L'ultimo viaggio di Giorgio Bertone
Tutti i colori del vento
Giorgio Bertone, che per quarant'anni ha insegnato, quasi sempre nel nostro Ateneo, letteratura italiana di cui era professore ordinario, non ha fatto in tempo a veder pubblicato il suo ultimo libro, che uscirà fra non molto dal Melangolo. Se ne è andato il 1 gennaio dopo aver combattuto contro la malattia col coraggio temprato dal suo secondo mestiere di audace alpinista e velista.
Il libro è il resoconto del suo ultimo, difficilissimo viaggio in barca e poi con sci e ramponi in South Georgia, sulle orme del celebre esploratore inglese Ernest H. Shackleton, che, all'inizio del Novecento, vi arrivò dall'Antartico con cinque uomini su una scialuppa e attraversò quel deserto di ghiaccio in pratica senza attrezzature. Tutti i colori del vento, così si intitolerà il racconto, prosegue il versante letterario dei libri di Giorgio, perché è, come i Percorsi andini degli anni Ottanta, il romanzo e il diario di un viaggio e si iscrive di diritto tra i capolavori del genere, che proprio Bertone aveva selezionato nella fortunata antologia dei Racconti di vento e di mare (Einaudi 2010). Realtà e sua rivisitazione letteraria, tecnica saggistica e invenzione artistica sono sempre andati di pari passo nel lavoro di Bertone, esattamente come la manualità e l'intelligenza, l'abilità pratica e l'attitudine alla teoria. È commovente pensare che ha scritto questo libro di finissima scrittura mentre la malattia lo costringeva al mortificante (per lui, viaggiatore d'altura) cabotaggio tra casa e ospedale. Ed è sbalorditivo ricordare che questo viaggio Giorgio lo aveva fatto due anni fa, quando già era stato, come scrive, «alleggerito di un rene e altre frattaglie».
Bertone racconta il trasferimento su un oceano agitatissimo in barca a vela dalle Falklands alla South Georgia, e poi l'attraversamento dell'isola di neve e ghiaccio con sci, ramponi e slitte tirate a mano, in un clima (il primo autunno laggiù è ancora inverno) estremo. A questo racconto unisce la storia delle scoperte geografiche di quei luoghi, dei viaggi di Darwin, della guerra delle Malvine, e descrizioni mirabili della fauna e flora, che fanno, scrive, pensare che quelli siano luoghi in cui gli animali si sono dati appuntamento (a milioni) in attesa che sparisca l'uomo che li ha così odiosamente importunati.
Nel libro si trovano anche le ragioni che spingevano Bertone a queste imprese temerarie, pur preparate con meticolosa prudenza tecnologica e accurato studio antropologico, geografico e letterario, spuntando tanto la lista lunghissima degli attrezzi necessari, quanto quella dei libri della fornitissima biblioteca di bordo.
Bertone anche in questo viaggio è andato in giro, invece che con la macchina fotografica, con il bloc-notes: «Che razza di turista -si chiede ironicamente- è quello che al posto di far clic prende appunti con una matita?». Il fatto è che per lui realtà e letteratura erano un tutto unico, tanto che la parte più originale e importante del suo lavoro di studioso e ricercatore è stata quella dedicata alla congiunzione di paesaggio e letteratura, arte e geografia (Lo sguardo escluso, Interlinea 2000).
Curioso del mondo nella sua totalità («se sono qui, scrive, forse, è per mettere ancora il dito sul mappamondo girevole», come da bambino), Bertone ha guardato quei paesaggi meravigliosi e desolati pensando, con Thoreau, che «ogni paesaggio ricorda all'uomo che è ospite su questa terra. Qui concede un breve soggiorno all'intruso a sconto della pena dell'esserci», spinto ancora una volta dalla nativa condizione esistenziale «di chi è sempre ingaggiato in uno scopo vitale».
Inevitabile che il pensiero della morte apra e ripetutamente emerga dalle pagine intense e commoventi dell'ultimo libro di Bertone, un viaggiatore che viaggiava per scrivere, uno scrittore che scriveva per viaggiare: Tutti i colori del vento inizia con una bellissima citazione da T. Eliot, che il poeta aveva preso proprio da un passo dei diari di quell'esploratore sulle cui orme Giorgio ha fatto il suo viaggio d'addio: «Chi è il terzo che ti cammina sempre accanto?/ Quando conto, ci siamo solo tu ed io insieme,/ ma quando guardo avanti lungo la bianca strada, /c'è sempre un terzo che ti cammina accanto» (da The Waste Land). Chi sia stato per Giorgio il “terzo” lo dicono i versi successivi del poema, che lui ha omesso dal suo esergo, ben sapendo che i suoi lettori li conoscono: «Ma chi è che ti sta sull'altro fianco/ Che scivola ravvolto in un ammanto bruno, incappucciato?/ Io non so se sia un uomo o una donna», e soprattutto la struggente dedica a sua moglie, Anna, e ai suoi due figli, Maria Paola e Francesco, «perché possano proseguire».