Percorsi della tecnica in architettura
di Enrico Dassori (GUP - Genova University Press, 2018)
Architettura e tecnica sono due entità concrete che hanno attraversato il tempo essendone, in quanto fedeli proiezioni della vicenda umana, sensibili testimoni.
Una perversa tendenza degli uomini a innalzare muri e a costruire gabbie ha fatto leva su eterogeneità metodologica e oggettiva divergenza dei rispettivi criteri di validazione per separare ontologicamente le due entità; l’attribuzione all’architetto di una presunta deriva estetica eroicamente bilanciata, o genialmente resa possibile, dalla militante razionalità dell’ingegnere è la precisa rappresentazione dell’incapacità a distinguere fra strumenti e scopi, mezzi e fini.
Oggi, nei termini di questa incomunicabilità, la progressiva dissolvenza dell’architettura da fenomeno eminentemente materiale a immagine più o meno virtuale contribuisce a differire sempre più l’incontro della teoria formale con la realtà costruttiva, dimostrando come il controverso rapporto fra architettura e tecnica sia una delle tante esplicitazioni dello spirito contraddittorio del nostro tempo.
Nella consapevolezza della difficoltà a superare questa e altre contraddizioni, il testo ripercorre la via lungo la quale, in architettura, si è andato costruendo il rapporto fra interiorità e razionalità; un rapporto mutevole, dove proprio la contraddizione sembra essere il tratto distintivo che interseca intenzionalità di espressione e vincolo fisico.
La considerazione che attraversa tutto lo svolgimento del tema riguarda proprio quell’agire in architettura che assegna alla tecnica il compito di far transitare le istanze funzionali e l’intenzionalità simbolica, alcuni direbbero il Mito, verso il manufatto fisico luogo della percezione, del linguaggio e della comunicazione.
E’ un tratto in cui l’abilità pratica si contempera con la capacità di esprimere e comunicare esperienza sensibile; una visione del mondo che il pensiero architettonico moderno e contemporaneo interpreta in modo diverso essendo totalmente immerso nella clamorosa aporia del rifiuto di ogni teoria ontologica e della contemporanea necessità di dominare tecnicamente le componenti materiali della costruzione.
Ciò che fino a Galilei e Cartesio era una complessiva e coerente declinazione del sistema logico-formale, disegnata fra incrinatura di vecchi equilibri e ricerca di nuovi, diventa un vasto orizzonte di scelta: la formalizzazione della scienza moderna separa contestualmente forma e contenuto, indirizzando l’architetto primariamente sul versante del sentimento, dell’emozione e dell’interpretazione psicologica.
Partendo da molto lontano si arriva a considerare il fatto che l’architettura non è stata affatto immune dal potere massificante della tecnica e questo, a un certo punto, ha cominciato a destare crescenti preoccupazioni.
Decidendo di non eludere queste preoccupazioni occorre capire che non si tratta di risolvere questioni estetiche o di evocare un nuovo umanismo antitecnologico, ma di riannodare i fili di un dialogo che oggi interseca architettura e tecnica nel complicato dominio del principio di onnipotenza, cioè dell’originalità forzosa e forzata che mette in discussione compiti e ontologia disciplinare.