La politica italiana di interventi militari all’estero: il progetto ILiDE

È online il nuovo sito di ILiDE, un progetto di rilevante interesse nazionale (PRIN) finanziato dal MUR – Ministero dell'università e della ricerca. Il gruppo di ricerca del progetto si compone di tre unità afferenti a tre diversi atenei (Università di Genova, Università di Siena, Università di Catania) e al Centro Alti Studi per la Difesa.
All'unità dell'Università di Genova afferiscono i docenti di scienza politica Fabrizio Coticchia e Giampiero Cama, il ricercatore Matteo Mazziotti di Celso e il dottorando Jean-Marie Reure.

Il progetto ILiDE – Italian lessons in defence mira a comprendere quali sono le lezioni apprese nei passati tre decenni di operazioni militari italiane all’estero.

Gli interventi militari italiani all'estero

Nell’ultimo trentennio, l’Italia ha condotto una politica di interventi militari all’estero estremamente attiva. Infatti, a partire dal 1991, con l’intervento a sostegno degli Stati Uniti nella Guerra del Golfo, l’Italia ha schierato i propri militari in più di 140 operazioni all’estero in tutti i continenti: dalla Somalia al Kosovo, dall’Iraq all’Afghanistan, passando per il Mali, il Libano e, più recentemente, l’Europa orientale.

Le truppe italiane hanno fornito un importante contributo a tutti i maggiori teatri di crisi che hanno caratterizzato lo scenario internazionale dalla caduta del Muro di Berlino fino a oggi. L’Italia non è stata certamente l’unico Paese a inviare unità militari all’estero: la Francia, il Regno Unito e perfino la Germania hanno contribuito a numerose missioni internazionali. Rispetto a questi Paesi, però, l’Italia ha assunto un atteggiamento particolarmente proattivo, figurando spesso tra i primi contributori dei contingenti della NATO, dell’ONU e, più recentemente, dell’Unione Europea. In poche parole, negli ultimi trent’anni l’Italia ha assunto il ruolo di un vero e proprio international peacekeeper.

Una nuova ricerca con il progetto ILiDE

Interventi difficili da comprendere

La scelta dell'Italia di adottare una politica di interventi militari all'estero così attiva è difficile da comprendere. A prima vista, l'Italia possiede caratteristiche che, in altri casi, sono state considerate fattori che limitano la possibilità di intervento o, al massimo, portano a interventi limitati. In primo luogo, l'Italia ha una cultura strategica pacifista, che la porta a un approccio cauto verso l'uso della forza militare nella politica estera. Questo è un tratto che l'Italia condivide con altri Paesi, in particolare la Germania e il Giappone.

In tutti e tre i Paesi, l'eredità dei regimi militaristi e la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale hanno portato all'adozione di costituzioni che hanno limitato severamente l'uso della forza militare, influenzando lo sviluppo di una cultura strategica che non considera l'uso della forza come uno strumento legittimo di politica estera. Tuttavia, a differenza di questi due Paesi, che per molto tempo hanno limitato la partecipazione delle loro forze armate in missioni all'estero e continuano a farlo, l'Italia ha adottato una politica di interventi militari all'estero molto attiva a partire dagli inizi degli anni '90.

La politica attuale dell'Italia in materia di FMDs - foreign military deployments è sorprendente anche in relazione alle sue risorse. L'Italia spende quasi la metà per la difesa rispetto ad altre medie potenze europee, come la Francia e il Regno Unito, eppure schiera un numero di personale pari o superiore al loro.
Da una prospettiva teorica, quindi, il caso italiano può essere visto come un caso deviante, poiché le teorie esistenti non sembrano prevedere una postura così attiva a livello internazionale.

La scarsità di ricerche sugli interventi militari italiani

Lo studio della politica attuale dell'Italia in materia di FMDs è particolarmente importante perché può fornire significativi spunti teorici. Tuttavia, nonostante il potenziale del caso italiano per lo sviluppo teorico, ci sono poche ricerche che abbiano cercato di spiegare le ragioni dietro l'adozione di una politica di interventi militari all’estero così attiva.

Dopo tre decadi di operazioni all’estero, il numero di studi scientifici sulle operazioni internazionali dell’Italia è limitato e la conoscenza della politica di interventi militari del Paese risulta carente. A ciò occorre aggiungere che la carenza di attenzione verso questo importante tema non è ristretta all’ambito della ricerca scientifica, ma si allarga anche alla politica. Dopo trent’anni di operazioni, infatti, non è stata ancora condotta in Italia una riflessione generale sui risultati ottenuti in questi anni e sulle lezioni apprese da queste operazioni.
La necessità di ragionare in maniera strutturata sulle ragioni che hanno indotto l’Italia ad adottare questa particolare politica, nonché sui suoi risultati, è dunque evidente.

Progetto ilIde UniGe

Una nuova ricerca con il progetto ILiDE

Il gruppo di ricercatori del progetto ILiDE – Italian lessons in defence si pone l’obiettivo di avviare questa riflessione. In particolare, esso intende analizzare la politica di interventi militari italiani all’estero con un duplice scopo:

  1. sviluppare un framework teorico che consenta di individuare i principali fattori che hanno portato i decisori politici italiani a schierare le forze armate all’estero, nonché i meccanismi tramite i quali questi fattori hanno influenzato le scelte del decisore politico;
  2. svolgere una considerazione rigorosa e puntuale dei risultati delle operazioni condotte dall’Italia al fine di individuare le lezioni apprese da questo trentennio di attivo interventismo militare all’estero.

L'unità di ILiDE afferente all'Università di Genova si concentra sugli attori politici nazionali (partiti, parlamento e leader) e sulle forze armate italiane, contribuendo sia allo sviluppo della revisione della letteratura sia alla produzione dell'analisi empirica delle lezioni apprese nelle operazioni militari.
L'analisi include anche un'indagine sull'influenza dei feedback operativi nel processo decisionale e sull'impatto delle forze armate. Inoltre, l’unità UniGe lavora sulla dimensione sovranazionale, esaminando i vincoli internazionali e il ruolo della NATO. Essa partecipa anche allo studio delle relazioni dinamiche tra élite e opinione pubblica nel contesto della politica di difesa italiana.

Il progetto ha avuto inizio a novembre del 2023 e si concluderà a novembre 2025. A conclusione del progetto, il gruppo di ricerca organizzerà una conferenza per presentare i risultati conseguiti durante il biennio.

di Matteo Mazziotti di Celso