Censura di guerra, censura nella lingua: il trittico italiano di Leo Spitzer


Il lavoro di Leo Spitzer

L’imponente volume di Leo Spitzer Perifrasi del concetto di fame. La lingua segreta dei prigionieri italiani nella Grande guerra (Milano, il Saggiatore, 2019) è la prima edizione italiana, a cura di Claudia Caffi, di un’opera uscita nel 1920. Si tratta di un magistrale studio di uno dei più grandi linguisti e critici letterari del Novecento che raccoglie un patrimonio di testimonianze tratto dalle lettere dei prigionieri italiani in uno dei periodi più tragici della storia, quello 1915-1918.
L’opera chiude il trittico dedicato da Leo Spitzer alla nostra lingua. Esso è composto da: Lingua italiana del dialogo (ed. or. 1922, trad. it. 2007, a cura di Claudia Caffi e Cesare Segre), Lettere di prigionieri di guerra (ed. or. 1921, trad. it. 1976, a cura di Lorenzo Renzi, con riedizione 2016, sempre a cura di Lorenzo Renzi) e Perifrasi (ed. or. 1920), tutti apparsi presso il Saggiatore.

Una giornata di studi sulla censura di guerra

La prof.ssa Claudia Caffi, curatrice dell'edizione italiana del testo: "Perifrasi del concetto di fame. La lingua segreta dei prigionieri italiani nella Grande guerra" ha organizzato una giornata di studi all'Università di Genova dal titolo "Censura di guerra, censura nella lingua" l’11 dicembre 2019 dalle 10:30. La giornata, cui è stata conferita una Medaglia del Presidente della Repubblica, metterà in rilievo la fortissima attualità delle tre opere con lo scopo principale di trasmettere una memoria sia storica sia linguistica nei suoi vari aspetti, a partire dal concetto di censura. Il concetto di censura è infatti un filo rosso che attraversa le tre opere. Per usare le parole dello stesso Spitzer in Lingua italiana del dialogo, “la censura di guerra è solo una censura più forte di quella a cui la lingua sempre soggiace, e cioè all’insieme di tutte quelle forme di riguardo sociale, morale, culturale etc. verso l’interlocutore e verso la situazione”. Durante la Prima guerra mondiale i prigionieri italiani inventarono una lingua in codice per dire le loro privazioni senza incorrere nella censura. Leo Spitzer si trovò a svolgere proprio il ruolo di censore delle lettere dei prigionieri italiani. Ne raccolse così le voci che oggi possono giungere fino a noi. Ma anche nei dialoghi comuni ricorriamo a diverse forme di censura per affermare il nostro punto di vista e adattarci ai nostri interlocutori.