Risposte giuridiche al problema dei rifiuti

“Il ciclo ed il riciclo dei rifiuti in Parlamento"

di Lara Trucco


1. Il tema della “disciplina giuridica dei rifiuti” – al centro del convegno organizzato lo scorso 11 maggio, nell’ambito del Corso di laurea Magistrale in Giurisprudenza, dal Prof. Pasquale Costanzo, dal titolo “Aspetti giuridici del ciclo e del riciclo dei rifiuti” – costituisce un osservatorio privilegiato per testare, per così dire, “lo stato ambientale ordinamentale”, sia dal punto di vista delle “scienze naturali”, sia sul piano più prettamente “giuridico” (sul quale porteremo qui la nostra attenzione).

È infatti nelle società più complesse – ed anticamente fu solo col sorgere delle prime civiltà antiche (pare che siano stati i cretesi, all’incirca nel 3000 a.C. a costruire le prime, grossolane “buche” di contenimento dei rifiuti, e quindi, gli assiri e soprattutto i babilonesi nel 1800 a.C., ma si pensi poi anche, ad es., alla cloaca maxima ed al “monte dei Cocci” di epoca romana…).

Sul continente europeo, in tempi più prossimi a noi, la “rivoluzione industriale” rese possibile e nel contempo necessaria, in stretta corrispondenza con lo sviluppo dei relativi sistemi produttivi e l’incremento demografico che ne derivò, la progettazione di sistemi di gestione dei rifiuti vieppiù al passo coi tempi, secondo una dinamica che è stata portata alle estreme conseguenze, da ultimo, all’indomani della “rivoluzione tecnologica”. Così che mentre nel corso del XIX secolo nelle grandi città come Parigi la poubelle prese a farsi emblema del cambiamento epocale in atto nella società, ad oggi sono le “campane colorate” per la raccolta differenziata, a simboleggiare, come vedremo, un progetto di sviluppo dell’intera area europea.

2. Può dirsi che il nostro Paese abbia svolto un ruolo precursore in materia di rifiuti, se si considera che già alla fine del XIX secolo, sotto il governo Depretis, al fine di garantire l’igiene nei luoghi pubblici e nelle abitazioni, vennero emanate delle precise istruzioni ministeriali (del 1886) e che poi ci si occupo del tema nell’ambito sia di quel più vasto piano di realizzazione di una rete di infrastrutture nella penisola (costituita dalla famosa legge n. 103 del 1903, cd. legge Giolitti), vuoi, fatte le dovute differenze del caso, specie sul piano dell’organizzazione amministrativa del servizio, nel corso del Ventennio fascista (contenuta nella legge n. 366 del 1941)

Nel Secondo dopoguerra, mentre la questione dei rifiuti veniva assorbita dal più ampio tema della ricostruzione del Paese, l’entrata in vigore della Costituzione sparigliò le carte, dando preminenza (anche) nel settore ambientale al “principio personalista”, rispetto al quale il perseguimento dell’“interesse statale” avrebbe dovuto ora avere un carattere strumentale. Tuttavia, pure in un contesto ricco di potenziali sviluppi in materia, l’intima “vicinanza”, per così dire, delle questioni collegate alla gestione dei rifiuti alla società, invece di favorire l’assunzione da parte del Parlamento (organo di rappresentanza popolare) di un ruolo di punta nella disciplina del settore, finì per provocarne il progressivo distacco – secondo una dinamica, a ben vedere, tutt’oggi in atto – tendente a conferire centralità alle istanze tecnocratiche.

Del resto, quello dei rifiuti e, nel suo seno, del “ciclo e riciclo dei rifiuti” è risultato e risulta uno di quei settori maggiormente affetto dalla cd. “sindrome NIMBY” (acronimo inglese per “Not In My Back Yard”), riscontrantesi in quei casi in cui, pur riconoscendosi come necessari determinati interventi pubblici, tuttavia, li si contrasta, consapevoli degli svantaggi per i propri personali interessi (il proprio “cortile”, per l’appunto). La preponderanza di una simile prospettiva ha così condotto all’adozione di una soluzione distante vuoi dall’“interesse” pubblico, vuoi dallo stesso principio personalista – di tipo strenuamente “individualista” – che fece da ulteriore discesa all’inarrestabile accumularsi di rifiuti prodotti dal “boom economico”, individuandone il naturale esito nello “smaltimento” (attraverso la “distruzione”), in una visione politicamente miope e, per di più, deformata dall’idea che produzione di rifiuti e ricchezza andassero di pari passo.

3. Fu a partire dalla seconda metà degli anni Settanta che venne posta la base legale per la progressiva “incorporazione” della regolamentazione del settore da parte della allora Comunità economica europea. Istituzioni comunitarie, le cui caratteristiche, del resto, lo si osserva qui en passant, si sono rivelate e risultano tutt’ora (guardandosi in controluce rispetto a quanto si diceva per l’innanzi) meglio atte al governo del settore.

Fu, per la precisione, una triade di direttive ad aprire le porte all’ingresso del livello sovranazionale (e cioè a dire, la dir. n. 75/442 CEE, considerata la disciplina madre “relativa ai rifiuti”, la dir. n. 76/403/CEE, e la dir. n. 78/319), le quali vennero attuate in ambito interno dal d.P.R. n. 915 del 1982, si noti, delegato dalla legge n. 42 del 1982).

Certo, si trattò di un primo ed ancora “leggero”, passo, nella materia, inidoneo, come tale e nel contesto dell’epoca, ad incidervi più di tanto. Di ciò, per vero, si ebbe prova anche in ambito interno, in cui predominante continuò ad essere quell’approccio “individualista”, a cui faceva da base l’approccio “igienista” di cui si è già ragionato.

Sarebbe stato quindi nel corso degli anni Novanta che, in stretta corrispondenza col crescente rigore economico-finanziario avviato a Maastricht e “nel farsi” dell’Unione europea, con una successiva “triade” di direttive (ossia la dir. CEE 91/156, la dir. CEE 91/689 e la dir. CEE 94/62) sarebbe stata avviata una vera e propria “politica” del “ciclo e riciclo dei rifiuti”.

Dal canto suo, l’Italia vi avrebbe dato attuazione col d. lgs. n. 22 del 1997, meglio noto come “decreto Ronchi” (in seguito “superato” dal cd. “Codice dell’ambiente”), intraprendendo un percorso di maggiore razionalizzazione e contemperamento delle esigenze in campo e, nel contempo, ad una più puntuale responsabilizzazione dei loro soggetti “detentori” (così da essere il “decreto Ronchi” a tutt’oggi ricordato come la norma che per la prima volta ha introdotto nel nostro ordinamento il principio del “chi inquina paga”). Anche se – va precisato – questo rinnovato percorso avrebbe stentato, specie nell’immediato, ad affermarsi (come rileva dal grafico che segue).

 La produzione di rifiuti urbani in Italia (dal 1995 al 2003) – fonte: ISPRA

 

4. Ad ogni modo, al “decreto Ronchi” può ascriversi il merito di avere saputo preparare il terreno per la vera e propria “svolta” che si sarebbe avuta in materia, e che sarebbe stata impressa ancora una volta dal livello sovranazionale: segnatamente, dalla Direttiva 2008/98/CE (cd. “Direttiva-quadro sui rifiuti”), ora contestualmente ai negoziati per la stipula del Trattato di Lisbona e nell’ambito di una più ampia politica di “prevenzione” e “riduzione” della produzione dei rifiuti medesimi (art. 3).

In particolare, a partire da quel momento si sarebbe avuto un capovolgimento della priorità degli obbiettivi, con l’acquisizione di un ruolo preminente della politica di “ciclo e riciclo rifiuti” (art. 4 e art. 5, lett. c)), e la messa in secondo piano, invece, dei processi di loro smaltimento e distruzione. Dovendo pertanto leggersi in questo contesto la previsione, in particolare, dell’obbligo per gli Stati membri di una soglia minima di recupero rifiuti al 50% mediante raccolta differenziata, in applicazione di meccanismi di produzione sempre più indirizzati, ora, al virtuosismo ed al recupero (secondo la cd. “regola delle quattro R”: riduzione, riuso, riciclo e recupero, con la conversione di rifiuti in prodotti utili).

Ed è significativo notare come, in una società ormai (e vieppiù…) oculata e parsimoniosa, sarebbe stato proprio all’indomani del recepimento della direttiva 2008/98/CE (col d. lgs. n. 205 del 2010), che (anche) in Italia, gli effetti della politica «fondata sul riciclaggio dei rifiuti» si sarebbero finalmente resi visibili, con l’innesco di un’inversione di tendenza e l’avvio di un trend finalmente “al ribasso” della crescita della produzione di rifiuti urbani (come rileva dal grafico che segue).

Andamento della produzione di rifiuti urbani (2004-2016)  

 

5. La “strategia tematica” per “la prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti” avrebbe in seguito trovato ulteriori occasioni di consolidamento a partire, in particolare, dal VI Programma di Azione per l’Ambiente (conclusosi nel 2012). E questo, a ben vedere, nel frattempo l’orizzonte politico in materia si fosse spostato ancora oltre alla semplice “economia del riciclo” dei rifiuti.

Ed infatti, dapprima in una Comunicazione della Commissione europea del 2014 (dal titolo eloquente: “Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti” (COM(2014)398)), e, quindi nel quadro del relativo, “nuovo” pacchetto normativo in materia (presentato dal Parlamento europeo il 2 dicembre 2015) l’“economia lineare” di gestione (invalsa, come si è visto, negli Stati membri ed ispirata ad un modello di produzione e distruzione del bene) era stata rimpiazzata da parte del nuovo modello di “economia circolare” (circular economy”). Una politica, cioè, basata sull’“economia del riciclo”, ma nell’ambito di un contesto più ampio rispetto a questa, tale da valorizzare, nel “dopo-Lisbona”, il coinvolgimento degli stessi Stati membri, reputati l’«anello mancante» del precedente sistema di governo del settore.

Una simile strategia, si osserva, risponde primariamente ad una logica ambientalista, sostenibile e competitiva. La diminuzione, infatti, ed in prospettiva la minimizzazione, della produzione di rifiuti, a fronte, invece di una massimizzazione del loro riciclo potrebbe avere ricadute positive su ambiente e salute. Ma non solo. Sempre in forza di una dinamica, per così dire, “circolare”, infatti, sul versante interno potrebbero derivarne effetti positivi per il settore della ricerca scientifica (spec. in materia di energie rinnovabili), con un ulteriore ritorno sull’ambiente. Inoltre, ne potrebbero risultare beneficiate anche l’industria e le imprese europee (si pensi, ad es., alle sfide poste dalla circular economy nell’ambito dell’industria elettronica), in forza vuoi del ribasso, verosimilmente, del costo delle materie prime che ne deriverebbe, vuoi delle rinnovate opportunità di apertura di nuovi mercati…con ricadute ulteriormente positive, tutto questo, per l’occupazione.

Non in ultimo, sul versante esterno un utilizzo (più) efficiente delle risorse naturali potrebbe garantire un maggiore affrancamento dell’UE (dalla dipendenza) dalle importazioni di materie prime dagli Stati esteri, a beneficio di un innalzamento del livello di sicurezza e di una contestuale diminuzione, anche qui, del costo degli approvvigionamenti energetici nell’intera area europea.

 6. Giunti a questo punto, è opportuno fare un passo indietro prendendo atto dell’impatto che prese a svolgere nel corso degli anni Novanta il livello sovranazionale in ambito interno, in un settore, quale quello penale, fino a non molto tempo prima roccaforte degli Stati membri.

In un contesto, infatti, come si è visto, vieppiù sensibile al rispetto dei parametri di tipo economico-finanziario, quale quello del “dopo-Maastricht”, il nostro Parlamento si determinò ad istituire una Commissione parlamentare (in questo caso, “monocamerale”) di inchiesta (ex art. 82 Cost.), al fine di “indagare” “sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti” anche e soprattutto nella prospettiva di appurare i mancati introiti per le casse dello Stato, causato dal giro d’affari di attività irregolari in un tale settore.

Da allora – e, quindi, ormai, da ben sei legislature (dalla XII alla XVII) – si è proceduto, all’inizio di ogni legislatura, all’istituzione di Commissioni di inchiesta (a partire dalla seconda) “bicamerali” in materia, le quali hanno certamente contribuito a far emergere il «vantaggiosissimo business», per la criminalità organizzata, nella gestione illecita dei rifiuti. Anche se, però, la grande quantità di relazioni ispettive, conoscitive e finali (v. grafico che segue) prodotte può dirsi, ad oggi, del tutto sproporzionata rispetto all’effettiva capacità di incidenza che essa ha avuto sul fenomeno in questione.

 7. Del resto, significativo è il fatto che le stesse Commissioni d’inchiesta abbiano ammesso, ancora da ultimo, gli ostacoli all’efficacia della loro azione, sintetizzabili nella mancanza dei necessari poteri per andare oltre «gli atti formali», incidendo soprattutto «nella sostanza» delle questioni emerse nell’esercizio della loro attività ispettiva. Più in generale, dalle loro relazioni rileva problematicamente la difficoltà ad assecondare le esigenze di trasparenza sottese al “pubblico interesse” della materia dei rifiuti con la «natura precipua dell’organo in questione» e, particolarmente, il «regime di riservatezza a cui sono sottoposti molti suoi atti».

Inoltre, desta perplessità il fatto che sia raro che nei lavori preparatori ai testi di legge in materia vi si trovi un qualche riferimento. Mentre sempre incombente è il rischio che le medesime relazioni si riducano a mere compilazioni, o, addirittura, a semplici elencazioni degli incontri e delle audizioni svolte, talora, per di più, in contesti territoriali del tutto particolari, col rischio della messa sullo sfondo delle più ampie questioni relative al settore.

A questo riguardo, si guarda pertanto con interesse alla riflessione in atto nell’Amministrazione del Senato volta a garantire una più trasparente fruizione dei dati, specie se in precedenza segretati, online. Così come all’idea, avanzata dalla stessa Commissione bicamerale sui rifiuti della XVII Legislatura, di puntare su «nuovi prodotti», con la proposta, tra l’altro, a tal fine ed in via sperimentale di «una chiave di lettura più moderna ed efficace del lavoro condotto», con l’utilizzazione di «indici di valutazione specifici (key indicators) mediante i quali misurare ex post performance e operato, nel tentativo di corrispondere meglio alla natura stessa di un soggetto (quale è la Commissione) che da un lato riveste un alto profilo istituzionale e, dall’altro, svolge la propria azione nell’interesse pubblico».

Col che, si osserva, ci si sta attrezzando, in materia, al fine di meglio rispondere agli input europei, nel quadro, peraltro, del più ampio potenziamento del ruolo dei parlamenti nazionali sancito a Lisbona, con ricadute dunque migliorative financo nella sfera istituzionale interna. Ciò che risulta tanto più necessario, se si pensa che il nostro Parlamento ha già avuto l’opportunità di prendere parte, ex ante, alla consultazione pubblica svoltasi nell’ambito del processo di elaborazione del nuovo pacchetto sull’economia circolare, ed, pur sempre nel quadro delle azioni indicate dall’UE per l’attuazione dalla “circular economy”, sarà chiamato allo svolgimento ex post di «una valutazione di impatto» idonea a monitorare di questa la portata e gli effetti.

 8. Segue. È opportuno osservare come, nel corso della XVII Legislatura, l’attività delle Commissioni parlamentari di inchiesta, pur con tutti i limiti di cui si è riferito, nel quadro dei lavori parlamentari svolti in materia di “ciclo e riciclo” dei rifiuti sia risultata la preminente …con un lascito, per il resto, in fin dei conti, assai misero, specie se considerato al netto dei vincoli sovranazionali.

In particolare, colpisce il fatto che siano stati presentati ben 820 atti parlamentari in materia (v. la tab. che segue), i quali avrebbero potuto far da base ad esiti affatto diversi...

 Parlamento (XVII Leg.): atti presentati in materia di “rifiuti”:

TIPO DI ATTO

CAMERA 

SENATO

TOTALE

 

 

 

 

Disegno di legge

54

28

82

Mozione

6

2

8

Interpellanza

12

4

16

Interrogazione a risposta orale

36

43

79

Interrogazione a risposta scritta

230

74

304

Interrogazione in commissione

131

0

131

Risoluzione in commissione

15

9

24

Risoluzione conclusiva

4

0

4

Odg in assemblea

104

39

143

Risoluzione in assemblea

0

2

2

Odg in commissione

0

27

27

TOTALE

592

228

820

Fonte dei dati: www.parlamento.it e Openpolis

 

Invece, poi, dei summenzionati 820 atti, solo 22 hanno riguardato specificamente il tema “ciclo e riciclo dei rifiuti” (v., per quanto riguarda i tipi di atti predisposti, poi, v. la tab. che segue).

 Parlamento (XVII Leg.): atti presentati in materia di “ciclo e riciclo di rifiuti”:

TIPO DI ATTO

CAMERA 

SENATO

TOTALE

 

 

 

 

Disegno di legge

7

5

12

Mozione

1

0

1

Interpellanza

0

0

0

Interrogazione a risposta orale

1

0

1

Interrogazione a risposta scritta

4

0

4

Interrogazione in commissione

2

0

2

Risoluzione in commissione

0

0

0

Risoluzione conclusiva

0

0

0

Odg in assemblea

2

0

2

Risoluzione in assemblea

0

0

0

Odg in commissione

0

0

0

TOTALE

17

5

22

 Inoltre, solo 4 dei suddetti 22 atti sul “ciclo e riciclo di rifiuti” sono stati approvati (segnatamente: 2 disegni di legge e 2 interrogazioni parlamentari: una a risposta orale e l’altra in commissione), mentre gli altri 18 atti o sono stati assorbiti o, ormai, risultano decaduti:

 

Parlamento (XVII Leg.) - iter concluso:

 

 Ancora, va considerato poi che dei quattro quattro atti “residuati”, due hanno riguardato l’istituzione della Commissione di inchiesta bicamerale di cui si è detto, e per quanto riguarda le altre due, si tratta di interrogazioni parlamentari relative alla gestione del ciclo integrato dei rifiuti, delle quali una ha una portata particolare (concernendo, nello specifico, la situazione di una regione italiana).

Pertanto, come si è in parte anticipato, se si esclude il lavoro svolto dalle commissioni d’inchiesta, l’atto di maggior momento in materia risulta essere costituito da un’interrogazione parlamentare a risposta immediata relativa agli “incendi degli impianti di trattamento, stoccaggio o recupero dei rifiuti”.

 

9. L’interrogazione parlamentare da ultimo considerata dimostra come, in realtà, il nostro Paese continui a scontare la fragilità delle fondamenta stesse su cui è impiantato il sistema di governo dei rifiuti. Là dove non è senza un qualche paradosso il fatto che sia stato lo stesso Parlamento ad avere lamentato la mancanza, a tutt’oggi, di un censimento degli impianti di trattamento dei rifiuti in grado di garantire una «piena e totale conoscenza» della situazione del loro stato «da parte delle autorità competenti al controllo» (!)

Il fatto di non poter contare su informazioni tanto fondamentali, peraltro, è tanto più grave se solo si pensa al segnale che danno di rinuncia, in certa misura, delle istituzioni al controllo del territorio, rendendo, nel contempo, le attività in esso ubicate preda allettante per la criminalità organizzata. L’assenza di mappature e, più in generale, di un “catasto” degli impianti, infatti, fa sì che sia difficoltoso lo svolgimento di un qualche «coordinamento tra soggetti pubblici» e, più in generale, di «una adeguata programmazione di controlli» e, nell’ambito di una «visione integrata dei problemi ambientali e del ciclo dei rifiuti». Là dove la presa d’atto del costo dei trattamenti dei rifiuti, finirebbe per rendere in casi del genere irresistibilmente conveniente la cd. “politica degli incendi” dal momento che, come è stato osservato, ciò «che brucia va in fumo e il fumo non si tocca più», tanto più sul versante delle spese. Mentre la clandestinità, dal canto suo, favorirebbe una “gestione domestica” dei fuochi, anche nelle situazioni più gravi, favorendo l’elusione degli interventi delle forze dell’ordine.

Così, come sta a dimostrare la più sopra richiamata interrogazione parlamentare, si è avuto e si sta avendo che una simile situazione lungi dall’essere stata risolutamente affrontata è, all’opposto, assurta in negativo a «vero e proprio fenomeno nazionale», con la scabrosa vicenda della “terra dei fuochi”.

Una tale dinamica tenderebbe, poi, ad autoalimentarsi, se si considera che la mancanza di mappature degli impianti renderebbe difficoltoso lo svolgimento di «una adeguata programmazione di controlli» e di un qualche «coordinamento tra soggetti pubblici», oscurando così una «visione integrata dei problemi ambientali e del ciclo dei rifiuti». “Oscurità”, questa, che, a sua volta, osterebbe alla segnalazione degli incendi come notizie di reato alle procure della Repubblica territorialmente competenti. Sicché, per chiudere il cerchio, la «risposta giudiziaria» non potrebbe che essere, in linea generale, “disomogenea”, “non incisiva”, “limitata” e, in ultima analisi, inidonea a «fornire in maniera coordinata e documentata una spiegazione del fenomeno».

Ebbene, merita di osservarsi come, a ben vedere, anche a questo proposito, al di là di ogni aspettativa, potrebbe essere il livello sovranazionale ad apportare elementi di novità, risultando la disponibilità e la messa a disposizione di informazioni puntuali sullo stato di cose (emblematica, al riguardo, la vicenda del sistema SISTRI), in vista, per l’appunto, della loro circolazione, presupposto imprescindibile per l’attuazione ed il conseguimento degli obbiettivi strategici della “circular economy”.

10. Più in generale, decisiva potrebbe rilevarsi la presa d’atto dell’inconciliabilità della stessa politica europea con la gestione deviata dei rifiuti. Dovrebbe infatti considerarsi che le imprese clandestine vedrebbero aumentare i propri introiti in stretta corrispondenza con l’acquisto dei rifiuti medesimi e la loro distruzione, trattandosi del processo di smaltimento meno costoso…in una direzione, pertanto, diametralmente opposta alla politica del “ciclo e riciclo” e con essa all’“economia circolare”, risultandone probabili sanzioni a seguito di procedure di infrazione. Se poi, dovesse dimostrarsi che le attività illecite (evasione, frode fiscali…) connesse alla medesima gestione deviata dei rifiuti producono un danno per gli interessi economici e fiscali dell’UE, a ciò si sommerebbero le condanne da parte della Corte di Giustizia.

È, pertanto, in una tale prospettiva, che si vuol credere che la risposta all’interrogazione parlamentare più sopra menzionata – in cui si evidenzia la possibilità di introdurre «eventuali prescrizioni sulle modalità di controllo degli impianti» e financo di procedersi a controlli «in qualunque momento» – vada interpretata nel senso di una rinnovata consapevolezza, da parte delle Istituzioni, di potere e dovere ora governare credibilmente la materia.

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