Fake-news: il vaccino esiste (senza rischi e controindicazioni)
Nel 2016 la parola dell'anno è stata post-verità, parola già di per sé ambigua e che richiede qualche riflessione per essere compresa. A partire da quel post, che non è usato nel senso abituale di dopo ma nel senso di oltre: una verità che va oltre il fatto, che non ha nemmeno bisogno dei fatti per essere detta, scritta, diffusa.
Il Dizionario Treccani la accoglie tra i neologismi, ricordandoci che della versione inglese post-truth, da cui deriva, si hanno esempi già negli anni novanta, ma l'esplosione nell'uso mediatico si è avuta proprio l'anno passato con le discussioni, specialmente sui social, a proposito della Brexit e delle elezioni americane. La post-verità è dunque terreno proprio della politica e della disinformazione politica?
Per il 2017 è in buona posizione per essere definita parola dell'anno fake-news.
Fake news , vera e propria notizia falsa, che rimbalza moltiplicandosi da siti ben poco affidabili a pagine social, magari anche ripresa da quotidiani e reti di antica tradizione.
Non è una novità la bufala o il fattoide: "qualcosa che viene accettato come un fatto, anche se non può essere vero". La novità è la rapidità della diffusione, soprattutto attraverso le reti social e la sua forza nel fare opinione e nel diventare vera perché creduta .
Non stupisce chi si occupa di comunicazione e di etica della comunicazione che al disincanto e alla sfiducia negli esperti, siano essi scienziati, politici o giornalisti di professione, corrisponda una fiducia totale nella trasmissione di conoscenze, anche false, tra pari. La quantità (dei like) in questo caso sembra far aggio sulla qualità. Non si è, come potrebbe sembrare, di fronte a una crisi del principio di autorità, ma alla sua dislocazione, alla fiduciosa attribuzione alla rete.
Ma se “l'ho trovato in internet” sostituisce “lo ha detto la tv” e l'“ipse dixit”, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, abbiamo fatto un passo avanti e non indietro.
Il rapporto dell'utente con la rete non è statico e unilaterale, non solo perché ciascuno di noi può diventare produttore di notizie, anche di false notizie: ciascuno è prosumer. Ma perché la rete può ancora essere un potente strumento di informazione, certamente se riusciamo a farne un uso critico, se sappiamo vagliare le fonti, dare credito a chi lo merita, se sappiamo scegliere, in fondo.
(E non voglio parlare di algoritmi e di metodi di prova informatici).
Così pensava Franco Carlini, ricercatore e giornalista, mago del web, che è stato ricordato qualche giorno fa nel bell'appuntamento a Palazzo Ducale organizzato dai suoi allievi e collaboratori.
Per essere capaci di riconoscere le fake news, essere capaci di difenderci dal produrle e dal diffonderle anche in buona fede, bisogna averne gli strumenti. E sapere che il mondo è complesso, che le soluzioni semplici a problemi complicati, anche se allettanti, sono spesso fallaci. Dobbiamo sapere che ci vuole lavoro e fatica nella comunicazione, anche nella comunicazione quotidiana e nelle relazioni interpersonali.
Non vorremmo dover pensare di essere al punto che, siccome la conoscenza critica costa - in tempo, in fatica, in denaro - vogliamo affidarci all'ignoranza.
L'esperienza dei dieci anni del corso di laurea magistrale in Informazione ed Editoria mi fa
invece credere che nei giovani, ragazzi e ragazze, che anche da altre regioni e da altri paesi arrivano a Genova, con entusiasmo e determinatezza, per diventare operatori dell'informazione e dei media, gli anticorpi esistano. E si possano e debbano sviluppare seguendo uno slogan (o vorremmo dire un consiglio?) di antica memoria: “studiare, studiare, studiare” non i fatti, che possono anche non essere avvenuti, ma il metodo per studiare e criticare i fatti.
Leggerezza e rapidità della comunicazione in internet non necessariamente escludono l'esattezza e la molteplicità, come ci insegnava un visionario Calvino quando il duemila era ancora lontano.