Le fortificazioni di Genova: un patrimonio storico-architettonico tutto da scoprire
Conoscere ciò che ci circonda
Tra i tanti elementi del patrimonio storico-architettonico di Genova il meno conosciuto è, probabilmente, quello fortificatorio. È un elemento peculiare:
- per la sua natura stratificata, fatta di realizzazioni successive che coprono più secoli;
- per il fatto d’essere sopravvissuto, quasi per intero, alla crescita del centro urbano;
- per avere quale fiore all’occhiello 14 forti (quelli arrivati fino a noi, dei 18 originari) realizzati tra la seconda metà del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, collocati in un contesto paesaggistico affascinante e rappresentativi di stili architettonico-militari differenti (la fortificazione bastionata della prima età moderna, quella «perpendicolare» tardo settecentesca e quella «poligonale» ottocentesca).
Dalle mura medievali alle cinte bastionate
Le poche vestigia superstiti delle mura medievali di Genova sono cosa nota a tutti, perché chiunque, genovese o forestiero, quantomeno ha poggiato per un attimo lo sguardo sulle due torri di Porta Soprana. Molto meno noti – se non sommariamente e in relazione a diffusi, ma errati, luoghi comuni (ad esempio «la cinta muraria che si sviluppava per 20 km, la più lunga al mondo dopo la Grande Muraglia») – sono gli altri elementi sopravvissuti del sistema di difesa della città: i pochi tratti rimasti della cinta del XVI secolo; i circa 10 km superstiti di cortine e bastioni della cinta del XVII secolo (sui 20 km di lunghezza originaria); le batterie costiere e i forti sette-ottocenteschi.
La storia della cinta muraria medievale è stata caratterizzata dalla crescita della città. Delimitava il nucleo urbano, e ne seguì l’estensione, con ampliamenti successivi tra X e XIV secolo, senza mutamenti nella configurazione architettonica. Per secoli fu costituita da un alto muro intervallato da torri semicircolari. L’avvento delle armi da fuoco provocò cambiamenti significativi nella capacità di offesa dell’attaccante, stimolando l’adattamento della difesa. Le alte e sottili cinte medievali, e le loro torri, vennero sostituite da cortine più basse e spesse, terrapienate e intervallate da bastioni dalla caratteristica forma ad asso di picche, su cui i cannoni erano collocati in modo da formare campi di tiro incrociati che spazzassero la totalità del terreno davanti alle mura.
Le Mura Vecchie e le Mura Nuove
La cinta medievale di Genova fu sostituita con una moderna cinta bastionata tra 1536 e 1553, in risposta alla minaccia rappresentata dall’alleanza tra Impero Ottomano e Francia, entrambi nemici del Re di Spagna e Imperatore del Sacro Romano, di cui la Repubblica di Genova era alleata. Questa cinta, lunga circa 5 km, contornava il centro abitato, l’attuale centro storico, ricalcando il circuito delle mura medievali.
Il sistema difensivo rimase impostato su questa unica cinta fino al 1625 quando, nel quadro della Guerra dei trent’anni (1618-1648), il Duca di Savoia e la Francia tentarono di conquistare Genova. Fallirono, ma lo scampato pericolo, unitamente all’evoluzione dell’artiglieria in termini di gittata e potenza, portarono alla decisione di realizzare una nuova cinta muraria, lunga circa 20 km, sulle due dorsali che dominavano la città: un grande triangolo col vertice alto (lo «Sperone») sul monte Peralto e i due vertici bassi in corrispondenza della Lanterna e della collina di Carignano (dove questa nuova cinta, le «Mura Nuove», si innestava nella cinta cinquecentesca, le «Mura Vecchie»).
Il campo trincerato e i forti
Una successiva estensione del sistema di difesa della città prese corpo a partire dalla metà del XVIII secolo quando, durante l’assedio austro-sardo del 1747 (Guerra di Successione austriaca 1740-48) per effetto, nuovamente, dell’evoluzione in gittata e potenza dell’artiglieria, alcuni settori delle Mura Nuove vennero giudicati particolarmente vulnerabili. La soluzione non fu quella di realizzare una nuova cinta muraria ma di creare un sistema di opere avanzate a difesa delle colline dominanti i settori vulnerabili della cinta e delle cime che dominavano queste colline, secondo un approccio a catena impostato sulla distanza di 2 km (la gittata massima delle artiglierie del tempo).
Nello stato di emergenza determinato dall’assedio austriaco la scelta fu quella di realizzare, su queste posizioni, opere campali (trincee e ridotte, di cui, oggi, si possono ancora scorgere i tracciati). Terminato l’assedio vennero progettate quattro opere in muratura, quattro forti, a nord dello Sperone e a est del Bisagno. La fine della guerra e le ristrettezze di bilancio della Repubblica portarono rapidamente alla sospensione dei lavori (con un solo forte completato). I lavori vennero ripresi blandamente in epoca napoleonica e, con maggior vigore, dopo l’annessione di Genova e della Liguria al regno di Sardegna (1815), nel quadro di un più ampio progetto, elaborato dal genio sabaudo, che portava i forti da realizzare da quattro a 18, per meglio difendere la città e per controllarne la popolazione, ben poco entusiasta del nuovo sovrano. I lavori vennero completati nell’arco di due decenni, trasformando Genova in una delle più munite piazzeforti d’Europa, parte di un sistema di capisaldi esteso dai Paesi Bassi fino alla Liguria, concepito in seno al Congresso di Vienna come cordone a guardia della Francia, nel timore che Napoleone, o un suo erede, tornando al potere potesse dare vita ad una nuova stagione di guerre.
Su questo sistema, imponente per dimensioni e già particolarmente ricco per varietà di tipologie architettonico-fortificatorie, si sono poi innestate ulteriori realizzazioni, più modeste per portata ma non meno interessanti: prima i tre forti (Casale Erzelli, Monte Guano e Monte Croce) e le batterie d’artiglieria realizzati in relazione al nuovo quadro internazionale delineato dall’inserimento dell’Italia nella Triplice Alleanza (1882), poi le batterie costiere e antiaeree della seconda guerra mondiale.
Divulgare per valorizzare
Quella delle fortificazioni genovesi è una storia da far conoscere, da raccontare. Il Comune di Genova ha avviato, da anni ormai, un progetto di recupero dei forti ottocenteschi e delle Mura Nuove. Ma il recupero materiale, che per ora ha fatto solo qualche microscopico passo, va accompagnato dal recupero culturale. Il pubblico va portato a contatto con questo patrimonio e la sua storia; promuovere la conoscenza è premessa necessaria al recupero e valorizzazione.
Negli ultimi anni le iniziative non sono mancate: conferenze tradizionali, visite guidate, divulgazione sui social media e conferenze itineranti.
Le conferenze tradizionali sono state proposte tanto in presenza (penso ad esempio a quelle tenute da Giovanni Spalla nell’ambito di un progetto promosso da Italia Nostra) quanto a distanza, attraverso YouTube, grazie all’iniziativa della Fondazione Palazzo Ducale, di Giacomo Montanari e di Antonio Musarra nell’ambito del ciclo di incontro «Il volto di Giano». Le visite guidate (e altri eventi analoghi) hanno avuto per teatro i forti Santa Tecla, Puin e Tenaglia, gli unici in buono stato di conservazione grazie all’operato delle associazioni che li hanno in concessione (con Associvile e Outdoor Experience Genova, concessionarie del Santa Tecla e del Puin, particolarmente aperte alla collaborazione con studiosi, accademici e non, e particolarmente attive nel cercarla).
La divulgazione sui social media utilizza come vettore essenzialmente i gruppi Facebook dedicati alla storia di Genova (con in testa gli «Amanti dei forti di Genova» e «C’era una volta Genova»): ha il pregio di raggiungere un pubblico estremamente ampio.
Le conferenze itineranti, infine, sono una novità recente, figlie dell’iniziative di una guida ambientale escursionistica, Davide Costa, e della disponibilità di Outdoor Experience Genova e di studiosi dei diversi momenti storici del sistema fortificatorio, accademici (l’autore di questo articolo) e non (Stefano Finauri e Massimo Rossi, quest’ultimo anima del Progetto Monte Moro, dedicato alle opere difensive della seconda guerra mondiale, qui un servizio di TGR Liguria). Si tratta di una forma di promozione e divulgazione particolarmente efficace perché unisce l’elemento storico a quello naturalistico ed escursionistico, rendendo meno formale, meno monolitica e molto più godibile la narrazione della Storia, aprendola così ad un pubblico differente rispetto a quello che normalmente usufruisce degli eventi tradizionali.
Emiliano Beri è Ricercatore in Storia Moderna e insegna Storia militare presso il Dipartimento di Antichità, Filosofia e Storia