La crisi migratoria in Bosnia-Erzegovina
La Bosnia-Erzegovina, che di fatto non fu toccata dalla prima ondata migratoria del 2015 e 2016 restando fuori dalle principali rotte che attraversavano i Balcani, sta ora affrontando una crescente emergenza umanitaria a causa dell’aumento del numero di rifugiati e migranti che arrivano nel Cantone di Una-Sana1 , nella parte nord-occidentale del paese. Le municipalità interessate sono quelle di Bihać e Velika Kladuša, entrambe a ridosso del confine croato.
Dopo la chiusura dei confini nel 2016 e l’inasprirsi dei controlli, invece di attraversare la Serbia e puntare verso l’Ungheria o la Croazia, i migranti tentano la “rotta bosniaca” attraversando il valico di Velika Kladuša che, distante solo 240 km da Trieste, rappresenta il percorso più breve per raggiungere l’area Schengen in Slovenia, dopo un brevissimo tratto nel territorio croato (poco più di 60 km). Lo chiamano ironicamente “the game”, forse per esorcizzare i pericoli che vanno incontro ogni volta che si incamminano verso i boschi della Plješevica – le montagne che separano la Croazia dalla Bosnia – o forse per allontanare la paura dei respingimenti e delle violenze che subiscono regolarmente per mano della polizia croata ogniqualvolta tentano di attraversare i confini.
Come Idomeni qualche anno fa, così oggi questo piccolo lembo di Bosnia proteso verso nord rappresenta il nuovo avamposto dell’Europa dai confini chiusi, un altro “collo di bottiglia” lungo le rotte della migrazione dove le persone sostano, aspettano e vivono esistenze precarie, tra campi improvvisati, strutture fatiscenti e spazi inadeguati all’accoglienza senza le benché minime condizioni per una sopravvivenza dignitosa. Un microcosmo popolato da migranti, giornalisti, forze dell’ordine, volontari, funzionari statali e internazionali che di fatto materializza sul terreno quel processo di esternalizzazione dei confini messa in atto dall’Unione Europea per fronteggiare la crisi migratoria.
I numeri della questione…
Secondo i dati forniti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) al momento attuale (inizio febbraio 2021) in Bosnia-Erzegovina ci sono 9.442 migranti e di questi circa 2.700 si trovano nel cantone Una-Sana sistemati alla bell’e meglio nelle “strutture” gestite dallo IOM. Altri 4.000 vivono negli altri campi dello stesso IOM sparsi tra Sarajevo e Mostar. I rimanenti 2.500/3000 si trovano accampati nelle foreste vicino al confine oppure attorno alle città, in vecchi palazzoni occupati, in case abbandonate o in capannoni industriali dismessi. Anche se il numero dei migranti e rifugiati in transito attraverso i Balcani è leggermente diminuito nel 2020 rispetto all’anno precedente, oggi si contano ben 102.504 migranti “stranded” ovvero “bloccati” nei vari Paesi lungo la rotta, 80 mila nella sola Grecia2 . Dopo la Bosnia, il terzo Paese con il maggior numero di migranti è la Serbia con 7.420 persone accolte nei centri governativi su tutto il territorio nazionale.
Numero di migranti presenti nei diversi stati balcanici. Fonte: IOM, 2021
Albania | 173 |
Bosnia-Erzegovina | 9442 |
Bulgaria | 1290 |
Croazia | 41 |
Cipro | 1877 |
Grecia | 80527 |
Ungheria | 137 |
Kosovo (SCR 1244) | 172 |
Montenegro | 50 |
Macedonia del Nord | 37 |
Romania | 1177 |
Serbia | 7420 |
Slovenia | 161 |
Totale | 102504 |
Vecchi flussi, nuove rotte
La quasi totalità dei migranti che entra in Bosnia in modo irregolare (cioè non attraverso i valichi di frontiera ufficiali) proviene dagli stati vicini seguendo due percorsi distinti: il primo dalla Serbia, oltrepassando la Drina, il fiume che segna il confine tra i due stati; il secondo ramo invece giunge direttamente dalla Grecia passando per l’Albania, il Montenegro e percorrendo l’intero territorio bosniaco (vedi carta).
Come accaduto precedentemente in tutti i paesi toccati dai flussi migratori, anche in Bosnia le autorità si sono trovate assolutamente impreparate ad affrontare una simile emergenza umanitaria. Per il traballante paese balcanico, ancora alle prese con un precario assetto politico-istituzionale, sin dall’inizio questa si è dimostrata una sfida troppo difficile da fronteggiare nonostante il supporto tecnico fornito dalle organizzazioni internazionali (IOM, Croce Rossa, UNHCR) ed i cospicui finanziamenti ottenuti dall’UE per allestire i centri di accoglienza ufficiali3 .
Un disastro umanitario da tempo preannunciato
Le avversità meteorologiche di un inverno balcanico che non risparmia freddo, neve e gelo, la crescente intolleranza della popolazione locale, l’incapacità del Governo bosniaco ad affrontare l’emergenza migratoria e per ultimo l’incendio di uno dei campi di accoglienza, il campo di “Lipa” lo scorso dicembre, hanno reso la vita di questi migranti un vero inferno. Uomini, donne e bambini bloccati in un contesto sempre più critico che non sembra offrire soluzioni a portata di mano in cui emergono con prepotenza tutte le contraddizioni di una politica migratoria europea ambigua e fallimentare.
Foto di copertina: La struttura fatiscente del Ðački Dom (la Casa dello studente) e le tende del “campo di Borići” appena fuori Bihać (foto: Umek D. 2018)
1A forte vocazione turistica, il Cantone di Una-Sana (Unsko-Sanski Kanton in bosniaco) è uno dei dieci cantoni che compongono l’entità territoriale della Federazione di Bosnia-Erzegovina (detta anche Federazione croato-musulmana); l’altra entità territoriale è la Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, che assieme al Distretto di Brčko forma la Repubblica di Bosnia-Erzegovina (Bosna i Hercegovina - BiH in lingua slava). Torna su
2Le nazionalità più frequenti sono rappresentate da afgani, seguite da pachistani e siriani. Torna su
3Oltre 90 milioni di euro stanziati dal 2018 ad oggi. Torna su
L'autore è docente dell'Università di Trieste e membro del Comitato Scientifico dell'Osservatorio sui Fenomeni Religiosi e Migratori dell'Università di Genova