dove gli immigrati sono protagonisti attivi dell’impegno sociale, un capitale di risorse per le associazioni del non-profit e per la società più in generale, a cui guardare con uno sguardo nuovo.