Ricordo di Germano Celant
Una vita trascorsa “dentro” l’arte contemporanea e il suo sistema: l’incipit può suonare retorico, ma è difficile pensarne uno più adatto per ricordare Germano Celant, morto a Milano lo scorso 29 aprile, vittima illustre, tra le tante anonime, del Covid19.
Proprio il ruolo da protagonista nel mondo dell’arte contemporanea lo aveva portato a New York a inizio marzo, per non mancare l’annuale appuntamento con l’Armory Show, in un momento in cui il contagio aveva iniziato a diffondersi anche in quella città.
A New York Celant aveva a lungo vissuto da quando, nel 1977, aveva iniziato a collaborare con il Guggenheim Museum, prestigiosa istituzione di cui sarebbe poi diventato senior curator. A quella città e, in generale, agli Stati Uniti d’America Celant aveva, del resto, sempre chiesto una sorta di “diritto di cittadinanza” per se stesso e per le sue scelte critico-curatoriali, spesso non immuni da una certa esterofilia, per non dire subalternità, nei confronti della scena artistico-culturale americana, come ha ricordato Michele Dantini in un articolo apparso su “Doppiozero” il giorno dopo il decesso del critico genovese.
Genova, gli studi, l'Arte Povera
Newyorkese d’elezione, Germano Celant era nato a Genova nel 1940 e a Genova aveva compiuto gli studi universitari presso la Facoltà di Lettere e Filosofia: nell’Archivio d’Arte Contemporanea del nostro Ateneo (AdAC), fondato da Franco Sborgi, conserviamo una copia della sua tesi di laurea, condotta sotto la guida di Corrado Maltese e di Ezia Gavazza, intitolata “Il ruolo storico dell’opera di Piero Manzoni”, artista destinato a rivestire un ruolo di primaria importanza tra i suoi molteplici interessi di critico dell’arte contemporanea. Sempre nel capoluogo ligure, nel settembre del 1967, ancor prima di laurearsi, Celant aveva organizzato presso la Galleria La Bertesca la mostra Arte Povera – Im Spazio, con la quale aveva fatto debuttare sulla scena artistica la corrente alla quale il suo nome sarebbe rimasto indissolubilmente legato. Nel dicembre dello stesso anno Celant aveva allestito negli spazi dell’allora Istituto di Storia dell’Arte della nostra Università la rassegna Collage I, certo meno nota della mostra alla Bertesca ma, nondimeno, momento saliente della storia dell’Arte Povera.
Una proposta critica quasi dimenticata: l’Inespressionismo
Forte del successo riscosso dalla compagine poverista e dei riconoscimenti ottenuti in prima persona a livello nazionale e internazionale (valgano a titolo d’esempio le collaborazioni con Vittorio Gregotti e Pontus Hulten alla Biennale di Venezia del 1976 e con Rudi Fuchs a Documenta 7, nonché la curatela della mostra Identité italienne. L’art en Italie depuis 1959 al Centre Pompidou di Parigi nel 1981), all’inizio degli anni Ottanta, Celant aveva scelto nuovamente Genova per presentare l’Inespressionismo americano. L’esordio della nuova corrente da lui teorizzata era avvenuto nell’ambito della quarta edizione della rassegna di cinema sperimentale Il gergo inquieto, per la quale in quell’anno, il 1981, Celant aveva affiancato nel ruolo di curatore Ester De Miro, docente di Storia del cinema presso l’Ateneo genovese: una manifestazione di grande rilievo culturale per la nostra città, promossa dall’allora Assessore alla cultura Attilio Sartori con il dichiarato intento di fare di Genova un incrocio di produzioni culturali.
A dispetto del prestigio della vetrina e del valore degli artisti ricondotti da Celant alla corrente (Cindy Sherman, Sherrie Lavine, Richard Prince, Matt Mullican, tra gli altri), e nonostante il rilancio del tema nel volume Inespressionismo. L’arte oltre il contemporaneo, pubblicato nel 1989 per la casa editrice genovese Costa & Nolan, Celant non sarebbe riuscito a bissare il successo ottenuto con Arte Povera e la sua nuova proposta critica sarebbe scivolata ai confini dell’oblio.
Nella Capitale europea della cultura: Genova 2004
L’insuccesso dell’Inespressionismo non avrebbe, però, in alcun modo inficiato la sua ascesa professionale e personale. Per limitarsi al contesto locale, nel 2004, anno in cui Genova era Capitale europea della cultura, Celant, forte anche di una Laurea honoris causa in Architettura che gli era stata conferita dall'Università di Genova il 25 giugno 2003, aveva legato alla sua città natale l’indimenticabile mostra Arti&Architettura che, dagli spazi di Palazzo Ducale si era estesa a tutto il centro cittadino con numerose installazioni urbane.
Sempre nel 2004, Celant aveva firmato la mostra Bilbao a Genova. La cultura cambia le città, meno nota e da molti criticata per l’assunto curatoriale fondato su un parallelismo giudicato quasi oltraggioso nei confronti dell’illustre passato della nostra città. Nel 2006 Celant era tornato a Palazzo Ducale con un’altra grande mostra, Tempo moderno. Da Van Gogh a Warhol. Lavoro, macchine e automazione nelle Arti del Novecento.
Emerge dunque con evidenza da questa ricostruzione, certo non esaustiva, l’innegabile importanza del ruolo svolto da Celant nel legare il nome della nostra città alla storia dell’arte contemporanea; tuttavia, a quasi un mese dalla sua scomparsa, l’invito a ricordarlo nella Newsletter dell’Università dalla quale ha iniziato il suo percorso non può non tener conto di come egli si sia sempre espresso contro la pedagogia e la mediazione culturale e di come egli abbia, di fatto, privatizzato un’ingente porzione di memoria pubblica rendendo inaccessibile, come ricorda ancora Dantini, il suo immenso archivio.