La fragilità della Liguria e l’eredità dei Liguri

Incendi e boschi puliti

In Australia, da settembre, oltre 11 milioni di ettari sono stati percorsi dal fuoco, che non cessa di propagarsi, molto peggio di quanto avvenuto in Siberia (4,5 milioni Ha) e Amazzonia (900.000 Ha). Foreste di eucalipto, bush e praterie bruciano regolarmente. Sono predisposte a incendiarsi facilmente, perché solo bruciando riescono a perpetuare sé stesse. Ogni anno il fuoco interessa quasi 40 milioni di ettari del continente australiano; solo nel 50% dei casi causato dall’uomo (in Italia è il 95%). Gli incendi sono stati comunque favoriti da condizioni eccezionali: il 2019 è stato l’anno più caldo e più secco dal 1900, con temperature maggiori di circa 1,5-2 °C rispetto al passato e punte estreme di quasi 50 °C, unitamente a una siccità prolungata. In Europa il 2019 è stato il più caldo dal 1880 e in Italia queste condizioni hanno favorito il triplicarsi degli incendi, rispetto al 2018: quasi uno al giorno. Anche in Liguria è stato un anno molto caldo con lunghi periodi di aridità, ma gli incendi sono stati davvero pochi e si è confermata la costante riduzione del loro numero e delle superfici interessate. Negli ultimi 5 anni gli incendi in Liguria sono stati circa 10 volte meno di quelli della fine del secolo scorso. Nonostante ciò, tra marzo e aprile 2019, un incendio ha distrutto 100 ettari di bosco e macchia mediterranea sulle alture di Cogoleto, causando gravi danni e l’interruzione della circolazione autostradale. Subito sui giornali sono comparse frasi ricorrenti: “Le cause sono l'incuria dell'uomo e l'abbandono dei boschi… L'innesco è la siccità, e il vento … la vera questione è che prima quelle aree erano agricole, oggi invece sono grandi boschi secondari”. In sostanza, ogni volta che si registra una calamità (incendio, frana o alluvione), vengono rispolverati e propagati dai media il mito del bosco “pulito”, il rimpianto per un bosco controllato, gestito e pascolato e quello per l’agricoltura ormai abbandonata e che un tempo manteneva migliaia di chilometri di fasce e muri a secco. Siamo sicuri che sia proprio così? Che la fragilità ambientale della Liguria dipenda dalla presenza dei grandi boschi secondari? Forse occorre cambiare i punti di vista e analizzare con maggiore obiettività i dati e i fatti. Appurato che l’incendio di Cogoleto è stato innescato dalle scintille di un cavo elettrico spezzato, non possiamo trascurare i report statistici della Regione. Questi evidenziano da un lato un notevole abbandono dell’agricoltura e delle attività pastorali e un aumento delle superfici boscate e dall’altro una drastica riduzione del numero degli incendi rispetto al secolo scorso. Come si spiega questa divergenza? L’opinione comune è che a maggiore abbandono corrisponda un aumento degli incendi, ma i dati dicono il contrario. La prevenzione è certamente utile, ma è sempre esistita e i delinquenti incendiari non sembrano affatto diminuiti rispetto al passato; inoltre nel secolo scorso quasi metà delle superfici percorse dal fuoco non erano zone boscate, ma coltivate o pascolate e ancora oggi numerosi sono gli incendi causati dall’uso incauto del fuoco per bruciare stoppie e residui di potatura. I boschi della Liguria soprattutto quelli sui versanti tirrenici, sono quasi tutti secondari, cioè occupano terreni che in passato sono stati utilizzati come coltivi, prati falciati o pascolati e poi abbandonati, spesso con opere di modellazione dei versanti, altamente incidenti sulla vegetazione forestale preesistente.  

Incendio a Capo Mortola

Fragilità ereditata: punti di vista

Per un agronomo, uno storico o un geografo, un bosco che si sviluppa su un’area coltivata nel passato, può rappresentare un elemento di degrado perché nasconde la testimonianza dell’opera umana, della fatica dei nostri antenati, di comunità e tradizioni rurali di cui è importante conservare la memoria e di cui alcuni sollecitano il ripristino a qualunque costo. Per chi studia con competenza i processi dinamici della vegetazione e i servizi ecosistemici che questa svolge non è proprio così. Il bosco secondario si forma perché le leggi della natura finiscono alla lunga per prevalere su quelle umane e nell’arco di alcuni secoli acquisisce struttura, complessità ed equilibrio simili a quelli dei boschi primari, in grado di mantenersi autonomamente, di migliorare la qualità del suolo e di proteggere i versanti dall’erosione, evitando o riducendo i danni alluvionali. Il problema è che sono necessari tempi lunghi in cui l’uomo moderno non sa attendere. Se durante questo periodo avvengono perturbazioni o si continua a intervenire in modo inadeguato, il processo si interrompe e deve ricominciare, spesso da un gradino più basso e con maggiori difficoltà. La fragilità del territorio ligure deriva pertanto da quello che sovente ammiriamo come eredità storica dei nostri antenati Liguri, dalle opere da loro eseguite in tempi lontani o recenti. Oggi quasi tutti deprechiamo la distruzione delle foreste in Amazzonia, Asia e Africa, ma ci dimentichiamo che noi europei, noi Liguri abbiamo esercitato la medesima violenza sull’ambiente in un lontano passato, anzi vorremmo continuare o replicare questa violenza,  convinti di saperne controllare gli effetti.

antica lecceta di Montallegro

Buoni propositi

In Liguria, sarebbe quanto mai opportuno completare la pianificazione forestale di livello intermedio per definire le destinazioni funzionali più idonee da perseguire sulla base delle attitudini dei boschi e dei siti, attraverso tecniche selvicolturali (naturalistiche o sistemiche a seconda dei casi). Nelle aree pilota (Valle Arroscia e “Pollupice”) dove i piani forestali di indirizzo sono stati predisposti si è evidenziato che circa il 75% del bosco non può che avere come funzione preponderante quella di protezione del suolo e dei versanti e che solo una piccola percentuale consentirebbe un utile sfruttamento del legno. È sempre più urgente realizzare studi comparativi tra il ruolo protettivo del bosco e quello derivante dal ripristino di aree agropastorali con terrazzamenti. Occorre controllare -non eliminare- la quantità di necromassa (legno morto) e migliorare il suolo e la composizione specifica dei nostri boschi, intervenendo costantemente e prontamente a limitare le diffuse situazioni critiche di potenziale erosione e instabilità, che riguardano quasi sempre condizioni prossime a opere dell’uomo difficili da mantenere. Ripensare un diverso destino a lungo termine di queste opere ereditate ed evitare nuovo consumo di suolo dovrebbe essere l’impegno di tutti.

di Mauro Mariotti