Il futuro incerto. Quale domani per le giovani generazioni?

Differenti analisi nel corso degli ultimi anni, hanno evidenziato come a livello globale si stia progressivamente ampliando lo spettro della diseguaglianza, polarizzando e aggravando in alcuni casi situazioni già note.
L’ineguale distribuzione della ricchezza rappresenta una delle questioni chiave di questi fenomeni. La distanza che separa la quota di popolazione più povera da quella più ricca è progressivamente aumentata nel corso degli anni. Mentre aumentano coloro che possiedono patrimoni sempre più consistenti, beneficiando soprattutto della maggior parte della crescita economica globale, aumentano al tempo stesso anche coloro che, oltre a detenere una quota sempre più piccola di ricchezza, non riescono più a beneficiare della crescita (Piketty, 2013).

L’ultimo rapporto OXFAM rileva come la ricchezza globale, ulteriormente cresciuta anche tra il 2018 e il 2019, resti fortemente concentrata nelle mani di pochi. Circa l’1% più ricco della popolazione deteneva, nel 2019, più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone. Su una popolazione mondiale in continua espansione, poco più di duemila miliardari detenevano più ricchezza di 4,6 miliardi di individui, pari a circa il 60% della popolazione globale (OXFAM 2020).

Questi eventi hanno colpito in maniera significativa anche il nostro paese, erodendo aree di benessere e di sicurezza, già provate da un contesto macroeconomico debole e territorialmente frammentato, che vede tre gruppi sociali particolarmente penalizzati, le donne, i giovani, e chi vive nel mezzogiorno. A rendere ancora più complesso questo quadro, si aggiungono l’instabilità del quadro politico nazionale degli ultimi decenni, e le problematicità di uno scenario demografico complesso, dove spiccano il crescente invecchiamento della popolazione e i bassissimi indici di natalità (Migliavacca, 2021, 2019, Brandolini, 2019, Mencarini, Vignoli, 2018, Migliavacca, Ranci, 2015). Su tutto questo è poi arrivata la pandemia da COVID 19 che ha accelerato e amplificato questi processi, ampliando ulteriormente la forbice della diseguaglianza, rendendo ulteriormente incerto lo scenario futuro.

Banksy - No future
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L’emergenza giovani. Qualche dato per orientarsi

I giovani rappresentano uno dei gruppi sociali maggiormente penalizzati e sui quali grava l’incertezza per il futuro. Povertà, disoccupazione e NEET sono tre elementi chiave nella comprensione del disagio.

L’ultimo Rapporto Istat sulla povertà in Italia rileva come l'incidenza della povertà assoluta risulti più alta fra i giovani rispetto alle generazioni più adulte. I più colpiti sono sempre i minori, che registrano un dato in aumento al 13,5% (rispetto all'11,4% del 2019), pari a 1.337.000 individui; il dato è preoccupante anche per i 18-34enni, tra i quali l’indicatore sale all'11,3% (era il 9,1% nel 2019) pari a 1.127.000 persone. Aumenta anche la povertà tra chi ha tra i 35 e i 64 anni (da 7,2 a 9,2%), mentre resta su valori al di sotto della media nazionale per gli over 65, pur registrando un leggero aumento) (Istat 2021).

Il lavoro, primo strumento di contrasto contro la povertà rappresenta un elemento di grande problematicità per le giovani generazioni. Il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 30% caratterizzandosi tra i più elevati a livello europeo.  Manca il lavoro, primo strumento di contrasto alla povertà, e quando c’è, spesso è di bassa qualità, poco garantito e per alcune categorie, i giovani in particolare, spesso temporalmente intermittente.
Se il dato sulla disoccupazione giovanile evidenzia i problemi connessi alla ridotta offerta di lavoro presente nel nostro paese, (il tasso di occupazione giovanile italiano è tra i più bassi a livello europeo, 56,3% contro una media Ue del 76% nella fascia 25-29 anni) elemento ancora più grave, soprattutto per quanto riguarda le prospettive di crescita - e più in generale di coesione sociale -, è quello rappresentato dalla consistenza in termini numerici dei NEET, ovvero di quei giovani che non studiano e non lavorano, che in Italia si caratterizza per essere il più alto a livello continentale. Differenti analisi si sono occupate della condizione dei NEET italiani e dalla gravità di tale condizione. Tra queste il Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo (la più estesa rilevazione disponibile nel nostro Paese che dal 2012 indaga l’universo giovanile) ha evidenziato come tale condizione rappresenti, oltre ad un fenomeno sociale grave, un elemento di problematicità rispetto ai processi di transizione alla vita adulta (Rosina, 2015, Alfieri Migliavacca, Sironi 2019).

Dal punto di vista quantitativo, Eurostat segnala come l’Italia sia il paese europeo con il più alto numero di NEET. A livello europeo il nostro Paese, con il 24,1% di NEET tra i 15 e i 29 anni, precede la Grecia (21,3%), la Bulgaria (18,9%), la Croazia (17,9%) e la Romania (17,8%). Per avere un’idea della portata di tale fenomeno, si pensi che i paesi con il tasso di NEET più basso sono decisamente al di sotto del dato italiano, Paesi Bassi (5,9%), Svezia (6,8%), Austria (8,4%).

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Quali le questioni in gioco

La centralità della condizione giovanile è evidente e problematica, ma i giovani italiani rappresentano un’importante e fondamentale risorsa per lo sviluppo del paese, ma occorre agire. Occorre rimettere i giovani al centro offrendo loro opportunità concrete e serie.
Il tema dell’istruzione, a tutti i livelli, continua ad essere centrale e va sostenuto e rafforzato. Occorre lavorare alla revisione dei percorsi formativi, non tanto per aumentare l’offerta, ma per migliorala anche e soprattutto alla luce delle competenze richieste da un contesto in rapida trasformazione, ma che ha sempre più bisogno di fondamentali solidi. Occorre lavorare su tutti i percorsi formativi anche e soprattutto su quelli troppo stesso considerati, a torto, poco appetibili, come per esempio quelli legati alla formazione professionale e considerare il crescente impatto legato alle professioni connesse ai processi di eco sostenibilità.


Occorre proteggere e sostenere l’occupazione giovanile, favorendo l’incontro tra domanda e offerta e aiutando le imprese a investire su questo fronte, al fine di evitare ai giovani la ricerca di migliori opportunità lavorative e professionali lontano dall’Italia. Ma serve puntare alla qualità del lavoro, non si può barattare occupazione con qualità del lavoro, e per farlo servono risorse ma anche volontà politica.
È necessario investire sulle fasce più fragili. La povertà è diventata meno intensa, ma più diffusa. Interventi come il reddito di cittadinanza, seppur tardivi, hanno iniziato a dare qualche risposta. Questi interventi vanno implementati e riorientati al fine di “togliere” i giovani da questa condizione, offrendo opportunità concrete di crescita. Il tema dello sviluppo e della crescita del paese non possono non considerare l’investimento sulle giovani generazioni.
I programmi europei come Garanzia giovani hanno offerto opportunità importanti ma si sono spesso dimostrati anche inefficaci e poco mirati. Il rifinanziamento di questi progetti e lo sviluppo di nuovi progetti come NextGenerationEU, devono rappresentare in questo senso una sfida da raccogliere al fine


Mauro Migliavacca è Docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro presso il Dipartimento di Scienze della Formazione

Immagine di copertina: foto di PIRO4D da Pixabay

di Mauro Migliavacca