Una mente che non muore

Una mente che non muore

Rita Levi MontalciniConobbi la prof. Montalcini nel 2003 quando, da presidente del Comitato per le pari opportunità (CPO) di Ateneo, la invitai a Genova. È uno dei tanti motivi per cui sarò sempre grata alla mia Università. Avevo saputo dalla collega Donata Gottardi, presidente del CPO di Verona, che la Professoressa era disponibile ad organizzare incontri con gli Atenei per sostenere un suo progetto in favore dell'istruzione delle donne africane. Contattai la sua segreteria ed avute le indicazioni necessarie, mi attivai sul territorio per organizzare adeguatamente un'iniziativa. In quell'occasione sperimentai la lungimiranza della futura Sindaco Vincenzi, che mi incoraggiò e fu per me autorevole sostegno.
Decidemmo di programmare un incontro mattutino in Università, con gli studenti e il corpo docente, uno pomeridiano con la città a Palazzo Ducale e una "serata per l'Africa" a Palazzo del Principe ospiti dei Doria Pamphilj. Il giorno prima dell'evento la Professoressa arrivò a Genova molto provata, ma fu sufficiente un succo d'ananas a farle riprendere energia. Confesso che da allora bevo volentieri dell'ananas! Parlammo a lungo e la conversazione prese subito toni e argomenti amichevoli e personali: mi chiese molto di me e dei miei. Fu naturale che la invitassi a darmi del tu, per quanto era stata capace di farmi sentire a mio agio, quasi mi fossi ritrovata con una persona vicina che non vedevo da qualche tempo. Con una certa autorevolezza acconsentì purché vi fosse reciprocità e, nonostante la ritrosia che mi viene da un'educazione "all'antica", dovetti a mia volta passare a toni più confidenziali. Furono giornate intense e molto felici, sono convinta che tutti coloro che la incontrarono ne colsero l'eccezionalità. Qualcuno scrisse che ero stata la sua ombra, e non potei che sentirmene onorata.

Gli incontri successivi cementarono un legame intenso che mi piace pensare si sia retto su un comune sentire. Quando la incontrai a Roma per tirare le somme dell'iniziativa genovese volle che pranzassimo insieme e dispose che l'autista mi riaccompagnasse all'aeroporto. Da allora sono tornata con regolarità nel suo studio di via Catanzaro e, quando gli impegni istituzionali me lo permettevano, non mi negavo questo privilegio. Ogni volta era una festa e non soltanto per me. Voleva sapere cosa stavo facendo, quali erano gli argomenti delle mie ricerche; una volta mi chiese di poter approfondire qualche concetto di economia, scienza che dichiarò di conoscere poco. Che una centenaria volesse aprirsi a nuovi orizzonti mi sembrò straordinario, ma con lei tutto lo era.
Dal suo perfezionismo non era esente neppure la dimensione di vita più legata alla quotidianità: ricordo di averne percepito l'imbarazzo per un asciugamano che ricopriva il termosifone accanto alla sua scrivania; chiese di trovarle un foulard e di rimediare a quella che considerava una sciatteria e raccomandò che fosse quello in tinta con quanto indossava. Sono convinta che anche la cura di sé e di ogni minimo dettaglio abbia contribuito alla sua longevità.

Rita Levi MontalciniNonostante la consapevolezza del suo valore non amava essere considerata un'eccezione: ricordo di averla vista contrariata quando, avendola raggiunta con una troupe televisiva coordinata dalla cara amica Carmen Lasorella per registrare un'intervista da proiettare a Genova, si schermì di fronte a domande che sottolineavano, appunto, l'eccezionalità del suo percorso di vita e di studio. Preferiva essere considerata e si considerava come una persona assolutamente normale, che aveva avuto il privilegio di dedicarsi alla ricerca, con successo ma senza particolari meriti. Me ne stavo ad ascoltarla, fuori campo, e pensavo ai momenti preziosi che stavo vivendo. L'intervista fu brillante, puntualissimo il linguaggio, lucido il fluire dei pensieri e delle emozioni. Sono certa che molti ne ricordano ancora la proiezione a villa Zerbino.

Negli ultimi tempi ho partecipato alle riunioni romane che la Professoressa organizzava per incontrare quanti sostenevano il suo progetto. Era esaltante ritrovarla con la freschezza e l'entusiasmo di sempre. La rivedo sul palco a parlarci dei traguardi della Fondazione, ritta e orgogliosa, sempre sorridente. All'ultimo appuntamento non era presente, ci dissero che si sentiva stanca. Chiesi espressamente di poterla incontrare, ma non fu possibile riabbracciarla. Spesso la penso e rivedo la sua figuretta magrissima ma pervasa di un'energia che le veniva da uno spirito immenso. Come le piacerebbe dire "se il corpo se ne è andato, la mente c'è".

Valeria Maione
Consigliera Parità Regione Liguria
Docente di Economia del Lavoro
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