Primarie a Genova. Alcuni spunti di riflessione
Primarie a Genova. Alcuni spunti di riflessione
Le primarie svoltesi recentemente a Genova a prima vista possono essere considerate come un evento politico di portata prevalentemente locale. Non è così per almeno due ragioni. In primo luogo, le peculiari modalità del loro svolgimento e del loro esito hanno posto in primo piano alcuni risvolti solitamente implicati, prescindendo da contesti specifici, in questo meccanismo di selezione delle candidature e del personale politico. Secondariamente, esse hanno messo a nudo alcuni aspetti salienti dell'attuale congiuntura politica, non solo locale, ma anche italiana e internazionale.
Sul piano più generale queste ultime primarie hanno confermato pregi e difetti che la letteratura specialistica ha da tempo riconosciuto in questo tipo di competizione. Per un verso infatti esse offrono, come mostrato anche da questa esperienza, un formidabile veicolo di partecipazione politica per i militanti e gli elettori, ampliando notevolmente il ventaglio delle opzioni politiche disponibili. Tale opportunità consegna inoltre ai cittadini uno strumento efficace per spezzare le incrostazioni oligarchiche che talvolta soffocano le energie vitali dei partiti e rendono asfittiche e auto referenziali le loro dinamiche interne. Per l'altro, le primarie possono presentare criticità e risvolti problematici. Se non opportunamente regolate e organizzate, per esempio, possono prestarsi ad essere usate in modo opaco e poco trasparente. Magari, come avvenuto nella nostra città, per condurre una bizzarra e poco comprensibile resa dei conti nell'ambito di una ristretta cerchia di notabili politici, alcuni dei quali, peraltro, dotati di una dubbia rappresentatività politica. In tal caso le primarie possono avere effetti dirompenti sulla coesione dei partiti e delle coalizioni, alimentando le divisioni interne e l'innesco di insidiose spinte centrifughe. Va segnalata poi la possibilità, confermata nel nostro caso, di una radicalizzazione dell'offerta politica, dal momento che la base elettorale che seleziona i candidati, costituita per lo più da militanti e iscritti, manifesta solitamente orientamenti più estremi rispetto all'elettorato considerato nella sua generalità. Infine, le primarie presentano, se non si predispongono adeguati correttivi, un rischio: che i candidati siano "catturati" da lobby e gruppi di interesse potenti, talora occulti, minando l'autonomia e la rappresentatività sociale dei partiti e della classe politica.
Valutate sul piano congiunturale, invece, le primarie genovesi sembrano, a giudizio di che scrive, l'esito di processi politici collocati a differenti livelli - locale, nazionale e internazionale - che hanno trovato nel nostro capoluogo un singolare punto di incrocio.
A livello locale hanno giocato almeno due fattori. Per cominciare, una serie di errori, soprattutto di valutazione, che raramente si vedono inanellati da una dirigenza politica (mi riferisco a quella del Partito Democratico) in uno spazio temporale così limitato. La lotta intestina, sorda e non del tutto comprensibile in termini di contenuti, che ha impegnato le élite di quel partito, ha finito per disorientare e demotivare la sua base, come mostrato dalla alta astensione nelle tradizionali roccaforti del ponente e della Valbisagno. Sempre sul piano locale, ha inoltre pesato la peculiare configurazione socio politica della nostra città, nel cui ambito troviamo, ad esempio, la curiosa predisposizione dei quartieri più borghesi a premiare, tra quelli papabili, il candidato più radicale.
Tali aspetti locali, tuttavia, sono collegati, come anticipato, ad alcuni caratteri assunti recentemente dal nostro sistema politico nazionale, con particolare riferimento alla crisi dei partiti. Mi riferisco alla loro diminuita capacità di strutturarsi adeguatamente dal punto di vista organizzativo, di elaborare analisi e pensieri all'altezza dei problemi del nostro tempo e di entrare in sintonia con il corpo sociale. Dalla fine della prima repubblica infatti abbiamo ereditato un sistema di partiti viziati, in diversa misura, da identità fragili e non ben definite. Ciò ha implicazioni sulla loro vita interna e sull'efficacia delle loro iniziative, dal momento che, in mancanza di un preciso e condiviso nucleo valoriale e programmatico, i gruppi dirigenti non riescono più a disciplinare e contenere gli effetti della lotta per il potere, che finisce per ridursi sempre più spesso ad una mera e cinica corsa, priva di slanci ideali e di disegni strategici, indirizzata esclusivamente a soddisfare ambizioni personali di scarso respiro. Non desta meraviglia, quindi, che i vertici nazionali dei partiti non riescano più a guidare e controllare le dinamiche autodistruttive che spesso colpiscono, come nel caso di Genova, anche le loro articolazioni territoriali. La crisi dei partiti italiani fa venir meno anche l'imprescindibile funzione di orientare gli elettori in un mondo sempre più incerto e complesso. Ne consegue che questi ultimi tradiscono e sconfessano spesso le direttive e le proposte del ceto politico (come nel caso delle candidature), interrompendo il circuito fiduciario che è uno dei principali fondamenti delle democrazie rappresentative e, allo stesso tempo, aprendo ampi spazi di opportunità per una variegata tipologia di outsider.
Quanto, infine, alle dinamiche di natura internazionale che hanno trovato una eco in questa vicenda mi sembra giusto sottolineare soprattutto alcune ricadute della recente crisi economica. Tra queste vi è sicuramente la crescente frattura tra cittadini comuni e classi dirigenti nelle società occidentali. Distacco che spesso accende il forte risentimento dei primi nei confronti delle seconde. Il vento dell'antipolitica e la critica feroce all'establishment economico e politico sta connotando in effetti il clima attuale della maggior parte dei paesi avanzati e non è conseguentemente un fenomeno solo italiano. Sicuramente anche tale fattore ha pesato nel premiare una figura come Marco Doria, che è stata valutata positivamente proprio per la diversità e la distanza da una classe politica percepita, a torto o ragione, come una casta chiusa e collusa con i "poteri forti" della città.
Due parole, in conclusione, sulle prospettive future. In primo luogo, l'esito imprevisto delle primarie può arrecare agli sconfitti, oltre che sorpresa e sgomento, anche alcune importanti opportunità: quella di cogliere fermenti nuovi scarsamente o per nulla percepiti, e quella di captare esigenze e umori profondi in precedenza sottovalutati. Le primarie possono fornire l'occasione, in altre parole, di risintonizzarsi con il proprio mondo di riferimento.
In secondo luogo, non è escluso che la scossa che ha investito il PD possa avere effetti analoghi su tutti gli altri partiti locali e nazionali, alterando pertanto gli equilibri complessivi del nostro sistema politico. Non necessariamente sarebbe un male. La "lezione" di Genova potrebbe rappresentare un buon viatico per mettere in moto un processo costituente finalizzato a correggere storture e limiti del nostro sistema politico. Come ci ha insegnato Popper il maggior pregio delle società aperte è proprio quello di far tesoro degli errori e delle esperienze, anche negative, meglio e più rapidamente degli altri tipi di società. Accettare il "rischio" delle primarie, con i relativi pro e contro, rientra in fondo in questa logica.