Usi e abusi

Usi e abusi

Riflessione a voce alta di una dipendente tecnico-amministrativa


L’oggetto della riflessione prende spunto da una recente conferenza del filosofo Mario Perniola, sul tema “Arte e Anti Arte” che ha recentemente inaugurato a Palazzo Ducale il ciclo di sei incontri “La fine dell’immagine. Un percorso tra media, neuroscienze e filosofia”, anche se trattasi di un mero spunto essendo ormai di assoluta evidenza l’abbuffata virtuale di stimoli mediatici (telefonini, computer di ultima generazione, i-pad , internet, facebook, linkedin, twitter e quant’altro) a cui molto spesso non corrisponde però una effettiva conoscenza e scambio comunicativo.


Avendo riguardo alla realtà dell’Ateneo genovese dal punto di vista del personale tecnico-amministrativo che contribuisce al suo funzionamento, un’amara riflessione scaturisce spontanea soprattutto per chi ha ormai traghettato più di un trentennio di vita lavorativa disponendo di uno sguardo di insieme e di possibilità di raffronto.


Premesso che la disponibilità attuale dei più variegati e sofisticati strumenti tecnici, che consente di disporre di una “finestra sempre aperta sul mondo”, è certamente arricchente, come fa però notare Perniola in una recente intervista sul Secolo XIX, la scorpacciata di informazioni rischia di ottenere l’effetto opposto innanzitutto a livello di singolo individuo, cullandolo in una illusione di onnipotenza cognitiva, ma relegandolo invece in una sorta di analfabetismo e regressione delle sensazioni in cui la vera capacità di guardare e osservare il presente viene profondamente menomata:


“… Lo stordimento in cui è immersa la società attuale non è un fatto recentissimo… Già negli anni Sessanta del Novecento il pensatore canadese Marshall McLuhan riteneva che una delle conseguenze più importanti della tecnologia fosse il numbing effect, cioè una specie di narcosi, di amputazione delle nostre facoltà sensitive e affettive. Questo processo è andato via via aumentando di intensità e di estensione fino alla totale immersione e dipendenza da Internet e dai social network in cui vediamo sprofondate oggi tante persone di tutte le condizioni socio-economiche… Il risultato è l’impossibilità di avere una vera esperienza sia dell’immagine che del suono… Fotografiamo di continuo, ma scriviamo anche di continuo e sentiamo musica di continuo; questo non vuol dire che abbiamo imparato a fotografare, a scrivere o ad ascoltare. Anzi è il contrario. Ci sono tre parole del gergo anglosassone della comunicazione che illustrano molto bene questo processo di abbruttimento generalizzato:… che caratterizza la vita quotidiana, i media, la cultura, l’amministrazione, la scuola, l’università”.

A livello di organizzazione lavorativa di Ateneo tale abbuffata di connessione e informazioni, ben lungi dal raggiungere il fine di snellire le diverse procedure, può avere come effetto distorto la creazione di un ulteriore appesantimento burocratico formale non meno pericoloso delle situazioni passate. Negli ultimi anni si assiste davvero ad un significativo incremento del livello di comunicazione, finalizzato ad una effettiva semplificazione e snellimento delle procedure lavorative, oppure tale fenomeno è, spesso, solo apparente? Una risposta equilibrata e sincera non può non riconoscere come sovente tale miglioramento sia solo di immagine e non sostanziale. Qualche esempio può essere chiarificatore.


Si pensi all’utilizzo eccessivo della posta elettronica, anche fra colleghi di corridoio o addirittura di stanza o all’uso eccessivo di comunicazioni via web o all’eccessiva frequenza di incontri di briefing su diverse tematiche - peraltro utili – o all’eccessivo uso dei telefonini di servizio anche nel corso di riunioni o infine al sempre più frequente ricorso a video-conferenze anche per l’effettuazione di corsi di formazione; comportamenti tutti che, seppur necessari, in caso di abuso possono rivelarsi dannosi in termini di corretta comunicazione, di tempo lavorativo a disposizione, di attenzione dedicata e, nell’ultimo caso, di privazione dell’irrinunciabile rapporto docente/discente.


Doverosa riflessione nella riflessione: è certamente pericoloso cadere nella tentazione opposta di mitizzare il passato, in quanto distorti dal binocolo della nostalgia (Nulla è così suscettibile di trasformazioni come il passato…), ma altrettanto pericoloso è il ritenere che lo stordimento mediatico rappresenti di per se stesso la panacea per garantire un significativo miglioramento dei servizi offerti dall’Ateneo. E allora?… E allora: nulla di nuovo sotto il sole.


Gli antichi ci ammonivano come “in medio stat virtus” e quindi, ricorrendo al criterio del giusto mezzo, si evidenzia come il pensare che l’incontro virtuale rappresenti sempre e comunque un miglioramento può portare ad una situazione di incomunicabilità e isolamento, paradossale in un mondo in cui vige il mito delle interconnessioni sempre e comunque.


Pur con lo staff aggiornato sistematicamente i rapporti personali di conoscenza fra colleghi si vanno sempre più affievolendo dimenticando come il rapporto de visu consenta di recuperare anche una irrinunciabile forma educativa nei rapporti interpersonali. Si conoscono poi solo in maniera parziale le competenze lavorative attribuite - anche a causa delle frequenti ristrutturazioni organizzative gestionali derivanti dai continui adeguamenti legislativi - ed inoltre, a causa della sempre maggiore complessità delle diverse incombenze, si è gioco forza pervenuti ad una estrema e capillare parcellizzazione dei diversi compiti. Ogni unità di personale vede solo una piccolissima parte del quadro di insieme, essendo chiamato a svolgere un segmento del percorso lavorativo tendente al risultato finale, chiaro nella sua architettura globale solo alle figure dirigenziali.


Nulla da obiettare, essendo certamente inevitabile, ma nel contempo occorre porre in essere qualsiasi sforzo affinché non si perda in ogni singolo dipendente l’irrinunciabile “spirito di corpo”, che deve continuare ad ispirare tutto il personale e non, attraverso meccanismi premiali, le sole figure apicali. In tale fattispecie il raffronto con il passato diviene inevitabile: un tempo si sentiva davvero con onore il senso di appartenenza all’Accademia, vissuta quasi come una “grande famiglia”, al cui buon andamento ognuno contribuiva con orgoglio per la propria piccola parte. Superato il nostalgico atteggiamento di amarcord, è però necessario contemperare la modernità con l’esperienza passata.


Occorre pertanto fare rientrare nella mission di Ateneo, accanto agli obiettivi di didattica e di ricerca, il recupero di un orgoglioso spirito di corpo che consenta di cogliere preziose sfumature di coinvolgimento empatico anche in parallelo alla possibile scelta di ricorso ad una mail o ad un incontro virtuale.
In medio stat virtus”.

Anna Rosa Galdi
Servizio Affari generali
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