Il posthuman tra possibilità e vincoli
Il posthuman
Il posthuman è il progetto di una radicale trasformazione della specie umana che sarebbe possibile in prospettiva grazie ai crescenti progressi della tecnologia. Si tratterebbe di un potenziamento delle capacità intellettuali, psichiche e fisiche dell’uomo in una direzione nel complesso non prefissata in anticipo.
Che l’uomo sia destinato a un tramonto, che i segni di questo siano già incipienti, che questo passaggio vada non temuto o esorcizzato ma auspicato e preparato: queste sono alcune delle tesi caratteristiche di questo filone di pensiero.
In realtà oggi si parla non solo di posthuman ma anche di transhuman. Per i transumanisti la dimensione caduca e finita dell’uomo è non tanto da sanare, ma da ripensare radicalmente per rendere l’uomo immune alla sua stessa finitezza, in ultima analisi alla morte stessa. Il salto di qualità è affidato alla tecnologia. Per questo il transumanesimo appare come una potente ideologia tecnocratica.
Per la trasformazione postumana, invece, l’obiettivo è la completa fusione entro il flusso della vita onnicomprensiva, che si esprime nella potenza inarrestabile dell’evoluzione. Nonostante questa distinzione, si può parlare sinteticamente di posthuman.
Vincoli?
La trasformazione radicale dell’umano solleva qualche problema per alcuni perché si tratterebbe di una progettazione dell’uomo da parte di altri uomini che si mettono al posto della casualità che presiede al patrimonio genetico di ciascuno con i connessi rischi di manipolazione e di un rapporto squilibrato fra le generazioni. Ma non solo. Dal momento che non tutto si può comporre in unità, v’è il rischio della estinzione dell’umano o comunque di qualcosa di sensato, d’interessante per noi, di cui abbiamo esperienza. Come facciamo, infatti, a migliorare l’uomo? A quale paradigma rifarsi? Esistono, oltre a delle possibilità di sviluppo, dei vincoli da rispettare?
Per esempio: se potenziassimo troppo la razionalità rispetto alla dimensione emotiva e affettiva o viceversa, non avremmo più qualcuno paragonabile all’uomo che conosciamo; forse non potremmo neppure parlare di qualcuno, ma piuttosto di qualcosa. Se aumentassimo fortemente la memoria, crescerebbero anche i disagi psicologici, perché non sempre è bello ed opportuno ricordare ogni episodio della vita. Lo stesso utero artificiale che permettesse l’intero sviluppo di un bambino sembra una possibilità da molti auspicabile nella prospettiva di una “liberazione” della donna dai vincoli della procreazione. Ma anche questo non è indifferente per la formazione dell’uomo perché incide sul rapporto fondamentale madre-figlio. Come potremmo, quindi, in questi casi parlare con certezza di un miglioramento dell’uomo?
Che cosa possiamo sperare?
Rispetto alle grandi ideologie progressiste del passato, frutto di una ribellione di fronte a gravi ingiustizie sociali e della secolarizzazione di escatologie religiose, il posthuman ha un altrettanto grande speranza di fronte a sé? E ce l’ha pure non avendo un ideale ben determinato e talora contraddittorio da perseguire?
Esso sembrerebbe piuttosto essere contraddistinto da una speranza illanguidita che procede semplicemente per il fatto che la tecnologia progredisce naturalmente, sanando singoli problemi e disagi, e creandone dei nuovi, processo che può avere alla lunga conseguenze complessive a noi ignote. In fondo la stessa utopia marxista come tale non sembra avere avuto successo, ma ha avuto pur sempre delle ricadute importanti. Anche per questo il posthuman come utopia non va sottovalutato.
Ma che cosa possiamo ragionevolmente sperare per il futuro? Certo il potenziamento sorvegliato di alcune capacità soprattutto in soggetti portatori di handicap di vario tipo e in diverse fasi della vita, come già in parte sta avvenendo, ma soprattutto una maggiore sensibilità umana ed ecologica (verso uomo e ambiente), una cultura più essenziale, più frugale, una tecnologia funzionale all’ecologia e ad un’ecologia dell’umano attenta ai legami fra gli uomini. Ma questo effetto sembrerebbe essere complessivamente più esito di un’educazione alla responsabilità e alla temperanza, di una rivolta morale, che della mera applicazione di nuove tecnologie, pur richiedendo anche lo sviluppo di queste.