Nuovo uso per un vecchio farmaco: un semplice antinfiammatorio potrebbe prolungare l’efficacia della terapia ormonale contro il tumore al seno
Il tumore della mammella è la neoplasia più comune tra le donne. In circa il 70–80% dei casi il tumore smette di crescere in risposta a terapie ormonali che riducono gli estrogeni circolanti o ne impediscono l’azione. Tra questi farmaci, quelli più comunemente usati sono gli inibitori dell’aromatasi e il tamoxifene. Tuttavia, secondo alcune stime il 15–20% delle pazienti non risponde fin dall’inizio a questi trattamenti e circa una paziente su tre sviluppa resistenza nel corso del tempo, con conseguente progressione della malattia e necessità di ricorrere a trattamenti più aggressivi.
Un gruppo di ricercatori guidati da Irene Caffa e da Alessio Nencioni, dell’Ospedale Policlinico San Martino e Università di Genova, in collaborazione con colleghi del Netherlands Cancer Institute di Amsterdam, ha ora identificato una nuova strategia per prolungare l’efficacia delle terapie ormonali utilizzate contro il tumore della mammella. I risultati della ricerca, condotta con il sostegno di Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro, sono pubblicati oggi sulla prestigiosa rivista Nature. I dati saranno inoltre alla base di uno studio clinico che coinvolgerà a breve pazienti con tumore della mammella metastatico.
Già nel 2020, Irene Caffa e Alessio Nencioni avevano pubblicato su Nature una ricerca che dimostrava come brevi periodi di digiuno controllato (consistenti in una dieta vegana ipocalorica, ipoproteica ed ipoglucidica) potessero aumentare la sensibilità dei tumori della mammella alla terapia ormonale e rallentare la comparsa di resistenza.
Già nel 2020 Irene Caffa e Alessio Nencioni avevano pubblicato su Nature i risultati di una ricerca precedente, che dimostravano come brevi periodi di digiuno "controllato" (consistenti in una dieta vegana ipocalorica, ipoproteica ed ipoglucidica) potessero aumentare la sensibilità dei tumori della mammella alla terapia ormonale e rallentare la comparsa di resistenza. Ora hanno scoperto, in collaborazione con il professor Wilbert Zwart e il dottor Nuno Padrão del Netherlands Cancer Institute (NKI), che gli effetti antitumorali esercitati dal digiuno contro questo tipo di tumore riflettono in larga parte l’aumento del cortisolo circolante durante il digiuno stesso. La scoperta è avvenuta grazie a esperimenti con cellule in coltura e in topi di laboratorio, e inoltre con lo studio di campioni biologici ottenuti da pazienti che si sottoponevano a questo tipo di dieta.
Irene Caffa spiega: «Abbiamo osservato livelli di cortisolo molto elevati nel sangue delle pazienti e degli animali durante il digiuno. Questo ormone entra nelle cellule tumorali e ne rallenta la crescita. Quando abbiamo modificato le cellule in modo che non rispondessero al cortisolo, l’effetto potenziante del digiuno sulla terapia ormonale scompariva».
I ricercatori hanno poi valutato in topi di laboratorio con una malattia simile a quella umana se un farmaco dall’azione molto simile a quella del cortisolo, il desametasone, potesse essere usato al posto del digiuno, per far sì che i tumori della mammella rispondano al meglio alle terapie ormonali. I risultati hanno confermato l’ipotesi: i tumori hanno effettivamente smesso di crescere quando alla terapia ormonale veniva abbinato il desametasone.
Queste scoperte rafforzano l’idea che strategie dietetiche come il digiuno controllato, oppure farmaci poco costosi e ben tollerati come il desametasone, possano aiutare a raggiungere risultati terapeutici maggiormente efficaci nelle pazienti affette da quelle forme di tumore della mammella che rispondono alle terapie ormonali.
Va comunque ricordato che la sicurezza e l’efficacia del digiuno controllato, così come quella dei farmaci corticosteroidei nel trattamento di questa patologia, seppure promettenti in base ai dati ottenuti, devono ancora essere validate in ampi studi clinici controllati e randomizzati. Si tratta infatti di interventi che possono comportare dei rischi oltre che dei benefici. Vi è per esempio il rischio di malnutrizione nel caso del digiuno e quello di osteoporosi e immunosoppressione nel caso del desametasone. Per questo si raccomanda che le pazienti non ne intraprendano l’utilizzo di loro iniziativa al di fuori delle sperimentazioni cliniche che saranno condotte.