Il conflitto nel Tigray: sviluppi e possibili conseguenze

Nel corso dell’ultimo mese, il conflitto nella regione settentrionale etiope del Tigray si è ulteriormente intensificato. A partire da fine giugno, il Tigray Defence Forces (TDF) ha gradualmente ripreso il controllo delle principali città nella regione grazie ad una rapida offensiva. Nonostante i recenti sviluppi non costituiscano il segnale della fine del conflitto che dura dallo scorso novembre, è altresì plausibile siano una svolta significativa per i futuri equilibri etiopi e dell’intera regione.

La regione del Tigray
La regione del Tigray e le regioni etno-linguistiche che compongono l'Etiopia.
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L’avanzata tigrina


Il 18 giugno scorso, TDF ha lanciato l'operazione militare Alula Abanega, dal nome di uno storico reis ottocentesco etiope. A questa è seguita, a partire dal 12 luglio, una nuova offensiva denominata Operazione Madri Tigrine, diretta verso il sud-est della regione, e tesa a riacquisire il pieno controllo della valle del Raya.
Il TDF ha lanciato l’attacco alla vigilia del controverso voto nazionale in Etiopia (21 giugno), cercando di sfruttare il dispiegamento di contingenti etiopi che fino a quel momento erano stanziati negli avamposti in Tigray.
Ulteriore fattore determinante alla scelta del TDF sono state le drammatiche condizioni di vita in cui versa il popolo tigrino, provato sia dai mesi di guerra sia dalla carestia che ha colpito – e tuttora colpisce -  oltre un milione di persone nella regione. Alla luce delle tante richieste di consentire il transito agli aiuti umanitari presentate sia dai tigrini sia dalla comunità internazionale e regolarmente negate dal governo etiope, il TDF ha deciso di abbandonare la propria strategia di guerriglia per lanciare una serie di attacchi multipli contro le posizioni presidiate dall’Ethiopian National Defence Forces (ENDF) e dall’Eritrean Defence Forces (EDF).
I risultati ottenuti sono andati ben oltre le aspettative. Nel giro di poche settimane il TDF ha travolto le forze governative obbligandole a cercare riparo negli stati regionali vicini (Amara e Afan).
Il cessate il fuoco unilaterale proclamato da Addis Abeba non ha fermato l'avanzata del TDF, che ha riconquistato altre città come Shire e Adwa per poi dirottare la propria azione nelle province del sud-est del Tigray. Dopo la presa della capitale regionale Mekelle, l'obiettivo principale delle forze tigrine è diventato quello di danneggiare significativamente le capacità di combattimento degli avversari. Il TDF ha più volte affermato che l'operazione mira a riacquisire il pieno controllo del territorio regionale e ad espellere dallo stesso tutte le forze straniere (EDF). Tuttavia, negli ultimi giorni l’avanzata ha superato i confini del Tigray entrando nella regione degli Afar e minacciando le linee di collegamento tra Addis Abeba e Gibuti.

 

Truppe etiopi in Tigray
Truppe etiopi in Tigray
Foto: Ethiopia Insight

La reazione etiope


A poche ore dai festeggiamenti tigrini per l'ingresso a Mekelle, il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed ha proclamato un cessate il fuoco unilaterale. Una scelta dettata ufficialmente dalla necessità di consentire l’intervento umanitario per la popolazione del Tigray. Nella realtà però, il cessate il fuoco, mai accettato dalla leadership politica tigrina, non ha permesso il transito di alcun convoglio umanitario.
E’ servito, invece,  a ricompattare le fila etiopi in previsione di una nuova contro-offensiva a cui, come già avvenuto dall’inizio del conflitto, prenderanno parte, oltre all’ENDF, anche diverse milizie appartenenti agli stati regionali del paese (Omoro, Amhra, e Sidama). In altre parole, Abiy Ahmed, incurante delle diverse condanne provenienti dalla comunità internazionale, ha provato a trarre vantaggio dalla sconfitte sul terreno, cercando di ricompattare il fronte anti-tigrino e di ripensare la strategia militare.
Il Primo Ministro è consapevole che la gestione del conflitto in Tigray avrà un impatto significativo sul progetto di centralizzazione e nazionalizzazione promosso nei suoi primi tre anni di governo, il successo del quale si rifletterà in modo sostanziale sul suo stesso futuro politico. Per questo motivo, forte del sostegno di alcuni attori internazionali, Cina e Russia su tutti, dell’appoggio di altri stati regionali, e dietro la promessa di futuri guadagni territoriali e di stock-package in asset economici di stato, Abiy Ahmed ha avviato i preparativi ad una controffensiva su larga scala. 
Il Tigray è oggi chiuso in uno stato di totale isolamento, in cui al divieto di accesso a qualsiasi organizzazione umanitaria si è aggiunto il black-out delle comunicazioni in molte zone della regione.
La strategia militare etiope, da molti censurata come ‘assedio medioevale’, sembrerebbe tesa ad aggravare le già precarie condizioni di vita della popolazione tigrina, per poi sferrare una nuova offensiva al termine della stagione delle piogge (Luglio-Agosto). Le forze etiopi stanno infatti programmando un attacco su più fronti: da sud, dove molte truppe sono dispiegate nella zona di Alamata; dalla regione nord-orientale degli Afar, dove molti soldati appartenenti all'ENDF hanno trovato rifugio dopo la caduta di Mekelle; dal sud-ovest, dove le truppe di Amara hanno da tempo preso il controllo della città di Humera, punto di passaggio verso il Sudan; e infine, da nord, con un probabile intervento diretto dell'EDF. In tale quadro, a rendere la situazione ancora più tesa è il moltiplicarsi degli episodi di violenza etnica in tutto il paese.
A essere presi di mira sono soprattutto le comunità tigrine che, dopo aver costituito lo zoccolo duro dell’elite etiope dal 1991 al 2018, sono diventate oggetto di discriminazioni, regolamenti di conti e soprusi.

 

Rifugiati nel Tigray
Rifugiati nel Tigray
Fonte: farodiroma.it

Le possibili conseguenze


I futuri sviluppi sul terreno potrebbero avere conseguenze di vasta portata sulla stabilità dell'Etiopia e, per estensione, su quella dell’intera regione.
Se le forze tigrine dovessero riuscire nelle prossime settimane a consolidare le proprie posizioni, l’eventuale controffensiva etiope potrebbe risultare più complicata di quanto previsto da Addis Abeba. Ad oggi appare alquanto improbabile che il governo di Abiy Ahmed riesca a ristabilire la piena autorità sul Tigray.
Nel caso in cui la controffensiva etiope fallisse, si aprirebbero scenari impensabili fino a pochi mesi fa.
Innanzitutto, è difficile immaginare che la leadership tigrina voglia provare a guadagnare ulteriore terreno verso la capitale etiope per cercare di ribaltare il regime. E’ prevedibile, invece,  che una eventuale vittoria sul terreno possa dare ulteriore impulso al processo di secessione del Tigray.
Il popolo tigrino, colpito da tre anni di abusi e discriminazioni - più nove mesi di conflitto -, fa pressioni sulle autorità regionali, su tutti lo storico movimento TPLF, affinché tracci la strada verso l'indipendenza. Se il TPLF dovesse intraprendere un tale percorso, ciò segnerebbe la fine dell'Etiopia come la conosciamo dal 1991.
Inoltre, la spinta tigrina potrebbe innescare un effetto domino per cui altri stati regionali chiederebbero maggiori autonomie, se non addirittura l'indipendenza dal governo centrale. In altre parole, il rischio principale è quello di una rapida balcanizzazione dell'Etiopia con l’inevitabile scoppio di nuovi conflitti interni dettati dalla lotta per la delimitazione dei confini. Molti di questi rappresentano da tempo materia di contesa, in particolare per le conseguenze dirette che il loro tracciamento avrebbe sul controllo delle risorse.
Vista l’attuale tendenza, non è da escludere che le rivalità politico territoriali possano assumere la dimensione dello scontro etnico. La frammentazione dell'Etiopia, o semplicemente il suo progressivo indebolimento, cambierebbero anche l'equilibrio di potere regionale, incidendo su molte delle controversie che vedono Addis Abeba protagonista, come la disputa sulla gestione delle acque del Nilo Blu (GERD).
Ulteriore effetto sarebbe quello spillover. Il rischio che l’instabilità etiope possa contaminare i vicini più fragili come la Somalia e il Sudan è infatti da considerarsi tra le eventuali conseguenze.
Infine, rischierebbe anche il principale alleato regionale di Abiy Ahmed: Isaias Afwerki. Il pericolo maggiore per l’Eritrea deriva dall’eventualità che il conflitto in Tigray possa tracimare in territorio eritreo. Tale eventualità potrebbe aumentare la pressione sulle linee di faglia del regime di Afwerki aprendo ad un eventuale cambio al potere.

Federico Donelli è Docente a contratto e Assegnista di Ricerca in Scienza Politica presso il DISPO.
Foto di copertina da repubblica.it

di Federico Donelli