Smart working: che fare dopo l’emergenza? 

La scoperta dello smart working

Lo smart working è improvvisamente diventato di moda quando, chiamato esplicitamente in causa dai provvedimenti emanati per fronteggiare l’emergenza Covid-19, è stato reso applicabile ad ogni rapporto di lavoro con una semplice autodichiarazione e con procedure semplificate. In realtà, esso era già presente nel contesto giuridico – è infatti disciplinato dalla legge 81/2017 – e praticato da tempo da un numero crescente di organizzazioni.  

Di certo, però, le indicazioni governative, unite al disorientamento davanti all’imponenza della pandemia, hanno favorito la corsa a “fare” SW, tradotto in modalità “lavoro a casa”, per chiunque potesse, senza andar troppo per il sottile. Assolutamente comprensibile, tanto la necessità di tutelare la salute appariva l’indiscussa priorità. Tanto è, che si è arrivati a stimare che ci siano stati, nella fase del lockdown, alcuni milioni di lavoratori agili a fronte dei 570.000 stimati lo scorso anno dall’Osservatorio omonimo.  

Domandarsi cosa succederà loro, se e come questa esperienza potrà essere consolidata è, a questo punto, necessario. Per farlo, occorre chiarire bene di cosa si tratta.

smart working
Foto di Bruce Mars

Lo smart working e il suo futuro

 Citato per la prima volta nel 2008 da un istituto inglese, il CIPD, viene definito come una modalità di erogazione della prestazione lavorativa, che, conciliando efficacia ed efficienza nel raggiungimento degli obiettivi, combina flessibilità, discrezionalità e collaborazione, tramite l’ottimizzazione di strumenti e ambiente di lavoro. Complice l’evoluzione del contesto tecnologico (ed i suoi più recenti sviluppi sia mobile che wireless), lo SW richiede soprattutto un cambiamento profondo (e profondamente assimilato) nella cultura della gestione, che deve ragionare per obiettivi, rispetto ai quali flessibilità e discrezionalità acquisiscono un senso. È quindi un modo di lavorare che non si improvvisa. 

Le organizzazioni che sono riuscite a rafforzare un orientamento già preparato e collaudato (anche se timidamente) hanno fatto un balzo in avanti, confermato dalla soddisfazione manifestato dagli smart workers, sperimentando molte delle potenzialità di lavorare in un modo diverso.   
Per chi ha attivato SW da zero, o quasi, è possibile che i tentativi non si siano rivelati così positivi.
Perché quello sperimentato potrebbe essere stato un lavoro assai poco smart (più simile al vecchio e “cattivo” telelavoro?): lavoratori confinati tra le pareti di casa ad imparare rapidamente nuove applicazioni, a cercare di organizzarsi, a sperimentare soluzioni, a destreggiarsi tra lavoro e famiglia (per chi ce l’ha, in una difficile conciliazione tra esigenze varie delle diverse generazioni, strette in una inconsueta convivenza dalle mille potenzialità ma anche esposta a non poche criticità e con un incremento dei livelli di stress), tra lavoro e spazio-tempo da riempire (per chi vivendo da solo, avendo davanti l’intera giornata da far passare, lavora forse troppo, esponendosi al rischio del cosiddetto work alcoholism).  

Smart working

Un lavoro a misura d'uomo

Occorre pertanto mettere in campo un lavoro impegnativo per recuperare e chiarire che SW può essere meglio. E per iniziare a farlo per bene, con un progetto adeguato.  
Lo SW funziona (alla grande) se si progettano in maniera coerente le caratteristiche del lavoro ed i sistemi di monitoraggio, di valutazione e di valorizzazione del lavoro, se si prepara il middle management a gestirlo ed i lavoratori stessi a praticarlo e lo si fa sia sul versante motivazionale che su quello strumentale.
Solo così facendo si scoprirà se può produrre (ed a quali condizioni) i proclamati effetti positivi sulla soddisfazione del lavoratore, sulla produttività e sull’efficacia della prestazione che stanno alla base della logica ‘win-win che lo SW promuove.  
È proprio su questi punti che la normativa stessa fa leva, indicandoli come gli obiettivi sui quali testare lo SW: c’è un grande lavoro da fare, ma la sfida aperta può rilanciare la ricerca di un lavoro a misura d’uomo, di cui ora più che mai sentiamo bisogno. 

di Teresina Torre