"Guerra al Covid"...le metafore guerresche influenzano i nostri comportamenti?

Guerra alla guerra alle metafore di guerra…

«Quando è scoppiata la pandemia, i leader di tutto il mondo hanno fatto ampio ricorso alla metafora bellica – spiega Francesca Panzeri, ricercatrice di Filosofia del linguaggio di Milano-Bicocca -. Da molte parti, però, si sono levate grida di allarme: usare la metafora bellica sarebbe pericoloso, perché, tra le altre cose, indurrebbe le persone a pensare in modo divisivo e ad accettare supinamente derive autoritaristiche e la soppressione di libertà personali. Abbiamo così deciso di condurre un esperimento per capire se davvero le metafore possono influenzare il nostro modo di pensare e di agire».

Queste preoccupazioni traggono origine dalla Teoria delle Metafore Concettuali di Lakoff & Johnson, secondo cui sarebbe sufficiente evocare una metafora strutturalmente ricca (la pandemia è una guerra) per rendere salienti anche vari altri concetti ad essa collegati (tra cui quelli pericolosi: in guerra ci sono alleati e nemici, chi non segue le direttive è un traditore, è normale delegare il potere a chi decide, e così via). I detrattori della metafora bellica compiono poi un altro salto: tali concetti pericolosi non solo verrebbero attivati, ma le persone che sentono tale metafora sarebbero in un certo senso inevitabilmente portati a credere quelle cose, e inoltre a comportarsi di conseguenza. Si tratterebbe di un potere quasi taumaturgico delle metafore, che sarebbero in grado di plasmare il pensiero, e l’azione, dell’uditorio.

Ma è davvero così? No.

L'utilizzo delle metafore non influenza negativamente il nostro comportamento

Le metafore, anche se negative, non influenzano il modo di pensare e di agire delle persone. Lo studio coordinato da Francesca Panzeri del Dipartimento di Psicologia di Milano-Bicocca, in collaborazione con il Laboratorio di Linguaggio e Cognizione diretto da Filippo Domaneschi dell’Università di Genova, ha analizzato se e come le metafore di guerra, usate per descrivere la pandemia, influenzino i nostri comportamenti.

Panzeri, Di Paola e Domaneschi (2021) hanno svolto un esperimento, per vedere se la presentazione in termini metaforici bellici di argomenti legati alla pandemia porta le persone a prediligere opzioni congruenti con tale scenario (studio sperimentale ispirato dai lavori di Thibodeau & Boroditsky). Hanno presentato degli scenari legati alla pandemia, e chiesto ai partecipanti di indicare con quali alternative si trovavano maggiormente d’accordo.

Lo studio, pubblicato su PLoS One, è stato condotto a giugno del 2020 su un gruppo di 200 italiani, il risultato? Le scelte dei partecipanti non dipendevano dall’esposizione ai testi che evocavano metafore di guerra piuttosto che a testi neutri. È stato però trovato che le persone che si definivano maggiormente di destra e quelle che dichiaravano di usare fonti di informazione indipendente erano maggiormente influenzate dalla presentazione metaforica. Gli autori interpretano questi dati come evidenza del fatto che le metafore non sono di per sé in grado di plasmare i pensieri e i comportamenti degli individui, che (fortunatamente!) non possono essere orwellianamente pilotati semplicemente scegliendo parole o espressioni particolari.

Lo studio

I ricercatori hanno svolto il loro esperimento presentando degli scenari legati alla pandemia, e chiesto ai partecipanti di indicare con quali alternative si trovavano maggiormente d’accordo. Ad esempio, dopo aver parlato del problema della diffusione di fake news legate al COVID-19, tra le alternative proposte c’era sia quella di permettere la censura di opinioni personali se pericolosamente in contrasto con le indicazioni del Governo, sia quella opposta che porta a salvaguardare sempre e comunque la libertà di opinione.

Il punto fondamentale è che gli scenari venivano proposti in una formulazione neutra per metà dei partecipanti, e in una formulazione contenente diverse metafore belliche per l’altra metà dei partecipanti.

Se le metafore di guerra portassero realmente gli ascoltatori a pensare e ad agire in maniera congruente allo scenario bellico ci sarebbe dovuta essere una maggiore propensione a scegliere le alternative “pericolose” da parte dei partecipanti esposti al testo metaforico rispetto a quelli che leggevano il testo neutro. Così non è stato: le scelte dei partecipanti non dipendevano dall’esposizione ai testi che evocavano metafore di guerra piuttosto che a testi neutri.

«Lo studio mostra che le metafore che utilizziamo non sono di per sé in grado di “plasmare” ciò che le persone pensano, come ragionano o il modo in cui si comportano. È importante ricordare che le parole sono sempre pronunciate o ascoltate da parlanti che hanno credenze, opinioni, preferenze e, spesso, anche uno spirito critico», conclude Filippo Domaneschi.

Foto di Ben Kerckx da Pixabay