Diritto e crisi. Il caso del New Deal di Roosevelt

La stagione pandemica del Covid-19 che, ormai da due anni siamo chiamati a vivere, ci ha permesso di familiarizzare – non senza fraintendimenti - con molteplici dimensioni del sapere specialistico. Innanzitutto, con la scienza medica, in subordine con la complessa realtà giuridica tradotta al grande pubblico con gli aridi acronimi a noi tutti noti: DPCM, DL, PNRR, ecc.
Per meglio comprendere il ruolo del diritto davanti alla crisi, le sue potenzialità e i suoi limiti, può essere utile confrontarsi con alcuni eventi iconici del Novecento, quali la Grande depressione del 1929 e il New Deal di Franklin Delano Roosevelt.
Tali vicende sono note agli storici e al grande pubblico, tornare a questi anni con occhio critico, però, consente di riflettere su di un’esperienza compiuta e perciò osservabile in modo pieno anche nei suoi ultimi esiti, a differenza di quanto accade con il tempo presente, all’interno del quale siamo sommersi e in cui fatichiamo, quindi, a individuare le più opportune chiavi di lettura.

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La grande crisi del '29

La grande crisi del '29

Quella del Ventinove fu crisi per antonomasia, non solo per le indubbie conseguenze economiche e sociali che si ripercossero da una parte e dall’altra dell’oceano, ma anche per il connesso trauma collettivo che segnò negli Stati Uniti la fine dei ruggenti anni Venti (the roaring Twenties), l’era dorata del jazz, di Hollywood e del Grande Gatsby.
Nei giorni in cui gli americani cominciarono a creare code nevrotiche davanti alle banche, le fabbriche a licenziare gli operai e gli agricoltori a rimanere con prodotti deprezzati e invenduti, alla Casa Bianca si era da poco insediato il repubblicano Herbert Clark Hoover.
Il Presidente aveva tutte le caratteristiche per essere l’uomo giusto al momento giusto: ingegnere, milionario self-made, pragmatico amministratore dello sforzo bellico americano durante la Grande Guerra e apprezzato Secretary of Commerce dal 1921 al 1928. Non senza amara ironia, però, colui che all’inizio della campagna elettorale aveva vaticinato la fine della povertà - «We in America today are nearer to the final triumph over poverty than ever before in the history of any land.» [Address Accepting the Nomination, August 11, 1928] - finì invece per legare il suo nome alle baraccopoli dei molti diseredati dalla crisi, le hooverville.
Al di là delle oggettive difficoltà cui si trovò suo malgrado a dover far fronte, Hoover fu penalizzato dagli schemi della "vecchia economia liberale" [E. HOBSBAWM, Il Secolo breve, 1994] dai quali non seppe divincolarsi e che inaridirono ogni tentativo di riforma.

Roosevelt New Deal

L'arrivo di Roosevelt e il New Deal

Su questa difficoltà dei repubblicani a farsi interpreti della novità dei tempi, Roosevelt costruì la sua prima elezione nel 1932. Benché la proposta elettorale dei democratici non fosse allora ben strutturata intorno a un programma di riforme organico, il neopresidente mostrò sin da subito la volontà di operare un superamento radicale delle politiche del passato, da lui sprezzatamene definite «an outworn tradition».
Pur nella sua retoricità, il discorso inaugurale pronunciato a Washington il 4 marzo 1933 compendia lucidamente le linee guida delle future riforme: intervento diretto dello Stato al fine di arginare la disoccupazione – «Our greatest primary task is to put people to work […] It can be accomplished in part by direct recruiting by the Government itself […]» (Il nostro compito primario è far lavorare le persone […] può essere compiuto in parte con assunzioni direttamente dal Governo) – e controllo della finanza - «there must be a strict supervision of all banking and credits and investments; there must be an end to speculation with other people's money, and there must be provision for an adequate but sound currency.». (Il nostro compito primario deve essere una stretta supervisione di tutti gli investimenti e i crediti bancari; bisogna mettere fine alla speculazione sul denaro altrui, e devono esserci provvedimenti per una valuta adeguata ma solida).

Tale impostazione si mutò sin da subito in concreti interventi normativi. Celebre è il furore legislativo che caratterizzò i primi cento giorni di mandato e che, sebbene con gradi di intensità scostanti, perdurò sino al 1938.
Il mutamento di paradigma attuato dal Presidente democratico incontrò, anche grazie al carisma personale di FDR (famosi sono i suoi fireside chats, i discorsi del caminetto), il favore di gran parte dei cittadini statunitensi che lo premiarono alle urne: Roosevelt venne riconfermato senza soluzione di continuità alle elezioni del 1932, del 1936, del 1940 e del 1944, rimanendo in carica sino alla sua morte nel 1945.
Numerosi e accaniti furono però anche i suoi oppositori. Tra questi il più autorevole fu indubbiamente la Corte Suprema, vertice dell'ordinamento giudiziario federale nonché scoglio su cui si infransero ripetutamente le riforme. Essa ostacolò le manovre di accentramento e rafforzamento dei poteri del Governo e i tentativi di intervento diretto nell’economia e nel mercato del lavoro, dichiarando incostituzionali i provvedimenti più ambiziosi. Di fatto il Presidente riuscì a superare questa resistenza solo nel 1937 con la minaccia (inattuata), tutt’oggi ricorrente nel discorso pubblico statunitense, di una riforma, il Judicial Procedures Reform Bill, che avrebbe aumentato il numero dei giudici supremi da nove a quindici, ribaltando così le logiche politiche interne alla Corte.

Corte suprema USA
La sede della Corte Suprema a Washington
Fonte: it.wikipedia.org

Il ruolo del Diritto

Al di là delle varie e contrastanti opinioni che negli anni sono state autorevolmente avanzate con riferimento a queste vicende, è necessario sottolineare l’impossibilità di una lettura unitaria dell’epopea giuridica del New Deal, soprattutto qualora la si voglia ridurre ad una cronaca trionfale. Basti pensare, a questo riguardo, che la ripresa definitiva dell’economia e dell’occupazione fu possibile solo grazie all’incremento dei ricavi legato all’industria bellica in conseguenza dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Al di là delle valutazioni di merito, però, un dato che non lascia insensibile il giurista è il tentativo, attuato da Roosevelt e dai suoi consiglieri – i c.d. new dealers o brain trust - di utilizzare lo strumento normativo al fine di operare un significativo mutamento della realtà sociale, in aperta controtendenza e anzi in polemica con quelli che erano stati i capisaldi dello sviluppo economico statunitense sino ad allora: libertà dell’iniziativa economica privata e ruolo contenuto dello Stato federale su tutti. Tale modo di procedere incentivò la ripresa, ma fu anche all’origine di fratture e dissidi che si protrassero nel tempo e che contribuirono a gettare le basi dei forti contrasti che oggi lacerano l’America di Trump e Biden.
Pur rifuggendo dalla retorica della historia magistra vitae queste vicende portano con sé un carico di significato profondo di cui sarebbe utile fare tesoro oggi, tempo di crisi totale (non solo sanitaria, ma anche economica, sociale, ambientale, umana). Davanti alle sfide epocali della nostra quotidianità, sembra quanto mai necessario il recupero di una dimensione del diritto che sia radicale in una duplice prospettiva.
La prima – tipica del New Deal rooseveltiano – nel senso di mutamento, se necessario anche drastico, che permetta di evitare la crisi e non solo rincorrerla.
La seconda, invece, che evochi la continuità: «una visione radicale, cioè valoriale, del diritto» [P. GROSSI, L’invenzione del diritto, 2017]; un diritto che può ordinare il vivere civile verso soluzioni nuove proprio perché attinente «alle radici di una società […] perché è realtà di radici, e radici profonde» [P. GROSSI, Prima lezione di diritto, 2003].
L’orizzonte è alto, ai confini dell’utopico: utilizzare il diritto e non la forza non solo per regolare, ma anche per innovare il contesto sociale, mantenendo al contempo un rapporto di stretta familiarità con esso e con il suo sentire più profondo, evitando così che il cambiamento sia anche occasione di straniamento.
Per tentare di percorrere questa strada, per comporre e bilanciare queste esigenze diverse e complementari, è necessaria in primo luogo una stretta collaborazione tra diversi saperi compresa, con ruolo di protagonista, la scienza del diritto. Le soluzioni, infatti, siano esse mediche, climatiche, economiche, devono sempre passare dal momento giuridico per essere tradotte in risposte concrete.
Da qui, conseguentemente, un’ulteriore necessità: quella di giuristi pienamente formati, che sappiano rispondere appieno alla loro vocazione di mediatori dei bisogni e delle urgenze dei propri contemporanei, esperti non solo di diritto, ma anche di umanità.

Daniele Colonna è Dottorando in Diritto presso il Dipartimento di Giurisprudenza
Il contributo riassume gli interventi tenuti in occasione della Notte Europea dei Ricercatori 2021 il 24 settembre e del I Convegno dei Dottorandi in Diritto-Discutere la crisi: il ruolo del Diritto nella sfida della ripartenza il 27 ottobre 2021.

Foto di copertina di PublicDomainPictures da Pixabay

 

di Daniele Colonna