Smart mobility, Covid e Genova: intervista a Enrico Musso
Abbiamo avuto il piacere di fare alcune domande a Enrico Musso, docente di Economia dei Trasporti, direttore del CIELI (Centro Italiano di Eccellenza, sulla Logistica, i Trasporti e le Infrastrutture) e dell'Ufficio Smart Mobility del Comune di Genova, a margine del ciclo di incontri "Conversazioni sulla città del futuro" da lui curato, sui cambiamenti urbanistici e le prospettive per la città di Genova in particolare.
Da circa un anno dirige l’Ufficio Smart Mobility del Comune di Genova. Com’è finora il suo bilancio di questa esperienza?
È il primo tentativo di creare all’interno della macchina amministrativa comunale un team che lavora per promuovere una mobilità smart (cioè “intelligente”) non solo per l’impiego di sistemi di trasporto che incorporano nuove tecnologie, in particolare tecnologie delle comunicazioni e digitali, ma soprattutto per l’adozione di comportamenti, veicoli e propulsioni più sostenibili, che consumano meno risorse scarse o non rinnovabili o inquinanti, che si tratti dell’energia dei motori termici o dello spazio pubblico che in una città è scarso per definizione. In particolare si promuove la micromobilità elettrica – dalle biciclette a pedalata assistita fino ai monopattini, segways, overboard, monoruota, etc., ma anche ogni altra forma di mobilità a zero emissioni localizzate, incluso il trasporto pubblico (che sarà interamente elettrificato entro il 2025).
In questi mesi di pandemia il trasporto pubblico è al centro dell’attenzione in quanto possibile veicolo di diffusione del virus. Ci sono stati errori nella gestione dell’emergenza? Cosa può essere fatto nel breve termine per ovviare a questa problematica?
Alcuni errori gravi: il governo non ha realmente tentato di “spalmare” i picchi di traffico nell’arco della giornata, come si sarebbe potuto fare, per esempio, con i doppi turni scolastici (che avrebbero in parte risolto anche il problema dei banchi), e ha delegato questo compito a una improbabile moral suasion degli enti locali; inoltre non ha reclutato – forse per resistenze di ordine sindacale – le flotte private di bus (tra l’altro largamente disponibili visto il contemporaneo crollo dei flussi turistici) per usi scolastici o aziendali.
Ma al di là degli errori dei governi, c’è stato il limite oggettivo delle risorse (non tanto finanziarie ma di numero di bus urbani già in servizio), e soprattutto l’indisciplina dei comportamenti individuali. Se tutti noi – a prescindere dalle multe e da un “enforcement” spesso impossibile – avessimo sempre indossato le mascherine sui bus, e avessimo accettato di non salire su bus che avevano già raggiunto la (ridotta) massima capienza, la diffusione del virus attraverso sui veicoli del trasporto pubblico sarebbe stata trascurabile.
Le soluzioni di micromobilità individuale si sono rapidamente diffuse in questi ultimi mesi, e sono anche state promosse da incentivi statali. Il loro inserimento non regolamentato nel traffico è però causa di incidenti e critiche. Come si può ovviare a queste problematiche? Pensa sia necessario un adeguamento del Codice della Strada, l’obbligatorietà di patentino e di assicurazione?
Anche qui bisogna fare i conti con i comportamenti individuali. Se tutti osservassero scrupolosamente le norme esistenti non ci sarebbero incidenti. L’uso indisciplinato di questi mezzi è frutto non tanto dell’assenza di nuove norme, ma del mancato obbligo di conoscere quelle esistenti (non è infatti necessaria una patente) e della non responsabilizzazione sui danni potenziali (non è necessaria un’assicurazione).
Con queste premesse, norme più severe diventano necessarie in una logica punitiva, ma bisognerebbe invece combattere l’ignoranza rendendo obbligatoria la patente per chi usa questi veicoli. E più in generale, rendendo obbligatoria l’educazione stradale per tutti. Quando vedo qualche imbecille che attraversa la strada guardando solo il suo telefonino, penso che ci vorrebbe la patente obbligatoria anche per i pedoni. Il nemico numero uno è la stupidità.
La topografia peculiare della città di Genova rende difficile la predisposizione e la gestione di un sistema di trasporto pubblico capillare. Quali approcci reputa migliori per venire incontro a queste caratteristiche? Ci sono punti particolarmente critici?
Nel Piano Urbano della Mobilità Sostenibile di Genova, approvato nel 2019, abbiamo completamente ripensato il sistema del trasporto pubblico in una logica gerarchica: i grandi flussi devono essere serviti dagli “assi di forza” del trasporto elettrificato, ad alta capacità e sviluppati in sede propria (o con priorità semaforica): un trasporto non inquinante, silenzioso, veloce (per la sede propria) e più confortevole anche per la velocità più costante.
I flussi di adduzione alla rete degli assi di forza saranno invece assicurati da “normali” bus elettrici, mentre per le zone a domanda più debole si possono utilizzare servizi pubblici a domanda, ma sarà soprattutto favorita la complementarità fra veicoli privati e trasporto pubblico attraverso la creazione di una rete di parcheggi di interscambio.
Le criticità riguarderanno soprattutto l’“accettazione” del nuovo sistema. Una rete in sede propria, qualunque sia la soluzione tecnologica adottata (tram, filobus, bus full electric, etc.) richiede maggiore disciplina e senso civico, perché obbliga i cittadini – automobilisti e non solo – a un rispetto assoluto delle regole.
Per esempio, aspettiamoci piccole rivoluzioni di retroguardia in difesa di soste abusive, spesso vietate perché pericolose.
La pandemia ci sta obbligando a ridefinire i nostri modi di vivere, compresi gli spazi individuali e collettivi. Sull’argomento lei ha curato il ciclo “Conversazioni sulla città del futuro” invitando urbanisti, sociologi, economisti e umanisti. Come crede che cambierà l’ambiente urbano post-pandemia?
Il vaccino dovrebbe sconfiggere presto la pandemia. Ci resteranno le abilità apprese a tempo di record nell’uso delle (peraltro già esistenti) tecnologie di telecomunicazione: lavorare, parlare, acquistare beni e servizi restando seduti in poltrona, in ufficio o a casa. Molte riunioni, conferenze, lezioni, continueranno a svolgersi a distanza anche dopo la fine della pandemia. Avremo meno spostamenti per motivi di necessità e ritroveremo – finalmente – gli spostamenti per motivi ludici e per le relazioni sociali. Per il tempo libero, più che per il lavoro o per gli acquisti. Serviranno case più grandi, più connesse e strutturate diversamente, con più spazi individuali per le attività online: e-working, e-learning, e-leisure.
Ma serviranno anche, nella città del futuro, più luoghi di coworking per garantire spazio, servizi e connettività restando nella zona in cui si vive.
Potranno rivitalizzarsi le periferie-dormitorio, ma anche i centri storici e i borghi fuori città, che uniranno pregio ambientale e urbanistico a una nuova “centralità telematica”. Tutto questo sarebbe successo anche senza la pandemia, ma sicuramente abbiamo guadagnato qualche anno.
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