Da Medea a Medea
Il dramma antico e sempre contemporaneo
Tra i manifesti teatrali della cosiddetta ‘ripartenza’ estiva dello spettacolo sta il dittico “Da Medea a Medea”, in scena al Teatro Greco di Siracusa in apertura di una stagione “Per voci sole”. Si tratta di due monologhi, tratti da Euripide e da Antonio Tarantino, il drammaturgo morto di Covid nel mese di aprile. L’attrice Lunetta Savino ha scelto e interpretato i due testi unificandoli nel titolo “Da Medea a Medea”, come a segnalare la distanza tra uno dei drammi supremi del teatro di tutti i tempi (431 a. Ch ) e la recentissima fatica di uno scrittore asperrimo, contemporaneo e pluripremiato quale è Tarantino.
Che peso e che senso ha rivisitare Medea dopo duemilacinquecento anni? Da una parte, è ovvio, la antonomasia del nome (colei che uccide i figli) crea una sorta di “Medea ricorrente” in cronaca e nel linguaggio quotidiano. Titoli ed articoli dei media nominano di continuo l’eroina di Euripide ogni qual volta una madre o un padre (“Un Medeo in Valsassina”, 27 giugno 2020) compie infanticidio. L’antichità e la forza del primo esempio letterario, amplificata dal mezzo teatrale, diffondono da sempre la storia ad ogni livello.
Medea attraverso i secoli
Dall’altra parte, va ricordato il fenomeno che, or sono circa venticinque anni, ha scosso, anzi terremotato il percorso fino ad allora placido e costante del Fortleben (vale a dire la fortuna, la rivisitazione) del dramma antico. Specie nel caso di Medea. Seneca drammaturgo era noto già in epoca basso medievale. Euripide invece, riscoperto, tradotto e andato in stampa solo a cavallo dei secoli XV e XVI, gode di attenzioni crescenti nei secoli successivi. Da Lodovico Dolce a Corneille, da Charpentier a Cherubini, per citare solo prosa e melodramma, Medea viene riscritta centinaia di volte, fino a sfiorare la serialità nel secolo scorso. Sono catalogate nel Novecento circa duecento riprese importanti della tragedia di Euripide, che diventa zingara (Jean Anouilh, 1946), nera (Hans Henny Jahn, 1924), soggetto cinematografico (Pier Paolo Pasolini, 1970, Lars von Trier, 1988).
Se le nuove discipline del secolo scorso, psicanalisi o cinema, concorrono a variare il Fortleben e i mezzi espressivi con cui si ripropone l’antico dramma greco, il vero mutamento arriva negli anni ‘90. Si tratta di un mutamento radicale, di cui la filologia classica stenta a prendere atto, ma che ha rivoluzionato per sempre meccanismi e approccio a questa area disciplinare.
Medea diventa globale
Fino alla fine del Novecento, il patrimonio classico, segnatamente quello tragico e comico, aveva ampliato la propria area di diffusione dall’Europa all‘URSS e agli Stati Uniti. Lo strumento di diffusione non è più solo il teatro o l’opera, è anche il cinema. Nel 1992 un poeta di Santa Lucia dei Caraibi vince il Nobel con Omeros, ispirato ai poemi omerici e a Filottete di Sofocle.
Si può collocare negli stessi anni l’inizio del ‘terremoto’. Internet moltiplica all’infinito le possibilità di far propri testi che, fino ad allora, erano patrimonio del solo Occidente. Il teatro antico, circa ottanta testi di otto drammaturghi greci e latini, da Eschilo a Seneca, cessa di essere solo nostro e diventa proprietà di molte etnie in 5 continenti. A fine secolo scorso i miei studenti registravano con sorpresa un incremento da 25 a 40mila siti su Medea nel mondo. Oggi, 20 luglio 2020, sono 26 milioni, sparsi ovunque, per fare qualche esempio: più di 3 milioni in Irlanda, 150mila in Cina e 144mila in Sudafrica.
Non tutte sono riscritture, ma i futuri studiosi del Fortleben hanno davanti a sé ormai un ben diverso lavoro.