I giovani e l'università
Una riflessione di Lorenzo Caselli, professore emerito dell'Università di Genova
I giovani non sono un problema da risolvere ma una grande opportunità. Numerosi sono i loro punti di forza. Sanno usare le nuove tecnologie, conoscono le lingue, sanno muoversi nel mondo, non si stupiscono della diversità, credono nel merito e nella solidarietà, possono diventare imprenditori. Il guaio è che non hanno voce, non fanno sistema, non riescono ad attivare masse critiche. Il nostro Paese sempre più vecchio avrebbe bisogno della loro creatività, della loro fantasia, della loro carica innovativa. Tuttavia non ne sembra consapevole. Mancano le condizioni per la valorizzazione dei nostri giovani, manca una proposta politica credibile, convincente, coinvolgente. Manca una visione di futuro e i giovani sono il futuro. Tutto ciò finisce per generare in molti di essi confusione, delusione, rassegnazione. Altri – e sono sempre di più – decidono di andarsene.
Questo stato di cose interpella l’Università, la chiama in causa, la costringe a ripensarsi, a riposizionarsi e a ridefinirsi rispetto a una situazione complessa, in movimento, ricca di contraddizioni. I giovani che affollano le sue aule, che frequentano i suoi laboratori costituiscono un fondamentale metro di valutazione.
L’Università è oggi chiamata a misurarsi con esigenze sempre più diversificate e integrate al tempo stesso. Conta da un lato la qualità della formazione e dell’attività di ricerca; dall’altro l’esistenza di una rete di condizioni, di opportunità di crescita, di occasioni di promozione e di valorizzazione esistenti nel sistema sociale. L’Università si pone al crocevia di queste due dimensioni. Produzione del sapere e sua socializzazione critica e creativa sono intimamente connesse.
Il giovane che intraprende gli studi universitari deve essere posto in grado di definire e risolvere problemi; deve imparare a conoscere i codici dei sistemi nei quali opera; deve essere capace di controllare i processi, pronto all'innovazione, disposto a cooperare costruttivamente. Il saper fare presuppone il saper essere, il know how, il know why; l’attenzione agli strumenti e alle metodologie non può annullare la questione dei fini e dei valori.
Nel suo bel libro “Università futura tra democrazia e bit” Juan Carlos De Martin – docente al Politecnico di Torino – osserva come in questi ultimi anni ci siamo concentrati nel formare studenti in quanto futuri lavoratori. “È ora che l’Università torni a educare persone che poi saranno anche lavoratori in grado di rimanere produttivi e intelligenti a lungo. Aiutare gli studenti a essere persone realizzate, cittadini consapevoli e lavoratori intelligenti: questo l’obiettivo dell’Università”.
Il rapporto con i giovani, vissuto in maniera feconda e prendendo sul serio – come diceva Roger Garaudy, il filosofo del maggio francese – ciò che essi denunciano e ciò che essi annunciano seppur confusamente, può aiutare l’Università a scoprire strade nuove, a fuoriuscire da razionalità limitate e scettiche, a cogliere ed esplicitare la costitutiva umanità dell’agire scientifico. Il progresso e la modernità non possono esaurirsi in un mero assemblaggio di innovazioni materiali trainate dalla sola domanda di mercato in un’ottica di breve termine. La sostenibilità, le istanze etiche e spirituali non possono essere messe tra parentesi.
L’Università deve recuperare il suo privilegio originario che è quello di offrire una visione del mondo che non è strettamente tecnico professionale, ma che permette di capire le tecniche e le professionalità, collegandole a una più generale capacità di giudizio. In un’epoca in cui l’esasperazione degli specialismi rischia di essere un comodo alibi, l’Università – a partire dai suoi giovani – deve farsi anche propositrice di idee generali. Idee generali come quelle di giustizia, di dignità delle persone, di democrazia, di cittadinanza, di solidarietà sono il sale della nostra coscienza individuale e collettiva, e una Università a servizio di tali idee non solo non è meno autonoma, ma può ritrovare il senso profondo della propria missione.