Laudatio del prof. Roberto Mosca
Il mio primo contatto, sia pure indiretto, con le filosofie gestionali di Pier Francesco Guarguaglini avviene una sera di Febbraio del 2000 su un volo di linea Genova-Trieste quando mi trovo a sedere vicino ad un dirigente Fincantieri, del quale, una quindicina di anni prima, ero stato relatore della tesi di laurea in Ingegneria Meccanica.
Parlando, come avviene sempre in questi casi tra ingegneri, della situazione dell’Azienda in cui egli opera mi spiega che le cose non stanno andando bene:
Nel settore civile se è vero che si costruiscono le navi da crociera più belle del mondo è anche vero che gli utili attesi vengono puntualmente vanificati vuoi dalle penali per ritardata consegna vuoi dalla cronica incapacità di ribaltare sull’acquirente le costose varianti extra-preventivo che, puntualmente, vengono apportate in fase realizzativa.
Nel settore militare la Marina Italiana, principale cliente, al contrario di quanto avveniva da sempre, non si accontenta più di ordinare una unità e di pagare a posteriori il conto, qualunque ne sia l’importo, ma arriva e dice: “ho x miliardi, con questa cifra all’estero mi forniscono 6 unità del tipo YZ. Se siete disponibili a fare altrettanto la commessa è vostra altrimenti no!”
Conseguenza diretta: bilancio in negativo, mercato rarefatto, necessità, a breve, di licenziare col rischio di dover chiudere almeno un cantiere.
Unica nota positiva in un simile non incoraggiante panorama il nuovo Amministratore Delegato da poco insediato: il suo curriculum e le sue prime mosse sono quelle del navigatore di lungo corso. Da uomo d’azienda che sa di gestione, egli ha, immediatamente, percepito ed analizzato i punti di forza e di debolezza e dato il via ad un piano di acculturamento e formazione in metodi e strumenti quantitativi al quale i responsabili delle decisioni, a qualsiasi livello gerarchico, dai capi operai ai direttori, debbono partecipare. E così lui, il nostro dirigente, stava in quei giorni seguendo, con solerte volontà, corsi sul controllo di gestione e sul Project Management e imparava, persino, ad utilizzare Project di Microsoft.
A tutti è noto che la cura Guarguaglini, somministrata nel periodo 1999-2002, è stata per Fincantieri un autentico toccasana:
in meno di un anno bilancio in utile con redditività ad un discreto livello e, per conseguenza, ritorno dell’Impresa alla creazione di valore;
in un triennio pieno rilancio dell’Azienda sul mercato, con nuove assunzioni per complessivi 3300 addetti, 2500 dei quali operai di varie qualifiche.
La memoria della vicenda Fincantieri ha fatto sì che, in sede di preparazione di queste note, non mi stupissi più di tanto nell’apprendere che il “core” dell’attività di Pier Francesco Guarguaglini, per oltre un quarto di secolo, sia stato riportare all’onor del mondo Aziende in chiara difficoltà.
Oltre a Fincantieri, infatti, egli si è fatto carico del risanamento e del pieno rilancio dapprima delle Officine Galileo, poi del raggruppamento Breda Meccanica-Oto Melara e, da ultimo, è storia e impegno attuali, di Finmeccanica.
Persino troppo facile, anche ad un osservatore esterno, individuare come, in tutte queste situazioni, le direttrici di intervento seguite per gestire il rilancio siano sempre state a 360° sulle attività aziendali e vadano, in estrema sintesi, dall’innovazione, talora anche radicale, di prodotto e/o processo, al rigido controllo dei costi e, in generale, ad ogni azione tattica e/o strategica necessaria al recupero della redditività, autentico must del suo feeling aziendale.
Sarà lui, tra breve, nella sua lectio magistralis, ad illustrare afflati ideali e cardini metodologici sui quali ha poggiato il suo modus operandi.
Per parte mia ho cercato di capire attraverso quale percorso culturale Egli abbia raggiunto quel livello di top manager che, indiscutibilmente, gli compete.
Analizzando, a questo scopo, ab initio, la di Lui attività lavorativa lo troviamo negli anni ’60 in Selenia con un incarico di analista di sistemi, dopo il conseguimento di una Laurea in Ingegneria Elettrotecnica a Pisa e di un Ph.D. in Ingegneria Elettronica alla Pennsylvania State University.
In quegli anni le leve manageriali nelle grandi imprese facenti capo alla mano pubblica, sono tenute da dirigenti chiamati a ricoprire ruoli chiave talora perché effettivamente abili e/o illuminati, talora perché scaltri e/o fortunati, non infrequentemente perché amici di potenti. La loro formazione culturale non è, in genere, frutto di studi specifici, salvo qualche raro master in business administration, ma viene direttamente dalle esperienze acquisite sul campo e, per questo, presenta lacune sia di appropriate conoscenze metodologiche che di ampiezza visuale. Molti di loro, poi, ritengono di appartenere alla casta di coloro nei quali un dio minore ha infuso, cito testualmente, “l’arte e la scienza del dirigere…”.
La convinzione diffusa tra essi è che si sia tanto più potenti e rispettati quanto più è elevato il numero di persone che si hanno sotto lo scettro, che ciascuno possa perseguire obiettivi personali siano essi in linea o meno con quelli aziendali, che sia meglio far sapere poco o nulla di ciò che si fa per evitare che queste informazioni possano venire usate contro… e via di questo passo. Conseguenza diretta è che, in quelle aziende da loro gestite, efficacia ed efficienza mai vengano coniugate insieme. Inevitabile quindi che, nel primo lustro degli anni ’70, esaurito l’effetto del miracolo economico, inizi l’era buia, per le Aziende delle Partecipazioni Statali, dei bilanci, prima in rosa pallido e, negli anni successivi, in quel profondo rosso che porterà, poi, a spazzar via quel modo di concepire il management, sia pure al prezzo doloroso per il Sistema Italia di tagli occupazionali tali da arrivare a far mutare le basi economiche e sociali di una Regione come la nostra.
A metà degli anni ’70, quindi, quando gli vengono conferiti i primi incarichi direttivi Guarguaglini ha ben chiare le ragioni del fallimento di quella classe dirigente per cui, facendo anche leva sulla forma mentis acquisita come analista dei sistemi e sullo studio dell’evoluzione filosofico-metodologica delle correnti di pensiero del decision-making nord-americano, arriva a rileggere la concezione stessa dell’azienda, spostandola verso la vision del sistema complesso ossia di un sistema costruito nel quale le diverse componenti sono chiamate ad interagire costantemente tra loro per il raggiungimento degli obiettivi prestabiliti dalle pianificazione, avendo ciascuna funzione obiettivi perfettamente in linea con quelli fissati per l’azienda. La grigia stagione dei comparti stagni è, definitivamente, tramontato. Anche grazie agli elaborati elettronici l’informazione può e deve essere tempestivamente disponibile a tutti coloro che debbono prendere decisioni.
L’essere stato tra i primi, fin dagli anni ’60, a metabolizzare e ad applicare i concetti del Risk Management porta Guarguaglini ad aver ben presente l’importanza del contesto nel quale le decisioni vengono assunte: Egli sa che il mondo reale non è deterministico ma stocastico e, verso il mercato, competitivo.
E’ questo un altro step culturale di sicura rilevanza, da trasmettere in seguito ai suoi collaboratori, in quanto implica la fine di un alibi dietro il quale, spesso, in passato, si nascondevano impietosi fallimenti, l’alibi del fato avverso che può mutare in negativo gli effetti positivi attesi da quella che, a priori, doveva essere stata una buona decisione. In parole povere egli non accetta che il risultato negativo di una certa commessa sia attribuibile all’imprevisto perché “il caso è soltanto la maschera della nostra ignoranza”.
Per conseguenza a Lui non sta più bene un processo decisionale basato solamente sul buon senso, sull’esperienza, sull’intuito ma fa entrare nella quotidianità dei decisori l’uso di modelli che forniscono, a supporto di quelle doti irrinunciabili, sia basi quantitative che la possibilità di simulare, a priori, le conseguenze delle decisioni assunte, anche in relazione, appunto, dei possibili mutamenti di scenario che dovessero intervenire in progress.
A questo punto il cerchio del suo credo di gestore si chiude necessariamente sul fattore umano: Guarguaglini sa che questo suo modo di interpretare il decision making richiede un certo tipo di attori e sa che questi sono la ricchezza primaria di ogni impresa.
Il focus della sua azione direzionale si sposta, allora, sulla risorsa umana che, nella sua concezione, deve essere selezionata con cura, formata convenientemente e fatta crescere costantemente; risorsa che deve essere capace di andare oltre i consunti schemi del mercato domestico protetto, per accettare le sfide che, un mercato globale ormai di dimensione planetaria, propone alle aziende; risorsa che deve saper fare ricerca, costruire prodotti, intessere partnership adeguate alla bisogna; risorsa, infine, che deve avere ben presente che, anche quando l’azionista di riferimento è lo Stato Italiano, il fine del fare impresa è comunque “il creare valore vero” per chi, nell’impresa, ha investito.
Tutto ciò premesso, l’ennesima tangibile riprova della sua abilità di saper tradurre in fatti concrete quelle filosofie gestionali che ho cercato di illustrarvi è la, ormai, celebre commessa del Governo USA, vinta, in finale , dopo una contesa senza esclusione di colpi con un competitor del calibro di Sikorsky e che ha portato alla aggiudicazione della fornitura di 23 elicotteri (valore 1,7 miliardi di dollari) ad una azienda del raggruppamento Finmeccanica, l’Augusta Westland. Uno di questi, per coloro che non lo ricordassero sarà il Marine One, ossia il velivolo destinato al servizio del Presidente degli Stati Uniti il quale, per la prima volta nella storia di quel Paese, utilizzerà abitualmente, per i suoi spostamenti, un elicottero non prodotto da un’azienda USA.
Roberto Mosca